China E-Files – Coronavirus e remote work. La fine del “996”?

In China E-Files, Cina, Innovazione e Business by Redazione

Con milioni di persone ancora rinchiuse in casa, lo scoppio della nuova epidemia di coronavirus ha sicuramente sconvolto la vita quotidiana del gigante asiatico. E gli effetti del totale shutdown della Cina stanno arrivando anche alle nostre latitudini. I grandi nomi del retail del lusso hanno segnato un meno 20% delle entrate, mentre solo in in italia il settore turistico avrà perdite di circa 8 milioni di euro.

Se l’epidemia di Sars del 2003 rivoluzionò il retail del Dragone con la nascita delle prime piattaforme e-commerce cinesi, il coronavirus sta senza dubbio rivoluzionando il concetto tradizionale di lavoro in Cina.

In un Paese dove il settore dei servizi è sempre più importante anno dopo anno, le strette misure di contenimento imposte dal governo centrale al fine di arginare l’epidemia, e la personale paura di essere contagiati, hanno costretto la quasi totalità delle aziende a riorganizzarsi. Il diktat è preciso: si lavora da casa grazie ad internet.  Lavorare da casa non è più un lusso. E’ necessario.

“Per noi è una buona occasione di testare finalmente nuove esperienze lavorative” ha detto Simon Fei, 30, grafico di base a Nanchino. Tuttavia, non tutti sono entusiasti della decisione.  “E’ strano per me lavorare da casa”, ci dice Hun Pak, 27, impiegato nella HSBC a Shanghai. “Non è una novità, è capitato di rado però mai per un periodo così lungo. Certo rimane la comodità, ma a volte non so come organizzare il mio lavoro”.  Dello stesso parere Chao Wang, 28, analista finanziario di base a Pechino : “Non è solo un fattore di organizzazione. Operando nel settore finanziario è normale essere costretti a lavorare su documenti confidenziali interni. Chi dice tuttavia che la rete sia sicura al 100%?”.

Quale è dunque il problema? Il lavoro da remoto non è certo una novità, ma la maggior parte dei colletti bianchi del Dragone non sa neanche cosa sia il remote work e come organizzarsi. Stesso dicasi per le aziende.

Questa la ragione che ha spinto alcuni grandi nomi come Tencent o Huawei a promuovere dei corsi aziendali online su come meglio modulare il lavoro da casa. E qui sta il nocciolo della questione. Il remote work prevede un cambiamento sistematico nel comportamento sia del personale che della catena di gestione e decision making. Ciò che viene richiesto è passare da una semplice gestione “top-down” and una gestione con “follow-through support”. Una questione che è più facile a dirsi che a farsi nel mondo del lavoro dell’Estremo Oriente permeato ancora di etichette e consuetudini ben radicate nella cultura lavorativa di quell’area di mondo.

A questo va aggiunto anche un problema di natura tecnologica. La Cina di oggi ha tutti gli strumenti necessari per garantire un efficiente lavoro da remoto, ma questa non sembra essere applicata come dovrebbe.

La maggior parte dei software OA cinesi è infatti progettata per gestire il personale, piuttosto che coordinare informazioni e flussi di lavoro. Non è quindi un caso che al forzato lavoro da casa molti utenti si siano rivolti a piattaforme di coworking come DingTalk (gestita da Alibaba) e WeChat Work. Risultato? Tutte le piattaforme sono andate in blackout per l’enorme mole di utenti.

Ad esempio DingTalk, che serve oltre 10 milioni di aziende in Cina e supporta videochiamate di gruppo con un massimo di 302 persone, ha annunciato la settimana scorsa di aver registrato un picco storico del traffico web. Ma il lavoro da remoto in contemporanea di milioni di persone ha mandato in tilt il sistema. Un problema riscontrato anche da altre app simili come WeLink di Huawei o Feishu, applicazione che ruota nell’universi ByteDance. Per rispondere all’emergenza Alibaba ha assegnato oltre 12.000 server aggiuntivi a DingTalk, senza contare che l’azienda ha anche aggiunto un “beauty filter” alla sua app per le videochiamate, una funzione fortemente richiesta dai suoi utenti.

“Attualmente stiamo assistendo forse al più grande esperimento di lavoro da remoto” spiega Ding Houzhen, Professore di sociologia della Peking University. “ I dati ci dicono che lavorare da casa è più produttivo. Già da tempo si chiedeva un cambiamento radicale della gestione del lavoro, ma aziende quanto dipendenti sono totalmente impreparati.  Non è quindi un caso che le start-up avviate nei primi anni 2000 o prima, se confrontate con le controparti fondate da giovani della Gen-Z, rappresentano due poli di fare business e di approccio al problema diametralmente opposti”.

Nel frattempo, i netizen, molti dei quali sono tornati a casa per il Capodanno Cinese senza tuttavia ripartire a causa del coronavirus,  stanno condividendo i loro primi successi e disavventure di lavoro in remoto. Su Weibo l’hashtag “lavoro da casa” accompagnato da foto, di cui molte ironiche, è oramai un hot topic. Anche i media hanno condiviso suggerimenti su come lavorare in modo efficiente a casa pubblicando addirutturas una etichetta per le videoconferenze (cambia il pigiama, evita di inviare il messaggio sbagliato ai colleghi delle videochiamate, non metterti al telefono stando nel letto, applica il trucco di base e così via) .

La digitalizzazione del lavoro ha colpito anche l’istruzione. Con la maggior parte delle scuole cinesi chiuse almeno fino a marzo, anche le lezioni sono state spostate online. La scorsa settimana ben 20 regioni amministrative a livello provinciale hanno aderito al piano di “homeschooling” di DingTalk, che attualmente ospita 20.000 scuole e oltre 12 milioni di studenti. Ad oggi alcune attività riapriranno, ma già in molte città, come Xiamen, le vacanze forzate sono state estese fino al 17 febbraio. Uno shutdown che se prolungato ulteriormente, provocherà un effetto domino economico ben più importante della crisi finanziaria del 2008.

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Di Cifnews*

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