Dietro il calo delle borse cinesi, c’è la "crisi di panico" dei piccoli azionisti, che non capiscono più dove si vada a parare. Sul lungo periodo, il governo di Pechino ha però molte frecce nella faretra. Sul breve, naviga a vista. “Dimenticatevi la Grecia, qui c’è un emergenza Cina!” Negli ultimi giorni sono circolati da più parti avvertimenti che suonavano più o meno così e il cui senso era: la Grecia ha intorno l’Europa che prima o poi ci metterà una pezza e poi è piccola, che danni può fare? La Cina, invece, è un gigante d’argilla dove il crollo degli indici borsistici che si è verificato nelle ultime settimane (fino a -30 rispetto ai picchi gloriosi di poco tempo fa) rivela una bolla finanziaria sul punto di esplodere e una immobiliare immediatamente a ruota.
A peggiorare la situazione, il fatto che parecchie delle misure varate in serie da Pechino per risollevare la situazione si sono rivelate infruttuose: crisi di panico, crisi di sfiducia degli “gnomi” di Shanghai e Shenzhen – i piccoli azionisti rappresentano circa l’80 per cento del mercato borsistico cinese e hanno comportamenti volubili, da giocatori d’azzardo – che non credono al loro governo.
Oggi si sono verificate reazioni miste delle borse cinesi dopo un nuovo stimolo annunciato dal governo nel week-end (e dopo il voto greco). In pratica brokers e gestori di fondi, sia privati sia istituzionali, hanno accettato di comprare azioni con il supporto finanziario dello Stato e della Banca centrale. La borsa di Shanghai ha reagito chiudendo in rialzo le contrattazioni di metà giornata, leggermente giù, invece, Shenzhen. È presto per dire se siamo assistendo a un’inversione di tendenza, sicuramente Pechino ha molte frecce nella faretra ma in un mercato “politico” come quello cinese – nel senso che chi investe legge i segnali della politica più che quelli economici – ogni gesto dell’Imperatore può essere letto come segno sia di forza sia di debolezza, l’esito è del tutto sperimentale.
È però interessante valutare un’altra ipotesi. Diversi economisti parlano di semplice “volatilità dei mercati” e di normale “aggiustamento” per un settore finanziario, quello cinese, ancora giovane e in divenire. Cioè, in pratica, la Cina sta cercando di trasferire risorse dai settori meno innovativi (e quindi si determina l’attuale “crollo” degli investimenti tradizionali) a quelli innovativi (le tecnologie, le produzioni ad alto valore aggiunto, di cui però gli “gnomi” non si fidano ancora).
È il segnale di questa volontà politica del governo a rendere circospetti gli azionisti cinesi. Lo “gnomo”, tradizionalmente, investe nell’immobiliare, strettamente collegato alla crescita del credito ombra: così, mette i suoi soldi sia nei titoli immobiliari in borsa (favorendo la riproduzione del sistema basato su cemento e mattone), sia nella proprietà vera e propria (togliendo risorse agli stessi investimenti borsistici). Questo modello non è oggi sostenibile e Pechino ha più e più volte dato il segnale di volerlo cambiare, per veicolare altrove le risorse necessarie.
Dato il ruolo privilegiato della politica e il fatto che gli gnomi si aspettano proprio che sia la politica a guidare i mercati, sul lungo periodo le borse di Shanghai e Shenzhen saranno presumibilmente sostenute proprio dal pacchetto di riforme del governo.
In primo luogo, c’è da scommettere che Pechino continuerà a offrire una politica monetaria favorevole, continuando a tagliare tassi di interesse e il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche.
In secondo luogo, influiranno sul sistema la riforma delle imprese statali – per migliorarne la produttività – e il sempre più accentuato lancio di start-up innovative, favorite da stimoli del governo.
In terzo luogo, in un processo semi-spontaneo, saranno gli stessi “gnomi” a cogliere questi segnali e a spostare il proprio denaro dalle vecchie forme di investimento alla borsa, dove i rendimenti sono più interessanti.
C’è infine quel coacervo di aspettative legate alla "One Belt One Road", con tutti i business collegati e lo scopo secondario (ma non troppo) di inghiottire la sovrapproduzione delle industrie “tradizionali” cinesi (cemento e acciaio soprattutto).
Insomma, ci sono molte risorse da spendere per risollevare le borse trasformando al tempo stesso sia la natura degli investimenti sia l’economia nel suo complesso.
Nel frattempo, si tengono d’occhio i comportamenti gnomeschi e si naviga a vista.