Mentre il mondo guarda con giusta apprensione all’ascesa del fenomeno fascio-razzistoide Donald Trump, il candidato alla presidenza Usa e l’India – secondo paese per popolazione al mondo generalmente ricnosciuto come superpotenza asiatica emergente – sembrano non occuparsi più di tanto l’un dell’altra, apparentemente in altre faccende affaccendati. Ma la stampa indiana, approfittando di due riferimenti sfuggevoli di Trump all’India e agli indiani, sta dando voce a un gruppo di indo-americani che nel miliardario nemico del politically correct vedono la promessa di un futuro Potus «con le palle». E torna quella smania di machismo che anima l’elettorato generalmente conservatore dei Non Resident Indians (Nri).Nelle ultime settimane Donald Trump, nel vortice di nonsense populista col quale sta conducendo una preoccupante campagna elettorale di successo, è riuscito a infilare l’India nei propri sproloqui per ben due volte.
E l’ha fatto come lo fanno in molti: o a caso, senza sapere di ciò che parla, o banalmente.
Parlare bene dell’India a sproposito è come il grigio: sta bene con tutto
La prima frase l’ha pronunciata in un’intervista concessa al giornalista di Cnn Wolf Blitzer lo scorso gennaio, e recita: «L’India sta andando alla grande, ma nessuno ne parla». Un inciso che Trump aveva fatto all’interno del solito attacco alla Cina – uno dei suoi cavalli di battaglia – facendo riferimento, si suppone, al mito fantascientifico di New Delhi che cresce più di Pechino, pronta a scavalcare la Repubblica popolare cinese e guidare il blocco asiatico verso un espansionismo economico finalmente western friendly (una boiata che ci portiamo avanti da almeno quindici anni e niente, non c’è verso di dimostrare il contrario).
La seconda frase ha fatto invece capolino in un’intervista a Fox News: «Penso che coloro che finiscono l’università qui da noi non debbano essere cacciati il giorno che prendono il diploma. E invece lo facciamo. […] Vanno ad Harvard, sono i primi della classe, vengono dall’India , fondano qui delle aziende, fanno fortuna e danno da lavorare a un sacco di gente etc.».
E anche in questo caso quello che pare chiaro essere un esempio – «vengono dall’India» – per parlare degli immigrati che piacciono ai Republicans, dalla stampa indiana viene estrapolato e amplificato come un riferimento preciso e mirato alla sola comunità migrante indiana negli Usa (intorno a 3 milioni di persone), un attestato di stima all’operosità dei cosiddetti Non Resident Indians (Nri). La stessa che, in numeri impressionanti, si è riversata in palazzetti dello sport e stadi a sostenere il primo ministro Modi nelle numerose visite negli Stati Uniti.
Nri per l’Uomo solo al comando
Di certo non tutti gli Nri rientrano nella categoria degli ultrà di Modi, ma alcuni articoli apparsi in India lasciao intendere delle convergenze ideologiche tra i sostenitori del Bharatiya Janata Party (Bjp) residenti in Usa e chi, sempre in Usa, ha formato comitati di indo americani in sostegno a Trump.
Ndtv, ad esempio, ha intervistato il dottor Sudhir Parikh, Nri residente a New York e presidente del gruppo Indian Americans for Trump 2016, un comitato che sostiene la candidatura del miliardario repubblicano alle prossime presidenziali di novembre (non si capisce quanto possano essere rappresentativi della comunità di Nri in termini numerici). Parikh ha motivato il proprio sostegno a Trump descrivendolo come «un uomo d’azione, un businessman di successo che potrà lavorare molto bene con l’attuale governo indiano».
Nonostante tradizionalmente gli Nri negli Usa votino in maggioranza per i democrats – lo fa il 65 per cento di loro, dice India Today citando «uno studio» – una fetta di questo elettorato in maggioranza hindu e conservatore potrebbe farsi ingolosire dalla prospettiva dell’Uomo del fare alla Casa Bianca, ricalcando la passione per il decisionismo autoritario che ha contribuito all’ascesa di Modi in India (con quel pizzico di islamofobia che non guasta).
Cadendo nel tranello di un Trump che dimostra di conoscere poco e nulla dell’India – dove conduce affari nel mercato immobiliare di lusso – e, come molti altri, preferisce citarla sempre e solo in termini comparativi col minaccioso gigante cinese.
Continuando a perpetrare il grande inganno dell’«altra» potenza asiatica preferibile alla Cina, nonostante i due paesi siano difficilmente paragonabili in volume d’affari, reddito pro capite, alfabetizzazione, malnutrizione – come indica con chiarezza questo pezzo del Wall Street Journal.
[Scritto per Eastonline]
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