Corea del Sud – Seul difende i profughi nordcoreani

In by Simone

Pechino vuole rispedire a Pyongyang decine di profughi immigrati illegalmente in Cina, destinandoli a dure e sicure rappresaglie. Ma Seul non ci sta e si è mobilitata coinvolgendo società civile e Nazioni Unite.
La Corea del Sud si mobilita per la sorte dei profughi nordcoreani arrestati in Cina. Il parlamento di Seul ha approvato una risoluzione di condanna contro Pechino per il rimpatrio, non confermato, di nove nordcoreani fermati lungo il confine ai primi di febbraio e che ora rischiano di andare incontro alle rappresaglie che attendono chi fugge dal regime.

La scorsa settimana attori, parlamentari, attivisti per la tutela dei diritti umani e semplici cittadini avevano manifestato davanti all’ambasciata cinese a Seul per chiedere al governo di Pechino di desistere dal rimandare indietro i profughi.

In tutto sono 33 i nordcoreani a rischio, ma secondo alcune associazioni citate dal quotidiano Chosun, il numero potrebbe salire a 220. Lo stesso presidente sudcoreano Lee Myung-bak aveva esortato i cinesi al rispetto delle norme internazionali in materia di rifugiati e a non considerarli criminali. Alle parole, presto potrebbe seguire la pressione diplomatica.

I sudcoreani, che quest’anno andranno ai seggi per le presidenziali, sono intenzionati a portare la vicenda alla riunione dell’Alto Consiglio Onu per i Diritti Umani che si terrà a Ginevra, “l’unico modo” per tutelare i cugini del Nord secondo la parlamentare Park Sun-young in sciopero della fame per sensibilizzare i suoi connazionali e cui, ha denunciato, la Cina ha negato il visto.

Abbiamo più volte chiesto alla Cina di rispettare la volontà dei profughi e lasciarli ripartire per un Paese terzo”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri, Cho Byung-je. Tuttavia, trapela da fonti diplomatiche, all’Onu la Corea farà semplicemente riferimento alle violazioni di un “Paese confinante”, senza citare esplicitamente la Cina.

Dal canto suo Pechino ha replicato accusando i profughi di essere immigrati irregolari entrati in cerca di lavoro e che pertanto non ricadono nella Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato del 1951 né nel Protocollo del 1967.

La Repubblica popolare, principale sostenitore di Pyongyang, non è nuova alla politica di rimpatrio per i nordcoreani scoperti a varcare il confine. A cambiare, scrive Jaeyeon Woo sulla versione online del Wall Street Journal, è invece l’atteggiamento dei sudcoreani, finora poco attenti alla tutela dei diritti umani a Nord del 38esimo parallelo.

Con la morte di Kim Jong-il a dicembre e l’ascesa al potere del terzogenito Kim Jong-un per profughi e disertori la situazione si è fatta ancora più dura. Nel timore di fughe di massa durante il periodo di incertezza della successione, il regime ha ordinato un giro di vite e inasprito le condanne per chi cerca di riparare all’estero. Una strategia per consolidare il proprio potere e mostrare un atteggiamento intransigente ai generali che lo sostengono alla guida del Paese.

Che le condanne per i disertori ricadano sulla loro famiglia per tre generazioni è lo spauracchio per tenere a bada la popolazione. E chi è sospettato di collaborare con le associazioni sudcoreane rischia la condanna a morte.

Il quotidiano JoongAng Daily ha riferito inoltre di una unità speciale dell’esercito incaricata di sparare a vista contro chiunque provi ad attraversare la frontiera con la Cina. Chi riesce nell’impresa rischia invece di andare incontro alla polizia cinese.

Un informatore dalle forze di sicurezza di Pechino contattato dal Daily NK, una delle fonti più attendibili quando si parla di Corea del Nord, ha detto che i profughi fermati a febbraio sono in custodia in un campo sulle sponde del fiume Tumen, che corre lungo il confine.
Una destinazione inusuale per i 19 fermati nella città di Shenyang che a rigore, ha spiegato la fonte, sarebbero dovuti essere trasportati a Dandong, ma trattandosi di un’operazione congiunta tra cinesi e nordcoreani si è preferito un altro centro di detenzione.

A causa delle proteste internazionali i quadri dell’Ufficio per la sicurezza pubblica non sanno cosa fare”, ha sottolineato ancora, “Le indagini sono concluse ma la procedura di rimpatrio è in stallo, mentre la controparte nordcoreana preme perché li rivuole indietro”.

[Foto credit: irrawaddy.org]