Dragonomics – Il Gallo cinese sulla scena globale

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Andrea Pira

 

Secondo lo zodiaco cinese i nati sotto il segno del Gallo non disdegnano lo stare al centro dell’attenzione, adorano la compagnia, sono sicuri di sé, ma rischiano di cedere all’arroganza. La descrizione calza a pennello con l’immagine che la Cina ha dato di sé tramite le parole pronunciate dal presidente Xi Jinping durante il recente World Economic Forum di Davos: un Paese alfiere della globalizzazione e nuovo attore responsabile sullo scacchiere mondiale, che fa i conti con i sussulti protezionistici dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. La Repubblica Popolare, che venerdì 27 gennaio ha salutato l’anno della Scimmia e ha dato il benvenuto a quello del Gallo, è un Paese ormai entrato nella «nuova normalità» economica, ossia contraddistinta da tassi di crescita che molte altre aree al mondo invidierebbero (l’Europa su tutte), ma lontane dalle cavalcate a doppia cifra.

Il 2016 si è chiuso con un’espansione del pil del 6,7%. I dati «hanno confermato che la seconda più grande economia mondiale si sta stabilizzando», commenta Eric Moffat di T. Rowe Price che per il 2017 prevede «un ciclo di alternanza tra paura e ottimismo». Pertanto gli investitori, a detta dell’analista, dovranno attendersi molto «rumore», prodotto dallo sfruttamento delle riserve in valuta estera, cui Pechino sta attingendo per stabilizzare lo yuan; dal surriscaldamento del mercato immobiliare; dalle relazioni, al momento tese, con Trump e in autunno dal Congresso del Partito comunista, che procederà a un ricambio parziale del gruppo dirigente.

Il periodo è «sensibile» per usare un termine in voga a Pechino. La frenata della crescita è da tempo un fatto assodato. Vanno però conciliate le necessità che la crescita si mantenga attorno al 6,5% e quella di proseguire con le riforme. Craig Bothman, esperto per i mercati emergenti di Schroders, sottolinea però l’importanza del conclave rosso per il presidente Xi, che potrà plasmare la futura nomenklatura cinese con uomini a lui vicini. Pertanto, in vista dell’appuntamento, è scettico sull’attuazione di veri tagli ai settori dove la capacità produttiva è in eccesso, come sollecitato dall’Unione europea e dagli Usa e, come a più riprese annunciato dalle stesse autorità centrali, pronte a parole a ristrutturare settori come quelli dell’acciaio. «Non ci sarà un atterraggio duro dell’economia, anche se alcuni economisti se lo aspettano da 15 anni», commenta Philippe Ithurbide di Amudi Sgr.

Tuttavia la transizione in atto verso un economia più equilibrata e non più gravitante sulle esportazioni «causa un ricorso eccessivo al credito». Inoltre «il debito privato è salito alle stelle, la competitività dell’industria è diminuita e c’è stato un calo dei guadagni di produttività». Il problema aggiunge il ricercatore, «non è sapere se la crescita futura o potenziale sarà più bassa, questo è già un dato di fatto, ma sapere se potrà scendere molto più del suo attuale potenziale. Uno dei fattori negativi da tenere in considerazione è l’ipotesi che Trump tenga fede all’impegno di imporre dazi doganali del 45% sulle merci made in China». Nei primi giorni alla Casa Bianca, il presidente ha già dato prova di voler mettere in pratica quanto promesso.

E questo potrebbe valere anche per la decisione di accusare formalmente la Cina di manipolare lo yuan per sostenere le esportazioni. Nel breve termine le aspettative per l’economia cinese potrebbero essere più negative di quanto previsto, ha detto addirittura Jack Ma, re dell’e-commerce, che in questo primo scorcio di 2017 si è trovato in sintonia con Trump. garantendo che contribuirà a creare 1 milione di posti di lavoro negli Usa. Una fase più complicata che per il patron di Alibaba dovrebbe durare per i prossimi tre o addirittura cinque anni. Quanto ai rapporti con Washington, il rischio secondo Ma è quello di una «grande guerra commerciale, che sarà un male per la Cina, per gli Stati Uniti e per il mondo intero».

Un ulteriore rallentamento è già stato messo in conto dalle stesse autorità centrali. Nonostante le ombre legate ai rapporti geopolitici c’è comunque ottimismo per il flusso di investimenti cinesi all’estero e quindi anche in Italia. «Il 2016 si è registrato un discreto numero di operazioni cross-border di fusioni e acquisizioni da parte dei cinesi», sottolinea Nicola di Molfetta, direttore di Legalcommunity, «un trend che proseguirà anche nel 2017», nonostante le regole più stringenti per gli investimenti esteri delle grandi aziende di Stato e i vincoli contro le fughe di capitali.

[Scritto per MF – Milano Finanza]