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Evergrande stavolta è fallita. Anzi no

In Cina, Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Cina. Non cessano i guai del colosso immobiliare cinese: i creditori chiedono la bancarotta. Pagate in extremis due cedole su tre, ma i debiti restano stellari: 37 miliardi entro giugno 2022

Una volta la chiamavano zona Cesarini. Ora sta diventando zona Evergrande. Il colosso immobiliare sembra essere riuscito a evitare il default ancora una volta.

E sempre all’ultimo minuto, visto che il pagamento di «almeno due cedole su tre» in scadenza mercoledì è arrivato in extremis. Effetto positivo sui listini, visto che ieri alla borsa di Hong Kong il titolo di Evergrande ha chiuso in rialzo del 6,75%.

A scherzare col cronometro però si rischia di fare tardi, con qualcuno che potrebbe essere tentato di emettere il fischio finale. È il caso della società di consulenza tedesca Dmsa (Deutsche Marktscreening Agentur) che ha chiesto ufficialmente la procedura di bancarotta per il mancato pagamento di interessi anche dopo il termine dei trenta giorni di tolleranza alla scadenza delle tre cedole di bond offshore da 148 milioni di euro.

«La stessa Dmsa ha investito in questi bond e non ha ricevuto alcun pagamento di interessi a oggi. Ora stiamo preparando l’azione di bancarotta e chiediamo a tutti gli obbligazionisti di aggregarsi», si legge in una nota che ha turbato l’ultima notte del sesto plenum del Partito comunista cinese.

Ieri, però, l’emittente cinese Cailianshe ha confermato le anticipazioni di Bloomberg sul pagamento in extremis ai creditori di almeno due delle tre cedole incriminate. Sulla terza esistono versioni differenti. Per il South China Morning Post è stata anch’essa saldata, secondo il Nikkei Asia invece non tutte le transazioni sarebbero state completate: da qui la mossa dei tedeschi.

In ogni caso, la marcia di Evergrande resta zoppicante e lastricata di insidie, a causa dei circa 300 miliardi di dollari da ripagare. Prima della fine dell’anno incombono altre scadenze per 71,4 milioni. Ed entro giugno 2022 dovrebbe riuscire a recuperare oltre 37 miliardi di dollari per onorare tutti i pagamenti in calendario.

Impresa complicata, che costringe la compagnia ad andare a caccia di potenziali acquirenti per i propri asset. Negli ultimi giorni è riuscita a dismettere la partecipazione alla compagnia digitale HengTen Network Groups. Ma ancora manca una grande operazione, come poteva essere quella poi naufragata per la vendita della maggioranza della propria unità di property management a Hopson per oltre 5 miliardi di dollari.

Nel frattempo, l’unità di veicoli elettrici venderà nuove azioni con l’obiettivo di ampliare i finanziamenti alla produzione di veicoli a nuova energia.

Anche perché nei giorni scorsi Xu Jiayin, il fondatore, ha dichiarato di voler provare a spostare almeno in parte l’azienda dal settore immobiliare a quello del trasporto sostenibile. Parte di un tentativo più ampio dell’ex uomo più ricco di Cina di «riabilitarsi» dopo il mancato allineamento alle direttive del governo sulla necessità di ridurre l’esposizione debitoria del settore immobiliare.

In tempi di prosperità comune, meglio allora pagare di tasca propria alcuni progetti immobiliari non finiti o mettere in vendita i jet privati, un tempo esibiti come simbolo di successo personale ma anche di ascesa economica della Cina tutta.

Ora la grandeur è solo un ricordo. Anche in caso di sopravvivenza, la Evergrande del futuro sarà sempre più piccola. Il governo resta per ora defilato e controlla il lungo processo di spacchettamento e smembramento che, come ribadisce il Wall Street Journal, dovrà evitare la caduta fragorosa e assomigliare semmai a una implosione controllata.

Anche perché il primo obiettivo è evitare disordini sociali, dopo le proteste delle ultime settimane a Shenzhen. Le autorità locali sono state chiamate a esaminare lo stato finanziario dei progetti e coinvolgere altri sviluppatori per completare i progetti incompiuti. Ma attenzione al cronometro. Difficilmente il tiro della disperazione centra sempre il bersaglio.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su Il Manifesto]