Storie di lotte per l’acqua e non solo: dai fiumi, ai laghi, passando per l’alta velocità.
Il fiume delle Perle è qualcosa in cui non ci si può certo specchiare. Si può tentare di scorgere nel suo letto oscuro qualche traccia della civiltà che ha nutrito. Tempo fa, non oggi. La passeggiata che sovrasta il tratto di fiume a Canton è un paesaggio tipico cinese, sospeso tra case diroccate e centri commerciali avveniristici. E’ Blade Runner e Medio Evo, a guardarsi su acque melmose, nere, piene di alghe e ogni tipo di spazzatura depositabile in un corso d’acqua.
Accanto al punto d’osservazione un cane scheletrico, di fronte una pompa – grande, rumorosa e antiquata. Nell’acqua ci sono alcuni uomini su una piccola barca, intenti a creare una piccola diga. E’ un esperimento: nanotecnologie proveniente da qualche fabbrica locale, nel disperato tentativo di ripulire la risorsa che più soffre in Cina: l’acqua. In serata alcuni notabili del Partito esprimeranno il loro rammarico e la loro necessaria impresa: 40 milioni circa di euro per risanare il tratto che attraversa Canton, con sistemi tecnologici in grado di risucchiare melma e alghe, consentendo al fiume di respirare. Se funzionerà l’esperimento verrà esteso a tutta la regione. Negli occhi di un membro del partito si vede già la scalata: dopo la regione, il paese.
Un progetto in cui ambizione personale e necessità storica hanno i contorni di quello specchio d’acqua che osserviamo in silenzio: sbiaditi, opachi, cinesi. Eppure, qualcosa in Cina si muove, tra il fiorire di Ong e associazioni di cittadini e piccole, ma importanti lotte ecologiste, che movimentano i progetti governativi, creando un confronto tra popolazione e funzionari. E in alcuni casi i risultati sono sorprendenti.
Lotte per l’acqua
Gli ultimi dieci mesi di quest’anno sono stati il periodo più secco nella storia della Repubblica Popolare. Secondo le cifre pubblicate dall’Ufficio di Stato che controlla inondazioni e siccità sarebbero almeno 19 milioni le persone che soffrono di mancanza di acqua potabile e circa 6 milioni di ettari le aree coltivabili completamente a secco nello Yunnan, Guizhou, Sichuan, Guangxi e Chongqing. La siccità è ormai un pericolo naturale ricorrente negli ultimi anni e ha colpito in tempi diversi e in circostanze diverse, tanto a sud quanto a nord del paese per la mancanza di precipitazioni associate anche ai cambiamenti climatici.
Questo fenomeno naturale del resto è anche una conseguenza della deforestazione e la rapida trasformazione industriale di un paese agricolo, con il conseguente danneggiamento delle fonti di acqua naturale. I progetti cinesi non facilitano la vita di corsi d’acqua e di fiumi: recentemente è stato approvato il progetto di deviazione di una parte del fiume Han che finirà per andare a riempire le bocche assetate della parte nord del paese, specie i dintorni di Pechino, la capitale che non guarda in faccia neanche i propri connazionali.
«Il fiume Han scivola dolcemente attraverso il cuore della Cina, si snoda da nord a sud per 1500 chilometri, attraverso una valle fertile che copre più di 150.000 chilometri quadrati. Nella sola provincia di Hubei, il fiume Han è un’ancora di salvezza per quasi 20 milioni di persone» ha scritto la rivista cinese Caixin, sempre attenta a lanciare allarmi economici ed ecologici. Le popolazioni toccate da questo mega progetto, hanno già protestato: non sono stati tenuti in considerazione, nulla è stato fatto trapelare, in modo che non si potessero organizzare e tentare una manovra disperata.
E’ andata diversamente a Wuhan, esempio di come la società civile stia trovando linfa sul tema della sostenibilità dello sviluppo. Il 25 marzo scorso, come riporta il sito chinastudygroup.net, il quotidiano di Canton, Time Weekly ha pubblicato un reportage dal titolo Indagine sullo sviluppo del lago est di Wuhan che ha rivelato informazioni su funzionari del governo locale corrotti e legati al piano di sviluppo, ottenuto senza le approvazioni necessarie. Si sono affittati una parte del lago, imbrigliato in un progetto che nega alla popolazione la possibilità di sfruttare un bene comune.
La transazione è stata illegale perché gran parte dell’area interessata è compresa nell’Area panoramica del lago est, protetta dallo Stato, e il governo locale non aveva ottenuto il permesso per i lavori dal governo centrale. Le proteste sono state immediate: è nato un gruppo su QQ (il social network più famoso in Cina), che ha organizzato una protesta, sotto forma di passeggiata: marcia bloccata dalla polizia che ha blindato tutti a casa, compresi gli studenti tirati dentro all’iniziativa.
No tav alla cinese
Non solo acqua: i conti con lo sviluppo economico cinese sono tanti, molti dei quali sconosciuti e con visibilità nulla sui media abilmente controllati dal Partito. Il progetto del Maglev, il treno super veloce a levitazione magnetica e già presente a Shanghai, doveva avere una linea anche a Pechino. Sottoposto al giudizio degli abitanti della zona interessata, il progetto ha trovato l’opposizione della popolazione, attraverso una lettera dei cittadini in cui denunciavano alcuni rischi dovuti all’impatto ambientale del treno, nonché alla scarsa conoscenza riguardo le radiazioni cui sarebbero sottoposti i suoi passeggeri.
Zhao, uno dei pechinesi coinvolti nella lotta anti Maglev, alla Beijing Review ha dichiarato: «queste tipologie di treni sono stati bloccati già in molti paesi nel mondo a seguito di dimostrazioni: perché la Cina vuole realizzare questi progetti in modo così frettoloso?» La linea pechinese prevede circa 20 chilometri di rete: la Beijing Railway Mentougo o S1 Line come è chiamata la Maglev futura della capitale, dovrebbe unire due distretti di Pechino: 12 fermate e treno a velocità ridotta rispetto a quella shanghaiese, circa 150 km all’ora.
Una parziale, ma importante, vittoria è arrivata il 12 maggio scorso: la EAEC ha infatti annunciato l’allungamento della tratta prevista sotto terra, per ridurre l’impatto sulle case circostanti: da 455 metri a quasi a 3 chilometri. Una vittoria momentanea e per niente definitiva, in attesa della risposta del governo.
[Anche su Il Manifesto del 3 agosto 2010]