Dossier: voci operaie (prima parte)

In by Simone

Lo scoppio di conflitti operai nella prima metà di quest’anno ha coinvolto in particolar modo imprese di proprietà straniera, facendo emergere in tutto il mondo considerazioni sia riguardo al futuro della regione come base manufatturiera a basso costo, sia riguardo la leadership comunista, che sembra essere minacciata proprio dalla classe operaia. Questo rapporto si concentra soprattutto sulle conseguenze a breve termine di questi eventi sia nella concreta situazione sociale ed economica degli operai sia negli ambiti politici e legislativi del Paese.


Nella prima parte le informazioni raccolte attraverso le interviste agli operai danno un’immagine delle loro condizioni di lavoro. Il filo conduttore di questo capitolo è rappresentato dalla volontà di capire se la qualità della loro vita sia effettivamente migliorata nel corso degli ultimi mesi e in che misura i lavoratori immigrati di oggi, coloro cioè che rappresentano la seconda generazione di cinesi trasferitisi dalle campagne nelle città, avanzano le loro richieste con più fiducia e consapevolezza rispetto ai loro genitori.

Poichè alcuni scioperi non sono – in una mossa senza precedenti – stati vietati ma anzi hanno fatto notizia anche sui media internazionali, la seconda parte analizza le risposte governative e sindacali. É il governo cinese veramente interessato alle condizioni degli operai o la sua attitudine conciliatoria dovrebbe piuttosto essere vista come una strategia politica per il mantenimento della leadership? Come considerare lo schieramento inusuale dell’ACFTU dalla parte degli operai? E infine quale ruolo sta avendo il governo provinciale del Guangdong nel migliorare le condizioni genenali degli operai cinesi?

Migliorate condizioni di lavoro in seguito agli scioperi?

Continui scioperi e proteste su tutto il territorio cinese hanno fatto seguito ai suicidi commessi da alcuni operai nello stabilimento di Shenzhen di Foxconn, fabbrica gestita dall’azienda taiwanese Hon Hai e conosciuta come il più grande produttore al mondo di componenti elettroniche. Dopo diverse interruzioni di lavoro a partire dal mese di maggio, la Foxconn ha promesso l’incremento del livello dei salari dei suoi dipendenti da 1200 a 2000 yuan a partire da ottobre e appare disposta a provvedere una migliore offerta di lavoro. Insieme allo scandalo che ha coinvolto il fornitore di Apple, gli scioperi negli stabilimenti di Honda, Nissan e Toyota possono essere visti come l’apice dell’onda dei disordini sociali in Cina cominciata a metà degli anni ‘90. Con proteste e dimostrazioni, gli operai hanno parzialmente ottenuto ciò che domandavano, vale a dire salari più decenti (2).

Se la situazione degli operai delle fabbriche appena menzionate è migliorata proprio grazie alla crescente forza di contrattazione e alla rafforzata coscienza dei propri diritti mostrate dagli operai durante gli scioperi, le interviste condotte con dodici operai, tre taxisti, tre imprenditori, due cittadini locali e due professori cinesi evindaziano come il processo di miglioramento delle condizioni operaie sia solo agli inizi. Nonostante le modifiche sulla legislazione del lavoro del 2008, molti operai, e tra questi soprattutto quelli immigrati dalle campagne, sono ancora insoddisfatti della loro situazione e i loro diritti ancora troppo spesso abusati.

Le reali condizioni di lavoro e di vita degli operai

Gli operai intervistati sono giovani e celibi; tra questi il minore è stato una ragazza di 18 anni, i maggiori di età due ragazzi di 28. Ad eccezione di uno di loro, nessuno è in possesso di un “permesso di residenza permanente” nella città dove lavorano, perchè provenienti da altre province cinesi tra cui Guangxi, Henan, Sichuan, Chongqing, Hunan e Shangdong.

La maggior parte di essi è diplomata ma non ha continuato gli studi in quanto non interessata o nell’impossibilità di sostenerne i costi; solo un ragazzo cominciò un corso universitario in scienze tecnologiche, che però interruppe dopo un anno e mezzo per lasciare casa in cerca di lavoro. Quattro di loro hanno già avuto altre esperienze lavorative prima di iniziare a lavorare in Guangdong; i restanti otto hanno sempre lavorato nella fabbrica attuale. Metà degli operai intervistati lavora in imprese cinesi, mentre l’altra metà è impiegata in compagnie estere.

Sebbene non abbiano mai preso parte ad uno sciopero, essi non solo sono al corrente dei disordini in stabilimenti o città vicini ma soprattutto condividono alcune delle ragioni, che hanno spinto gruppi di operai ad interrompere la produzione di diverse fabbriche. In particolar modo essi si lamentano dei salari mensili troppo bassi; questi si aggirano intorno ai 1000 e i 1600 RMB.(3)

Negli ultimi quattro anni, un ragazzo è stato perfino costretto a trasferirsi di continuo di città in città proprio perchè ciò che guadagnava non bastava mai per arrivare senza preoccupazione alla fine del mese. Lo stesso giovane ha inoltre alluso alle numerose difficoltà che i lavoratori dalle zone rurali, soprattutto del centro e ovest della Cina, incontrano nelle città e che derivano per la maggior parte dalla discriminazione nei loro confronti, instituzionalizzata nel sistema di registrazione della cittadinanza, cosiddetto hukou; esclusioni e marginalizzazioni in vari aspetti della vita sociale contribuiscono quindi ulteriormente a peggiorare le loro condizioni di vita.

Un altro operaio immigrato ha menzionato la talvolta enorme disuguaglianza tra i salari elargiti dalla stessa compagnia in diversi stabilimenti in base al livello di sviluppo urbano dei siti in cui si trovano. McDonald, per esempio, offre stipendi inferiori nei ristoranti della periferia di Guangzhou rispetto a quelli nel centro; una nuova zona residenziale come Xintan (新塘镇) è ancora considerata alla pari di un “villaggio” (农村) (4), nonostante il costo della vita sia lì tanto elevato quanto lo è in centro città.

Dal punto di vista di cinque operai, al contrario, i loro stipendi sono giusti; privi di alcun tipo di qualificazione o di un buon curriculum vitae, essi non si ritengono all’altezza di poter pretendere condizioni salariali migliori o pari a quelle degli operai specializzati. Solo due degli intervistati si sono detti soddisfatti delle proprie entrate mensili, in quanto molto più elevate di quanto lo sarebbero nella provincia da cui provengono.

In generale, tutti gli operai immigrati incontrati sono convinti che le condizioni di lavoro nelle fabbriche di grandi dimensioni, che sono state teatro di scioperi, sono peggiori rispetto alle proprie; alcuni di loro ritengono che specialmente le amministrazioni delle imprese giapponesi siano molto più severe e rigide che altrove. Tutti hanno affermato di ricevere dalle fabbriche per cui lavorano prestazioni sociali quali assicurazione su malattie e infurtuni e indennità di maternità; stipendio e straordinari vengono loro apparentemente consegnati alla fine di ogni mese insieme a saltuari premi lavorativi per turni notturni o buona condotta.

Ognuno di loro dispone inoltre di una copia del contratto di lavoro e si è mostrato conscio dei propri diritti, tra cui ad esempio quelli di godere fino a due giorni di riposo a settimana, di non superare le tre ore giornaliere di straordinari e le 40 mensili e a vitto e alloggio gratutiti.(5) In due casi le fabbriche offrono agli operai corsi professionali e attività ricreative come il badminton e la pallacanestro.

Nonostante l’evidente consapevolezza riguardo ai propri diritti, la maggior parte di essi lavora di norma fino a 12 ore al giorno e durante il fine settimana, vale a dire quindi molte più ore di straordinario rispetto a quelle concordate nei termini del contratto lavorativo e permesse dalla riformata legge sul lavoro. Molti si sono dichiarati disposti a fare ore di straordinario in quanto unico modo per poter guadagnare qualche soldo in più.

Un impresario, dal suo lato, ha affermato che per le imprese è impossibile rispettare il regolamento che impone di non eccedere le tre ore giornaliere di straordinari sia perchè queste (ad eccezione di imprese famose e di grandi dimensioni come Foxconn e Honda) non possano permettersi di diminuire i livelli di produzione, sia perchè gli operai siano in ogni caso sempre ben disposti a lavorare.

Lo stesso imprenditore ha inoltre ribadito che la chiusura negli ultimi quattro anni di numerose industrie o il ricollocamento di queste nel loro Paese di provenienza o in altre zone dell’interno della Cina o dell’Asia sud-orientale sono precisamente state causate dalle loro difficoltà nel far fronte ai costi di produzione sempre maggiori. Secondo lui, la legislazione sul lavoro è stata recentemente riformata talmente tante volte che le aziende devono perfino investire in nuove risorse umane per poter analizzare e comprendere le leggi che le concernono.

Se da un lato gli operai, le persone incontrate per strada e i taxisti intervistati ritengono che le condizioni operaie siano andate migliorando negli ultimi anni, che gli operai non siano più sfruttati e che abusi di diritti operai non siano più compiuti su base giornaliera, due operai sono, al contrario, della ferma convinzione che la legge sul lavoro non sia seriamente tenuta in considerazione nè tanto meno rispettata nella pratica. Un altro impresario ha ammesso che l’invio di lettere di sollecitazione, il ritenimento di salari e il licenziamento ingiustificato sono ancora utilizzati nei confronti degli operai che non obbediscono (不听话的). I suddetti metodi tornano comodo, ad esempio, quando un lavoratore si rifiuta di fare straordinari, agisce in maniera irresponsabile o contro terzi o danneggia l’attrezzatura dell’azienda.

Malgrando la frustrazione dovuta ai salari mensili troppo spesso ingiustamente bassi rispetto al continuo lievitare del costo della vita, solo pochi tra gli operai intervistati partecipererebbe ad uno sciopero. Per la risoluzione più immediata della propria insoddisfazione la maggior parte di loro (sette) intravvede la possibilità di cambiare lavoro, anche se permane in alcuni il timore di non riuscire a trovare un lavoro più remunerativo, vista la loro mancanza di qualificazioni specifiche. Fintanto che non sono a conoscenza di una migliore offerta lavorativa, essi sono per di più ancora disposti a fare straordinari.

Discussioni dirette con il direttore o l’amministrazione aziendali sono viste da molti come la seconda strada percorribile per migliorare le proprie condizioni; un operaio della fabbrica di proprietà giapponese Foster (丰达电机厂) nel distretto Panju di Guangzhou (番禺区) riferisce che la sua impresa organizza ogni mese un meeting tra management e impiegati, durante il quale a questi ultimi è data la possbilità di riferire apertamente su eventuali problemi per cercare di risolverli di comune accordo. Tuttavia, lo stesso operaio ha confessato di non sentirsi del tutto libero di menzionare le sue frustrazioni in tali occasioni.

Il terzo canale attraverso il quale poter portare avanti le loro richieste, che sia gli operai che i tre imprenditori hanno menzionato, è stato, alla sorpresa dell’intervistatrice, l’Ufficio Governativo del Lavoro (劳动局), considerato come l’istituto più capace di rappresentare la forza operaia in casi di abusi o illeciti. Due manager hanno inoltre aggiunto, che gli uffici del lavoro provvedono spesso corsi di formazione gratuiti, dove i lavoratori vengono istruiti non solo riguardo ai loro diritti legali ma anche sulle modalità di organizzarsi contro i loro capi d’azienda. Lo stesso rappresentante manageriale ha inoltre citato una pratica apparentemente sempre più comune tra gli operai, vale a dire l’appello ad “avvocati in nero” (黑律师), i quali pare aspettino all’entrata dei tribunali operai bramosi di denunciare senza alcun motivo qualche povero impresario innocente.

Infine, anche se come precedentemente accennato, nessuno degli operai immigrati intervistati ha mai preso parte a manifestazioni di protesta, lo sciopero è considerato dalla maggior parte di essi come uno strumento molto buono di cui essi dispongono. Particolarmente degno di nota, uno dei tre taxisti interivstati, anch’egli lavoratore immigrato, ha ricordato con molto entusiasmo i notevoli risultati ottenuti in seguito allo sciopero su scala nazionale organizzato dai taxisti nel 2008 e che, a suo parere, sono esemplificativi dell’importanza e della necessità di queste azioni nella Cina contemporanea.

Due operai ritengono che le “interruzioni di lavoro” ("停工" e "待工") (6) possano essere utili sono in alcuni casi, vale a dire solo in quelle fabbriche di grandi dimensioni, ad elevati profitti e famose nel mondo. Solo tre lavoratori non credono che protestare possa essere fruttuoso o almeno un atto significativo. Secondo il punto di vista di una giovane operaia, poichè il valore dello stipendio è determinato solo ed esclusivamente sulla base delle specifiche norme della fabbrica, nessuna protesta potrebbe cambiare queste regole e quindi neppure portare ad un miglioramento delle loro condizioni di lavoro.

Benchè il contratto di lavoro definisca i sindacati come il secondo strumento da usare per la risoluzione dei conflitti di lavoro, se le consultazioni all’interno della fabbrica falliscono, (7) nè gli impresari nè gli operai intervistati considerano questi come istituzioni utili a tale scopo.

Nessuno degli operai ha fatto riferimento all’ACFTU come organismo su cui appoggiarsi. Quando un’opinione sui sindacati è stata chiesta dall’intervistatrice, molti di essi hanno risposto sorridendo che in quanto dipartimenti governativi questi sono inutili per gli operai; mirando al mantenimento dei privilegi politici ed economici del Parito, essi sono sempre schierati dalla parte dell’azienda e non sono perciò in grado di rappresentare la classe lavoratrice.

Per esprimere questo con le parole di un operaio: “In Cina sembra che sindacalisti e ufficiali governativi siano la stessa cosa!” (“在中国工会人员好像政府人员”). In nessuna delle fabbriche dove sono impiegati gli intervistati sono presenti sindacati democratici di base. Un impresario ha riferito che in alcune fabbriche vicine sono stati eletti rappresentati degli operai all’interno dello staff; in realtà però, ha ammesso lui, è risaputo che questi delegati hanno il compito di proteggere gli interessi dell’azienda.

Inoltre, egli ha giustificato l’assenza di una rappresentaza sindacale nella sua fabbrica con la mancanza di fondi e l’inutilità di una tale istituzione all’interno di stabilimenti di piccole e medie dimensioni con all’incirca 300 impiegati. Solo un operaio, invece, ha menzionato elezioni democratiche dirette nelle fabbriche come target desiderabile, in quanto unico modo per i sindacalisti di rappresentare veramente gli interessi operai. Nessuno, invece, ha mai pensato di lottare per la creazione di sindacati autonomi al livello delle fabbriche, probabilmente perchè non è loro chiaro quale sia effettivamente il ruolo che un sindacato genuino dovrebbe avere.

La nuova generazione di operai immigrati

Le interviste condotte per questo studio sono sufficienti a confermare la maggior parte delle caratteristiche che la Federazione dei Sindacati di Shenzhen ha assegnato, in un documento pubblicato recentemente (8), alla nuova generazione di operai immigrati. Secondo tale indagine, questa è composta da giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni e provenienti da molteplici aree della Cina. Il 70% di essi non è sposata e possiede un buon livello di educazione; a differenza della generazione precedente di lavoratori immigrati, la maggior parte di loro ha infatti frequentato i nove anni di scuola dell’obbligo tanto che il 44,9% ha concluso la scuola superiore. Inoltre il 78,8% è in possesso del contratto di lavoro; il livello di stabilità del posto del lavoro non è invece alto.

Come lo era per la prima generazione, i tipi di lavoro richiesti e accettatti dagli immigrati sono ancora spesso molto duri e estenuanti. Tra i 135 posti di lavoro attualmente disponibili in Guangzhou, Dongguan e Shenzhen per “semplici operai” (普工) e operai qualificati (技工), che sono stati letti su giornali settimanali emessi da o annunci affissi presso uffici di collocamento, 67 descrivono il tipo di lavoratore richiesto come capace di sopportare “吃苦耐劳”.(9)

I loro salari sono allo stesso modo sempre ancora molto bassi. Inoltre, la disposizione mostrata dagli operai intervistati di lavorare molte più ore rispetto a quelle previste per legge conferma che essi hanno ancora un senso di rensponsabilità molto forte nei confronti delle loro famiglie. Il fatto che essi abbiano solo uno o due giorni liberi a settimana e che una normale giornata lavorativa duri più di 12 ore permette di supporre che essi non siano grandi consumatori, bensì al contrario preferiscano riparmiare quel poco che guadagnano. Che la metà degli operai immigrati vive nei dormitori messi a disposizione dalle fabbriche è un ulteriore dato confermato dalle conversazioni e dagli annunci di offerte di lavoro attualmente disponibili nelle tre città visitate.

Gli obbiettivi principali degli operai che si trasferiscono dalle campagne nelle città sono ancora principalmente di natura economica. É da riconoscere, però, che è sempre più comune incontrare giovani lavoratori immigrati alla ricerca allo stesso tempo di possibilità di crescita personale ed intellettuale nell’ambito lavorativo o attraverso corsi di formazione. In ogni caso, se essi si dichiarano disposti a cambiare città, l’opzione di ritornare al paese di provenienza non è di solito contemplata. Da nessuna delle interviste è infatti emerso il desiderio di ritornare “a casa”; cinque tra essi vorrebbero trovare un nuovo lavoro che dia loro la possibilità di accrescere le loro conoscenze e migliorare le loro capacità.

Conformemente a quanto descritto nel documento dell’ACFTU di Shenzhen, le maggiori difficoltà incontrate dai giovani immigrati sono connessi alle insufficenti entrate mensili. Inoltre, come menzionato da alcuni operai, il discriminativo sistema di registrazione della cittadinanza rappresenta un ostacolo istituzionale al miglioramento delle loro condizioni sociali ed economiche. La frustrazione per i rapporti di potere disequlibrati all’interno delle fabbriche ha altrettanto trovato conferma nei sentimenti di disagio e insicurezza che alcuni intervistati hanno ammesso di provare al solo pensiero di fare rapporto ai propri capi sugli eventuali problemi sul posto di lavoro. Incrementi salariali rimarrebbero per cui per tutti gli operai intervistati come la soluzione più immediata e semplice alle proprie fatiche, confermando ancora una volta quanto emerso dal rapporto sopra menzionato.

L’instituzione di elezioni democratiche di rappresentanti all’interno delle industrie, è invece, come già accennato nel capitolo precedente, solalmente stato menzionato da un lavoratore.

Mentre l’indagine della Federazione Sindacale di Shenzhen afferma che gli operai immigrati di oggi riconoscono positivamente il ruolo dei sindacati e hanno grandi attese dal governo, le conversazioni avute non hanno evidenziato alcun tipo di sentimento di fiducia o affidamento nei confronti dell’ACFTU e di ciò che dovrebbero essere le sue funzioni. Inoltre, gli operai incontrati non si sono mostrati particolarmente fiduciosi nel governo di Pechino, considerato “distante” dalle loro vite, nè totalmente confidenti nel futuro.

Non sono tra le richieste prioritarie dei giovani intervistati nè il rafforzamento del ruolo dei sindacati nè la promozione dei sistemi di contrattazione e consultazioni collettive.


NOTE ALLA PRIMA PARTE

(1) Il movimento di massa di operai dalla zone remote della Cina nelle città costiere è già stato definito come la più grande migrazione interna della storia. Vedi: Aris Chan, “Paying the price for economic development. The children of migrant workers in China”, CLB, Novembre 2009, p. 5.

(2) Vedi: Elaine Kurtenbach, “Companies brace for end of cheap made-in-China era”, AP, 9 luglio 2010, http://asia.news.yahoo.com/ap/20100708/tap-as-china-cheap-no-more-bb10fb8.html; “富士康等珠三角企业加薪被指明升暗降” (Foxconn e altre imprese della regione del delta del Fiume di Perla annunciano aumenti salariali; le entrate mensili degli operai non sembrano in aumento), Radio France Internationale, 7 luglio 2010, http://www.chinese.rfi.fr/中国/20100706-富士康等珠三角企业加薪被指明升暗降.

(3) É da tenere in considerazione che il salario minimo mensile nelle città di Guangzhou, Dongguan e Shenzhen è rispettivamente pari a 1030 RMB, 920 RMB e 1100 RMB. Vedi: “2010年调整最低工资标准的省市” (Aggiustamenti provinciali e comunali del minimo salariale nel 2010), 16 giugno 2010, http://wenku.baidu.com/view/2b0488eb19e8b8f67c1cb987.html; Chen Xin, “Chinese workers take home larger pay packets”, China Daily, 19 agosto 2010, http://www.chinadaily.com.cn/china/2010-08/19/content_11173533.htm.

(4) Un impiegato presso McDonald ha ribadito in tono sarcastico che l’area periferica di Xintan dovrebbbe più correttamente venire designata come “villaggio urbano piuttosto moderno” (比较发达现代化的一个农村).

(5) Una copia del contratto di lavoro usata dall’azienda RjModels (港基建筑模型有限公司) e basata sul modello predisposto dall’Ufficio Governativo del Lavoro (劳工局) della municipalità di Bao’an in Shenzhen (深圳市劳动和社会保障局编制的劳动合同) conferma che vitto e alloggio dovrebbero essere offerti dall’azienda in quanto benefici sociali aggiuntivi.

(6) La terminologia usata da questo lavoratore per definire gli scioperi riflette l’affermazione della professoressa Cai Hong (蔡红), secondo cui gli operai sono ancora convinti che gli scioperi (罢工) siano illegali e di conseguenza trovano più conveniente e meno rischioso usare espressioni quali停工e 待工per definire queste azioni di protesta. 

(7) Vedi: art. 11 del modello di contratto di lavoro emesso dall’Ufficio del Lavoro del distretto di Bao’an, Shenzhen (深圳市劳动和社会保障局编制的劳动合同, 十一条).

(8) Vedi: “深圳新生代农民工生存状况调查报告” (Indagine sulla nuova generazione di operai immigrati a Shenzhen), 人民网 (Quotidiano del Popolo Online), 7 luglio 2010, http://news.sohu.com/20100715/n273527515.shtml, http://www.letv.com/ptv/vplay/775408.html.

(9) Gli uffici di collocamento visitati sono: 广州招聘广场,东莞中心人才市场,深圳华中人才交流中心. I giornali sulle offerte di lavoro consultati sono: 广州日报求职广场 (23/08/2010), 前程招聘专版 (23/08/2010), 招聘专刊 (24/08/2010), 南方人才交流会今日招聘信息 (25/08/2010), 智通招聘专版 (20/08-27/08/2010, 27/08-3/09/2010), 招聘快讯 (30/08-3/09/2010).

[La seconda parte del Dossier è a questo indirizzo]

*Denise Perron è laureanda in “Politica dell’Estremo Oriente” con punto focale “Cina” presso la Ruhr-Universität di Bochum (Germania), dove studia dall’ottobre 2008.  Nel dicembre 2007 ha ottenuto la laurea triennale in “Mediazione Linguistica e Culturale” presso l’Università Statale di Milano, specializzandosi nelle lingue e culture cinese e tedesca. Il presente rapporto è stato scritto nel settembre 2010 ad Hong Kong, dove ha lavorato presso ONG cinesi.