Produce la stragrande maggioranza di console da videogame che circolano al mondo, ma fino a ieri non poteva commercializzarle sul proprio territorio. Il bando era in vigore dal 2000, da quando cioè il Consiglio di Stato aveva deciso che i videogiochi stranieri più violenti fossero pericolosi per la salute mentale dei giovani cinesi.
Produce la stragrande maggioranza di console da videogame che circolano al mondo, ma fino a ieri non poteva commercializzarle sul proprio territorio. È questo il paradosso della Cina. O meglio, era.
Il governo di Pechino ha comunicato che nella zona di libero scambio di Shanghai, un’area di undici chilometri quadrati nella quale il Dragone sta gradualmente alleggerendo le restrizioni al libero mercato, “imprese a investimento straniero” saranno autorizzate a produrre le piattaforme da gioco per poi rivenderle in tutto il Paese.
Il bando era in vigore dal 2000, da quando cioè il Consiglio di Stato aveva deciso che i videogiochi stranieri più violenti fossero pericolosi per la salute mentale dei giovani cinesi. Oggi si vuole invece porre fine a un fiorente mercato nero di console reimportate clandestinamente o “cadute dal camion” e poi magari esposte e pubblicizzate senza nessun problema dai negozi sparsi in tutto il Celeste Impero.
La Cina ha visto il fatturato dei videogiochi crescere più di un terzo tra 2012 e 2013, con un giro d’affari complessivo di 14 miliardi dollari l’anno scorso. Per i produttori di console si aprirebbe così un mercato gigantesco, se è vero – come dice la società di ricerche di mercato Niko Partners – che un milione di dispositivi sono venduti illegalmente ogni anno in Cina, con un picco di 1,7 milioni quando sono stati rilasciati la PlayStation 3, il Nintendo Wii e l’Xbox 360.
Ma non è così semplice. Le vendite hanno infatti soprattutto riguardato le console “taroccate”, più alla portata delle tasche dei giovani cinesi; non è detto quindi che la legalizzazione del prodotto sposti automaticamente i clienti verso i prodotti cstosi dei grandi brand internazionali.
“Parte del fascino dei dispositivi già sul mercato è che consentono di ottenere tantissimo software pirata per pochi soldi, il che costituisce una sfida significativa in termini di vendite per il software legale”, sostiene per esempio Piers Harding-Rolls, capo analista per il settore dei giochi online di Ihs, multinazionale Usa di marketing e consulenza.
Per i produttori di console che cercano di espandersi in Cina, il prezzo può essere effettivamente un problema. Più del 70 per cento dei giocatori cinesi guadagna meno di 4mila yuan (634 dollari) al mese, secondo la filiale di Hong Kong della banca d’investimento Clsa. La nuova Xbox One costa circa 500 dollari negli Stati Uniti, mentre una Sony PlayStation 4 si porta via per poco meno di 400. Un nuovo gioco per console costa in media 60 dollari.
I grandi produttori, in definitiva, dovranno affrontare una battaglia in salita per strappare quote di mercato in un Paese in cui un’intera generazione è cresciuta senza PlayStation , Xbox o Wii e dove i giochi per Pc e mobile dominano alla grande.
I cinesi che giocano sono già 457 milioni, il profilo tipico è quello del giovane maschio tra i 18 e i 30 anni di età con un buon livello di istruzione.
Il bando ha infatti favorito la crescita esponenziale dei giochi online per computer – a oggi due terzi del mercato – rispetto a quelli per console.
Il trend è quotidianamente accentuato dal proliferare del settore mobile, con gli attuali 500 milioni di utenti di smartphone già ampiamente predisposti a giocare. E, soprattutto, a giocare gratis perché il vantaggio competitivo dei gochi online è proprio quello: sono facilmente accessibili senza dover sborsare quattrini.
“Se Sony e Microsoft vogliono espandersi in Cina, devono riflettere su come cambiare il proprio modello di business, studiando magari il successo dei fornitori di intrattenimento su Internet basato sul fatto che i giochi sono gratis mentre si fanno pagare i successivi miglioramenti per renderli operativi”, dice Roger Sheng, che è direttore del settore tecnologia per la società di ricerche di mercato Gartner.
Non sono sfumature da poco: i giochi più popolari per Pc e mobile sono infatti gratuiti; quello che l’utente paga sono le componenti aggiuntive, come le armi virtuali o le “vite” extra. È un modello di business che fa leva su un entry level molto facilitato e sulla successiva graduale voglia di migliorarsi ed essere sempre più competitivi.
L’esempio più eclatante in questo senso è Tencent, proprietaria dell’ormai irrinunciabile instant messenger WeChat e una delle “tre sorelle” del business internet cinese (le altre sono Baidu e Alibaba), che già trae oltre metà delle proprie entrate dai giochi.
La sua strategia espansiva è semplice. “Sta comprando piccole imprese che producono singoli giochi – ci spiega Will Tao, capo analista di eResearch, azienda leader dell’internet marketing – e offre un abbonamento gratuito al proprio network QQ. Poi però ci sono diversi livelli di membership a pagamento, come per esempio quella diamond, che consente di comprare sempre più servizi e oggetti virtuali. È tutto virtuale, ma alla gente piace”, conclude Tao.
Sarà forse per queste peculiarità di mercato, per queste “caratteristiche cinesi”, che la notizia della legalizzazione delle console straniere suscita per ora più prudenza che entusiasmo: “Non siamo ancora sicuri esattamente di quello che saremo in grado di fare a Shanghai e successivamente nella Grande Cina”, ha dichiarato per esempio Yasuhiro Minagawa, responsabile delle pubbliche relazioni di Nintendo.