FEFF16 – La rivoluzione di Diao Yinan

In by Simone

Acclamato da pubblico e critica alla scorsa Berlinale, Diao Yinan fa parte della cosiddetta sesta generazione di cineasti cinesi, proprio come il ben più celebre Jia Zhangke.  Black Coal, Thin Ice orso d’oro a Berlino e molto applaudito anche a Udine vuole essere un nuovo modo di fare cinema in Cina e riesce a coniugare l’intrattenimento con lucide analisi sociali.
Quando si parla di cinema contemporaneo della Repubblica Popolare Cinese il primo nome a balzare in mente è quello di Jia Zhangke. Coccolato da prestigiosi eventi come il Cannes Film Festival e la Mostra del Cinema di Venezia, Jia Zhangke è la figura di punta della cosiddetta sesta generazione di cineasti cinesi. Una generazione fitta di nomi importanti, in verità. Una generazione di autori che a fronte di budget ridotti e problemi di censura sta raccontando da oltre vent’anni la Cina e i suoi mutamenti.

È qui che si inserisce Diao Yinan, che con la sua ultima fatica Black Coal, Thin Ice si è aggiudicato l’Orso d’Oro e l’Orso d’Argento per miglior attore alla scorsa Berlinale. Una vittoria che ha diviso il pubblico di Berlino e di Udine, dove il film è arrivato per la sedicesima edizione del Far East Film Festival. Un po’ quello che accadde con Still Life del succitato Jia Zhangke quando conquistò Venezia nel 2006, ma con qualche differenza tutt’altro che marginale. Per la critica cinematografica e gli appassionati di cinema asiatico, infatti, il nome di Jia Zhangke non era certo una novità quando conquistò il Leone d’Oro. Lo stesso non si può dire di Diao Yinan.

Classe 1969, originario come Jia Zhangke della provincia dello Shaanxi, Diao Yinan si è diplomato in letteratura e sceneggiatura alla Central Academy of Drama di Pechino. La stessa scuola che ha formato grandi personalità del cinema cinese come Gong Li e Zhang Ziyi. Prima di passare dietro la macchina da presa, Diao si è impegnato come sceneggiatore per All the Way del coeataneo Shi Runjiu  e per Spicy Love Soup e Shower di Zhang Yang. Appena prima del suo debutto in cabina di regia, trova spazio una prova come attore in All Tomorrow’s Parties di Yu Lik-wai, figura seminale all’interno della sesta generazione di autori cinesi.

Nel settembre del 2003 arriva il suo esordio Uniform. Si accorgono dell’opera i festival di Vancouver e di Rotterdam. Nel primo, in particolare, il lungometraggio vince il premio Dragons and Tigers. Uniform mostra già un Diao Yinan maturo, capace di scrivere e dirigere un’opera perfettamente rappresentativa di quello che è il cinema cinese di oggi.

Cinema di caratteri piccoli e comuni, apparentemente di poca rilevanza, ma esemplificativi della confusione creata dall’inarrestabile evoluzione che sta radicalmente cambiando la Cina. Una delle caratteristiche principali della sesta generazione di registi cinesi è sempre stata questa capacità di rileggere la storia contemporanea del proprio paese tramite gli occhi e le storie di personaggi semplici.

L’uniforme che dà il titolo al film è un elemento che tornerà anche nei due lavori successivi di Diao Yinan. Come lo stesso autore ha rivelato in conferenza stampa al Far East Film Festival di quest’anno, l’uniforme è un simbolo dai molteplici significati. È l’apparato militare, è la Rivoluzione Culturale e l’identità di un popolo, ma rappresenta anche potere che incute timore. Diao per far meglio comprendere l’importanza dell’uniforme nei suoi film fa un esempio: in Italia il poliziotto viene percepito come a servizio del pubblico, in Cina come un’emanazione dello Stato. In entrambi i casi, sotto l’uniforme c’è una persona, un individuo la cui umanità passa spesso in secondo piano perché è la divisa, e ciò che essa sottoindende, che lo qualifica ad una prima occhiata.

In Uniform, Diao parte dal lato opposto. Prima mostra l’umanità e quello che ne rimane nella Cina di adesso. Poi arriva all’uniforme e a cosa cambia una volta indossata. Il protagonista Wang Xiaojian si lascia trasportare dall’autorità che l’uniforme gli conferisce, estorcendo denaro a chi ne ha bisogno per vivere. Ma il lato umano emerge prepotente: i soldi gli servono per curare il padre e per fare colpo sulla ragazza di cui si è invaghito. Senza prendere posizioni decise quando si tratta di giudicare le azioni dei suoi personaggi, Diao restituisce con gesti facilmente equivocabili tutte le incertezze di un popolo che ancora sta cercando di venire a patti con il consumismo di importazione.

Bisogna aspettare quattro anni prima che Night Train faccia seguito a Uniform. Torna l’uniforme, questa volta come abito di Wu Hongyan, una vedova tanto fredda nel lavoro di guardia carceraria quanto disperatamente aggrappata al sogno di trovare un partner. Come in Uniform, Night Train utilizza la divisa come linea di separazione tra ciò che è umano e ciò che non lo è, tra rigidità e delicatezza. Filtrato con la sensibilità di una donna, il racconto di Diao Yinan si fa più cupo e morboso rispetto al debutto. Entrano in gioco pena di morte e giustizia personale, ma piuttosto di condannarle apertamente, Diao ne prende le distanza e lascia che siano Wu Hongyan e più tardi Li Jun a dedicere delle loro azioni.

La scelta di inquadrare a più riprese le mani dei personaggi sembra sottolineare la riflessione sul destino di ognuno. Mani come azioni: le mani di Hongyan che respingono un amante troppo audace, le mani di Hongyan che sollevano una detenuta svenuta, le mani di Hongyan che caricano una pistola, che si aggrappano al braccio dell’amante durante una passeggiata e poi lo lasciano prima di giungere a destinazione. Le mani, come i protagonisti, non sanno esattamente come comportarsi davanti a quello che li circonda. Agiscono impulsivamente o per inerzia, inconsapevoli e persi in una realtà più grande e più complessa di loro.

Night Train si pone temporalmente ma anche idealmente tra Uniform e Black Coal, Thin Ice. Meno ermetico del primo, più diretto del secondo, Night Train mette in luce un Diao Yinan sicurissimo della materia filmica che ha davanti. È qui che comincia a gettare le basi per una ricerca dell’intrattenimento popolare da coniugare con la sua impronta registica. Gli otto anni trascorsi tra la realizzazione di Night Train e quella di Black Coal, Thin Ice sono stati dedicati, stando alle dichiarazioni di Diao Yinan, alla scrittura del film. Questa volta l’autore voleva cambiare strategia: secondo lui, i film dei cineasti della sesta generazione premiati ai festival di tutto il mondo tradiscono la poca voglia di intrattenere il pubblico cinese.

L’obiettivo di Diao era fare in modo che il suo stile potesse essere adattato ad un film di successo anche e soprattutto nella sua terra, sperando allo stesso tempo di poter superare i problemi con la censura del Partito. Originariamente pensato per essere una detective story, Black Coal, Thin Ice è stato rielaborato da Diao in un noir. Il regista in un’intervista a Timeout Shanghai ha affermato che Il Terzo Uomo di Carol Reed e L’Infernale Quinlan di Orson Welles lo hanno fortemente influenzato.

Il titolo inglese del film offre un indizio e una chiave di lettura: carbone e ghiaccio sono due elementi strettamente collegati all’omicidio attorno al quale ruota tutta la vicenda. Ma il titolo cinese, traducibile come fuochi d’artificio alla luce del giorno e riconducibile alla conclusione del film, è più legato a quel qualcosa di straniante che pervade tutta la pellicola. Non il mistero, che c’è e con cui si cerca di venire a capo, ma quell’impossibilità di confrontarsi con una realtà che sfugge di mano e non riesce ad essere spiegata da chi la vive.

Come leggere altrimenti l’improbabile detective interpretato dall’eccezionale Liao Fan? Incapace di relazionarsi con l’attrazione per una donna coinvolta a suo modo nel crimine che fa da sfondo al film, il detective di Black Coal, Thin Ice è del tutto simile al Wang Xiaojian di Uniform. Anche lui con un’uniforme che indossa commettendo errori, anche lui combattuto tra l’azione giusta e quella sbagliata. La sconclusionata danza liberatoria di Liao Fan e i fuochi di artificio alla luce del giorno che illuminano il finale restituiscono l’ambiguità di un paese in cui l’indagine su un brutale assassinio sembra solo un altro modo di reagire a quello che il paese stesso è diventato. Una reazione, ancora una volta, confusa.

Il successo di critica, ma soprattutto di pubblico, registrato da Black Coal, Thin Ice aiuta a comprendere come la sesta generazione abbia finalmente trovato gli spettatori che per anni sembravano disinteressati a questa tipologia di cinema. Diao Yinan sta tracciando una via: si può trovare l’intrattenimento di massa senza perdere di vista le lucide analisi sociali, storiche e politiche che continuano ad abitare nelle immagini di questi film. Sarà interessante vedere come il cinema di Diao Yinan risponderà a questa inaspettata accoglienza.

Torna alla copertina dello Speciale Far East Film Festival 16

*Manuel Uberti è appassionato di cinema e informatica libera, è attivo nel settore della critica cinematografica dal 2004. Ha collaborato con WhipArt, Do You Realize? e Asian Feast. Autore della prima retrospettiva critica in Italia su Raúl Ruiz, pubblicata nel suo blog Gwailou Tavern.

[Foto credit: screendaily.com]