FEFF16 – The Eternal Zero

In by Simone

Eien no 0 è approdato a Udine sulla scia delle polemiche suscitate soprattutto in Cina. Torna in patria da vincitore del Far East. Un kolossal ben riuscito che unisce il film di guerra al dramma amoroso. Ambientato in pieno conflitto del Pacifico, è un film di condanna alla guerra. Ma che non rinuncia a sfumature nazionaliste. In Giappone, Eien no 0 (zero) (tradotto The Eternal Zero), è stato uno dei film più discussi dell’anno scorso, in grado di commuovere il primo ministro giapponese Shinzo Abe e famiglia. Ma allo stesso tempo, se i quasi 7 milioni di biglietti venduti e gli oltre 8 miliardi di yen (circa 56 milioni di euro) guadagnati al botteghino possono costituire prove sufficienti, è uno dei film giapponesi più di successo di sempre.

Con un impianto narrativo ed effetti speciali da kolossal – le ricostruzioni delle battaglie sono spettacolari e fedeli – il lungometraggio di Takashi Yamazaki (oltre due ore di film) racconta la vicenda di Kentaro, un giovane studente, che dopo la morte della nonna lascia da parte i preparativi dell’esame d’avvocatura, uno dei più duri in Giappone, per scoprire la verità, con l’aiuto della sorella, sul proprio nonno biologico morto durante la Seconda guerra mondiale.

Kyuzo Miyabe, questo il nome dell’avo che i due giovani non hanno mai conosciuto, è morto mentre era in missione con la sua unità kamikaze, tokkotai in giapponese. Raggiunti alcuni suoi commilitoni sopravvissuti, i due si trovano di fronte a pareri discordanti. Per qualcuno Miyabe non era altro che un okubyo mono, un codardo. Per altri invece era un eroe, il miglior pilota che l’areonautica militare giapponese avesse mai avuto. Dove sta la verità? E perché Miyabe, si chiede insistentemente il giovane Kentaro, ha deciso alla fine di sacrificarsi?

Lunghi flashback riportano così lo spettatore indietro di 70 anni a fianco dei militari giapponesi, dall’attacco su Pearl Harbour alla battaglia delle Midway fino alla disfatta di Rabaul. Qui protagonisti indiscussi sono i caccia Zero, i velivoli – protagonisti anche dell’ultimo film d’animazione di Hayao Miyazaki, Kaze Tachinu/The Wind Rises – che trasportavano i tokkotai, e Kyuzo Miyabe, un pilota di grande talento in grado di suscitare al contempo l’ammirazione e l’irritazione dei suoi commilitoni per uscire dagli scontri aerei “senza mai un graffio”.

A Miyabe infatti non sembra importare granché di combattere fino allo stremo contro il nemico, difendendo anche a costo della vita l’onore della patria. All’uomo interessa solamente non rimanere ucciso in battaglia, “uscirne vivo” per poter poi tornare a ostilità cessate a casa dalla propria moglie e dalla propria figlia neonata.
La Storia non va però come vorrebbe il pilota e le sorti della guerra dopo l’exploit giapponese a Pearl Harbor passano in mano alle forze alleate. Dotate di strumenti sempre più avanzati, queste riescono a respingere senza problemi i prima inafferrabili Zero e a infliggere colpi letali alle forze dell’areonautica imperiale.

Gli Alti comandi giapponesi decidono così di tentare il tutto per tutto adottando la strategia – o meglio alla “non strategia” – dei kamikaze. Arrivano nuove leve, prelevate senza addestramento dalle università e indottrinate ai principi della morte onorevole per la patria; arrivano anche nuovi aerei, ma sono meccanicamente inaffidabili.
Ed è qui che i piloti più esperti si rendono conto che tutto è perduto: la guerra è persa. Anche Miyabe, che quelle reclute si ritrova ad addestrarle e a vederle morire, capisce che non c’è più niente da fare. Ed è qui che il pilota abbandona la sua missione più importante: tornare a casa.

Di apologetico nei confronti della guerra o del militarismo giapponese (qualche commentatore su internet l’ha definito “propaganda per il terrorismo”), Eien no 0 non ha niente. La guerra viene fortemente criticata ed anzi descritta come una "follia". Yamazaki riesce così ad affrancarsi dalle accuse di aver girato un film “di destra”; rimane però il fatto che il film sia tratto dal romanzo omonimo di Naoki Hyakuta, oggi consigliere d’amministrazione della tv nazionale Nhk, salito agli onori della cronaca a febbraio per aver negato il massacro di Nanchino.

D’altra parte però, il film indulge in più momenti in riflessioni su che cosa sia la “nazione” giapponese, dando risalto a valori considerati “tradizionali” – quali ad esempio l’esaltazione dell’amore familiare o dello spirito di gruppo – muovendo al contempo una critica alle nuove generazioni che non hanno più memoria.

Gli Zero e i loro piloti, sembra dire Yamazaki prendendo a prestito la retorica del nazionalismo giapponese post-bellico, sono stati dimenticati, perché la memoria della guerra è stata oscurata dal senso di colpa o dal disinteresse per tutto ciò che è passato. Anche senza un’aperta esaltazione del valore militare dei kamikaze, Eien no 0 sembra indicare in loro l’esempio per la nazione giapponese: seppur riluttante, alla fine Miyabe ha sacrificato il proprio interesse personale in nome di un bene maggiore, sapendo di poter contare su qualcun altro.

In un certo senso, pur trattando di un periodo assai delicato della storia giapponese, il film cerca di fornire al suo pubblico insegnamenti morali per l’uscita dal “regime postbellico” di cui tanto si lamentano molti politici e attivisti di destra: secondo costoro, sarebbe proprio questo atteggiamento caratterizzato dalla totale mancanza di amor patrio, originato dalla dipendenza dagli Stati Uniti e diffuso in tutti gli strati della popolazione, a impedire una vera ripresa economica dopo vent’anni di stagnazione.

Sarà anche per questo che Eien no 0 è piaciuto al premier Abe, molto sensibile ai temi dell’educazione patriottica e della revisione della costituzione pacifista postbellica.

Torna alla copertina dello Speciale Far East Film Festival 16

[Foto credit: cdn-ak.f.st-hatena.com]