Nei giorni immediatamente precedenti all’8 marzo, cinque importanti femministe cinesi sono state arrestate. Incriminate con l’accusa di disturbo dell’ordine pubblico, rischiano fino a tre anni di prigione. Le cinque attiviste lavoravano soprattutto sulle discriminazioni, i maltrattamenti e le violenze domestiche.
Li Yinhe, una famosa sociologa e sessuologa cinese, ha scritto che «in Cina, il femminismo è sempre stato demonizzato», aggiungendo che molte donne cinesi, perfino se scrittrici o artiste, anche una volta giunte all’estero, tendono a sottolineare il proprio status di «brava moglie» e «madre», sempre «al proprio posto». La cultura cinese ha forti tradizioni e radici contadine, e ha quasi sempre privilegiato, nel corso dei secoli, l’uomo alla donna. E in Cina, pur tenendo conto dei cambiamenti epocali – dal 2011 la maggioranza della popolazione è urbana – certe radici sembrano rimanere ben salde nella loro profondità culturale. Per le donne, dunque, è cambiato poco, nonostante la presa di posizione perfino di Mao Zedong, che negli anni Cinquanta le definì «l’altra metà del cielo». Se, in più, questa femminilità contro cui alla fin fine non si può niente, si associa ad attività di natura politica, il guaio è dietro l’angolo. Così cinque ragazze, l’8 marzo scorso, sono state arrestate perché hanno volantinato in favore della parità sessuale. Sono state fermate e imprigionate. E incriminate. Secondo il loro avvocato rischiano tre anni di carcere, per «disturbo della quiete sociale». Ennesima «stretta» operata da un Partito sempre più sotto il giogo del suo numero uno. Ma Xi Jinping al momento non è, al contrario, ad esempio, di Putin, un nemico dell’Occidente. E può quindi operare in tutta tranquillità in favore del vero e proprio incubo del Partito, il «wei wen»: il «mantenimento della stabilità».
I fatti
Nel silenzio completo delle nazioni democratiche del mondo, lo scorso 8 marzo cinque persone sono state arrestate in Cina. Si tratta di Wei Tingting, Li Tingting, Wang Man, Zheng Churan e Wu Rongrong. Sono cinque donne, femministe, attiviste dei diritti delle donne in Cina. Nel loro paese sono piuttosto conosciute, meno nel resto del mondo. D’altronde anche l’indignazione per i mancati diritti umani negli altri paesi funziona a seconda del clima mondiale. Oggi il cattivo su cui sono puntati gli occhi di tutti è Putin, quindi la Cina è libera di arrestare chi vuole. Il 13 marzo ha formalizzato l’accusa contro le cinque donne.
Femminismo?
«In Cina il femminismo è sempre stato demonizzato. Tempo fa, nel corso di un convegno letterario all’estero, ogni scrittrice della delegazione cinese chiarì subito di non essere femminista. Perché tale affermazione? I motivi sono vari: alcune intendevano i propri romanzi come normale letteratura, senza bisogno dell’etichetta letteratura femminista; altre forse volevano sottolineare di essere buone mogli e madri, donne normali, né combattenti né lesbiche». Parola di Li Yinhe, nota sociologa e autrice e traduttrice cinese. Li Yinhe ha prodotto numerosi testi su questioni di genere e sul ruolo della donna in Cina.
L’accusa
L’avvocato Wang Qiushi, rappresenta una delle cinque attiviste arrestate e ha raccontato che le donne sono state accusate di aver «creato un disturbo» alla stabilità sociale per aver programmato la diffusione di volantini sui diritti delle donne in occasione della festa internazionale dell’8 marzo. Secondo Wang «le loro azioni non si configurano come un reato».
Se condannate?
Rischiano fino a tre anni di prigione. Secondo quanto riportato dalle agenzie cinesi e internazionali, «L’azione della polizia contro le femministe si inserisce in una «stretta» che ha coinvolto tutte le organizzazioni sociali indipendenti. L’arresto delle attiviste è stato condannato dall’ambasciatrice americana all’Onu Samantha Powers, che ha sottolineato che si battono per «diritti universalmente riconosciuti». L’Unione Europea ha chiesto la liberazione delle donne, sostenendo che è stato violato «il loro diritto a manifestare pacificamente».
Quale stretta?
Negli ultimi tempi c’è stata una generale campagna da parte del governo contro le ong sia nazionali, sia straniere, come sottolineato da molti degli attivisti. Si tratta di un’ulteriore azione del Presidente Xi Jinping, preoccupato di non avere elementi di turbamento dell’ordine che sta cercando faticosamente di costruire, a colpi di condanne per corruzione e mazzette. Analogamente sta agendo sui media e la società civile per portare tutti sotto il suo unico dominio.
La questione di genere
Le cinque femministe arrestate concentravano la propria attività principalmente sull’informazione dei maltrattamenti di cui ancora oggi le donne cinesi soffrono in termini di discriminazioni sul lavoro e di violenze in casa. «L’altra metà del cielo», come definì le donne cinesi Mao Zedong, è ancora molto distante dalla parità sociale, in una società ancora profondamente maschilista.