Corea del Nord – Pechino pronta al crollo di Pyongyang?

In by Simone

L’agenzia di stampa giapponese Kyodo ha raccontato dell’esistenza di un documento interno circolato tra le alte sfere dell’Esercito popolare di liberazione cinese che delinea i possibili scenari di un crollo del regime nordcoreano. Come si comporterebbe la Cina nell’eventualità?
La regola in base alla quale le notizie su quanto avviene in Corea del Nord dovrebbero essere prese con cautela vale anche quando le informazioni ruotano attorno al regime e non arrivano direttamente dall’interno o da non meglio precisate fonti. L’ultima incognita in ordine di tempo è se esista o meno un piano cinese di risposta all’eventuale collasso del regime dei Kim. Dettagli sul progetto sono trapelati a inizio maggio sull’agenzia stampa nipponica Kyodo.

Il documento risale alle scorsa estate, sulla scia delle tensioni che hanno contraddistinto la prima parte dell’anno, motivate dal terzo test nucleare condotto dai nordcoreani a febbraio in spregio alle sanzioni internazionali. Nel piano diffuso dalla stampa giapponese e ideato all’interno dell’Esercito popolare di liberazione non si fa tuttavia mai riferimento specifico alla Corea del Nord. Ma sembrano esserci pochi dubbi nell’identificare nel regime di Pyongyang quello che nel documento è stato chiamato “il Paese vicino, nel nordest dell’Asia” o “il Paese confinante, con un sistema ereditario”.

Lo scenario ipotizza che questo Paese sia invaso da una potenza straniera (il riferimento in questo caso pare essere alla Corea del Sud o agli Stati Uniti). Nell’eventualità che ciò possa accadere, Pechino prepara un rafforzamento della sorveglianza al confine, su cui sarà schierato personale militare, e l’apertura di una serie di campi per gestire il flusso di profughi, identificare chi arriva e bloccare chi potrebbe costituire un pericolo ponendosi alla guida di gruppi armati per combattere contro gli eventuali invasori.

Il documento prevede anche meccanismi per evitare che figure di spicco sia del governo sia dell’esercito possano essere assassinate. Gli alti funzionari saranno pertanto trasferiti in strutture separate, così da tutelarli riuscendo allo stesso tempo a tenerli sotto controllo in modo che non organizzino forme di resistenza.

Il governo cinese ha prontamente smentito l’esistenza del piano. “Si tratta di notizie senza fondamento”, ha spiegato il Ministero degli Esteri nel rimarcare che Pechino punta a mantenere la stabilità della penisola coreana. Posizione ribadita anche lo scorso aprile, quando la reazione cinese fu di opposizione alle minacce nordcoreane di condurre un quarto test nucleare. “Pace e stabilità sono interessi immediati della Cina”, aveva sottolineato allora il portavoce del Ministero degli Esteri, Qin Gang, “Non permetteremo per alcuna ragione caos o guerra alle porte di casa”.

Parole che, in forme diverse, ma simili nel significato, sono risuonate altre volte. Il capitolo nordcoreano è stato inoltre tra i temi dell’incontro di fine maggio tra il presidente Xi Jinping e il suo omologo russo, Vladimir Putin. In una nota congiunta a margine della Conferenza per l’interazione e il rafforzamento della fiducia reciproca, Pechino e Mosca hanno rimarcato la speranza per la ripresa dei negoziati a sei sul nucleare, in stallo dal 2008. Colloqui di cui, sottolineano alcuni commentatori, i cinesi vogliono essere protagonisti, per enfatizzare il proprio ruolo diplomatico.

Tuttavia, nonostante le missioni del negoziatore cinese Wu Dawei prima a marzo a Pyongyang, poi ad aprile negli Usa, pochi progressi sono al momento all’orizzonte. Negli ultimi anni sono aumentate all’interno della dirigenza cinese le correnti di pensiero che propendono per un ripensamento dei rapporti con l’alleato di Pyongyang, considerato per certi versi una minaccia per gli stessi interessi cinesi.

Come sottolineato da un’analisi di SinoNK, se il documento pubblicato dalla Kyodo dovesse rivelarsi vero, la notizia più che nel piano in sé, starebbe nel mancato intervento cinese a difesa della Corea del Nord in caso di invasione.

Nessuna replica della guerra degli anni Cinquanta del secolo scorso quindi. Scrive Jennifer Lind che pare poco probabile che un atto di tale portata, ossia la rottura dell’alleanza militare, sia annunciato con una soffiata alla stampa. Al contrario, quando e se ci sarà, sarebbe frutto di una discussione, riservata con i leader di Stati Uniti e Corea del Sud. Inoltre, prosegue Lind, essendo questo l’esito cui puntano sia Washington sia Seul, difficilmente i cinesi opterebbero per abbandonare il vecchio alleato senza avere concessioni in cambio.

Perplessità sono state sollevate anche da John Delury, analista della Yonsei University di Seul. A colloquio con il Guardian, in una speciale tavola rotonda sul tema, non esclude che possano esistere documenti del genere. D’altra parte studiare scenari fa parte del lavoro dei militari.

Certo la Cina non ha mancato di far presente l’irritazione per un alleato sempre meno incline, così sembrerebbe, ad ascoltare il potete vicino. Un segnale in questa direzione è il fatto che, trascorsi quasi tre anni dalla sua ascesa al potere, il giovane leader nordcoreano, Kim Jong Un, non si sia ancora recato in visita a Pechino. A dicembre, all’indomani della purga del numero due del regime Jang Song Taek, sulla stampa cinese erano apparsi inviti in tal senso, in modo da ristabilire solide relazioni.

[Pubblicato su Formiche; foto credit: businesskorea.co.kr]