FEFF16 – Speciale Far East Film Festival 16

In by Simone

Si è appena conclusa la sedicesima edizione del Far East Film Festival di Udine. Diversi i titoli validi in concorso, molte le sorprese e altrettante le conferme. C’è tanto da raccontare di questa avventura con il cinema orientale. Le pellicole in concorso, i premi, le retrospettive e le tendenze del cinema estremo orientale.
I primi giorni hanno visto una programmazione fortemente sbilanciata verso il cinema di Hong Kong. Sembrava di essere tornati agli albori del Far East Film Festival, quando erano i protagonisti dell’ex-colonia britannica a farla da padroni. Registi come Dante Lam, Pang Ho-cheung, Fruit Chan, Matt Chow, Alan Yuen, Derek Kwok, Wong Jing. E poi i vari Andy Lau, Chapman To, Nicholas Tse, Simon Lam fra gli attori. Tutti impegnati con azione, commedia e melodramma; i generi forti di Hong Kong sono tornati a brillare qui e là a Udine.

Svetta sopra gli altri The Midnight After di Fruit Chan, il quale si conferma di nuovo il miglior cantore del post-handover. Il suo è un film liberissimo, che mescola i generi e le convenzioni raccontando paure, contraddizioni e incertezze del popolo cantonese che si trova tra la preservazione della propria identità e l’accettazione di essere entrati a far parte di qualcosa di molto più grande.

Il Giappone trionfa vincitore con il dramma storico The Eternal Zero e le risate di Thermae Romae II (leggi la recensione del libro e guarda i disegni). Prima anche per numero di titoli in concorso, la terra del Sol Levante ha accontentato un po’ tutti i gusti con quella che è stata la proposta più varia della rassegna in termini di genere. Dai drammi ai thriller, dalle commedie ai film per ragazzi e a quelli romantici, il Giappone va incontro ad un pubblico sempre più eterogeneo.

La Repubblica Popolare Cinese mescola le carte in tavola, e ci si può solo complimentare con lo staff del Far East Film Festival per aver portato in sala Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan. Fresco dell’Orso d’oro di Berlino, il film è la prova concreta che a Diao Yinan gli stilemi della sesta generazione di cineasti cinesi cominciano ad andare stretti. Il noir viene riletto, smontato e consegnato allo spettatore come un genere in cui non è il mistero a farla da padrone ma la sensibilità di caratteri alla deriva.

Anche la Corea del Sud è tornata in forma. Con un enorme Song Kang-ho, il dramma giudiziario The Attorney si porta a casa ben due dei cinque premi destinati ai film in concorso. Feroce denuncia di crimini politici, The Attorney insieme al tesissimo The Terror Live restituisce un cinema che riflette e denuncia il proprio paese con una grande forza e spessore. Meno significativa la restante offerta, fatta di commedie con poca inventiva e thriller senza mordente.

Taiwan non stupisce, invece. La selezione presenta una qualità piuttosto altalenante. Che si tratti di commedia, commedia romantica, documentario sportivo o thriller psicologico qualcosa sembra venire sempre a mancare. Si sorride, ad ogni modo, ma si sarebbe potuto fare qualcosa di più.

Un dicorso che in parte si può estendere alle Filippine. Nonostante il numero di titoli possa portare a pensare ad una sorta di rinascita del cinema locale, giusto Dynamite Fishing di Chito Roño sa difendersi a testa alta in mezzo a commedie romantiche e melodrammi che faticano a distinguersi. Il suo racconto di corruzione politica e deterioramento di una storia d’amore emoziona e fa riflettere allo stesso tempo.

Malaysia e Thailandia arrivano a Udine con un solo lungometraggio a testa. In entrambi i casi si tratta di commedie che lasciano un bel sorriso a fine proiezione. Leggero e romantico il malese The Journey, scanzonato e fracassone il thailandese Pee Mak. È cinema che non inventa niente di nuovo, ma mostra una Malaysia che vuole conquistare pubblico di varie fasce d’età e una Thailandia che può giocare con il suo folklore con un carattere decisamente personale.

Dell’Indonesia, purtroppo, rimane poco. Fin troppo sbilanciata nel ritmo quando cerca la commedia romantica, prova a rilanciare con quello che era il film a sorpresa di questa sedicesima edizione del Far East Film Festival. The Raid 2: Berandal riparte dal successo del primo capitolo insistendo su azione che non lascia respiro e violenza brutale. Il pubblico si divide tra chi ha amato gli eccessi e chi ha condannato il vuoto dei contenuti.

Meritano una menzione speciale le opere restaurate proposte nelle varie giornate. Cinque classici puliti e rifiniti che portano indietro nel tempo fino ad un cinema che vale davvero la pena di essere visto. Memorabili il primo e l’ultimo di questi classici. Le Filippine regalano una potente analisi della propria società con lo splendido Manila In The Claws Of Light. E dal Giappone Ozu Yasujiro demolisce l’ordinarietà di un piccolo paese e dei suoi abitanti con la satira dissacrante del suo Good Morning.

*Manuel Uberti è appassionato di cinema e informatica libera, è attivo nel settore della critica cinematografica dal 2004. Ha collaborato con WhipArt, Do You Realize? e Asian Feast. Autore della prima retrospettiva critica in Italia su Raúl Ruiz, pubblicata nel suo blog Gwailou Tavern.

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