Ceto medio e proteste

In by Simone

La classe media cinese è tra le più giovani e arrabbiate del mondo. E cresce, in maniera proporzionale a quanto cresce l’economia del paese. Oggi è considerato ceto medio il 10 per cento della popolazione cinese e si prevede che nel 2020 sarà il 40 per cento. E questa fascia di popolazione è sempre più attenta alla salute e alla tutela dell’ambiente. Nel 2002, quando la Cina era appena entrata nel Wto, l’allora presidente Jiang Zemin fu costretto a inventarsi un termine che non andasse a collidere con cinquant’anni di accese lotte politiche contro i “valori decadenti borghesi”. Ora che il Partito comunista cinese aveva garantito la famosa ciotola di riso a tutti bisognava promuovere “il nuovo strato dei medi possidenti”. Da allora l’implicito contratto sociale tra Partito e borghesia fu chiaro: lasciateci governare e vi permetteremo di arricchirvi. Oggi è considerato ceto medio il 10 per cento della popolazione cinese e si prevede che nel 2020 sarà il 40 per cento. Forse.

Come spiega bene Shaun Rein, autore di “End of Cheap China ormai nell’ex Impero di mezzo i ricchi possono permettersi di vivere ovunque e i poveri vedono i propri stipendi aumentare di due cifre ogni anno. Solo la classe media, che anela al giorno in cui avrà una macchina e un appartamento di proprietà, è sempre più consapevole che difficilmente riuscirà a realizzare il proprio sogno. Ancora non è pronta a rinunciare a quello che si è faticosamente conquistata, ma intanto usa i social media per informarsi e diffondere notizie, individua gli obiettivi su cui è possibile lottare e, piano piano, si organizza.

Perché nel frattempo anche il mondo è cambiato. E la Cina più di ogni altro luogo. A chi ha gli strumenti per interpretare il momento storico, la promessa del “sogno cinese” dell’attuale presidente Xi Jinping sembra un vago miraggio in una landa desolata. Aumentano i salari e le multinazionali spostano le produzioni in paesi più poveri, cresce la ricchezza ed esplodono le ingiustizie sociali, migliorano le infrastrutture ma sempre meno persone possono permettersele, la popolazione urbana supera quella rurale e le metropoli non sono in grado si garantire servizi per tutti.

Negli ultimi cinque anni, le proteste che dal web si sono spostate in strada sono diventate più frequenti. Dei 180mila “incidenti di massa” che avvengono in Cina ogni anno, le proteste legate alla tutela dell’ambiente hanno ormai superato quelle scatenate da rivendicazioni legate al lavoro o agli espropri forzati. Ne sono testimonianza quelle imponenti manifestazioni che sono rimbalzate sui principali quotidiani di tutto il mondo e che hanno fermato importanti progetti di impianti petrolchimici. Xiamen (2007), Dalian (2011), Ningbo (2012) e, forse, Kunming (2013) ne sono gli esempi più noti. Serve internet per arrivare a questi risultati. E non si può prescindere da una classe media in grado di costruire movimenti di opinione.

Per anni si è parlato del fenomeno della “nascente” borghesia cinese in maniera bipolare. Secondo alcuni sarebbe stata la garanzia dello status quo politico, per altri si trattava invece di una bomba ad orologeria pronta a far esplodere il sistema da un momento all’altro. Ma, come sempre in Cina, le cose sono più complicate. I problemi del ceto medio cinese non si limitano all’aumento del caro vita come nelle altre metropoli occidentali. Qui, diritti base come aria pulita, sicurezza alimentare, scuole e sanità di alto livello preclusi ai più.

E l’ingiustizia è palese. Ormai non sono solo gli internauti più esperti a sapere che nella Grande sala del popolo, quella dove i legislatori si riuniscono, sono installati i migliori purificatori d’aria di tutta la Cina. Significa che meno dell’un per cento dei 560 milioni di residenti urbani del paese può respirare aria che soddisfa gli standard dell’Unione europea. E governare limitandosi a soddisfare le necessità dell’un per cento della popolazione vuol dire assumersi un grosso rischio. Nessuno ne è più consapevole dei cinesi.

Sono molte e gravi le problematiche che la dirigenza del Pcc si troverà costretta ad affrontare se vuole sopravvivere a se stessa. Su tutte la corruzione dei funzionari, la crescente disparità tra ricchi e poveri e la relativa libertà di espressione. Ma il tema dell’inquinamento è traversale e, in qualche modo, apolitico.

Non passa giorno senza che uno scandalo mini la fiducia dei cinesi nel futuro. Villaggi del cancro, acqua al cadmio, fiumi improvvisamente rossi o pieni di migliaia di maiali in decomposizione, infarti durante maratone cittadine a causa dell’inquinamento atmosferico, olio di scolo riutilizzato nei ristoranti, latte in polvere avvelenato… Non c’è nessuno che vorrebbe sottoporre i propri figli a questi rischi. Tanto più se il figlio è uno, per legge.

[Scritto per Il Fatto Quotidiano]