L’autorganizzazione del villaggio di Wukan, avvicinata dal Financial Times alla Comune di Parigi, ha riaperto in Cina il dibattito su come i cittadini devono reagire agli abusi di potere e su come lo Stato deve rispondere alle proteste. L’analisi di Xiao Shu, editorialista del Southern Weekly.
«Nella Cina contemporanea gli incidenti di massa sono cosa comune, possiamo dire che si tratta di un fatto quotidiano».
Con queste parole il giornalista e opinionista Xiao Shu introduceva alla fine di novembre un articolo sulla protesta del villaggio di Wukan, nella municipalità di Shanwei. Lo faceva sulle pagine web di “Respiro profondo”, la rubrica da lui curata sulla piattaforma di informazione Fenghuang. L’articolo da noi proposto è del 21 dicembre 2011 e segue gli sviluppi della vicenda.
Wukan, a differenza di tanti altri episodi di resistenza e mobilitazione, si è guadagnata l’attenzione degli osservatori stranieri. Per l’unità, la determinazione e il senso di responsabilità civile del movimento, per la morte sospetta di uno dei leader della protesta e per il parziale successo che le rivendicazioni dei manifestanti sembrano aver raggiunto, dopo il pronunciamento delle autorità provinciali del Guangdong.
Le proteste di Wukan ripropongono il dibattito sulla politica del governo cinese di fronte a fenomeni di abuso: rivendicazioni sociali o malcontento politico? Apertura o chiusura? Confronto o repressione?
Wukan sembra avere tutte le carte per costituire un punto di partenza agli occhi degli osservatori: di fronte a una forma di sopruso comune perpetrata da parte delle autorità locali cinesi –la requisizione della terra con compensazioni inique- un’intera comunità si è raccolta per manifestare i propri diritti, occupando i posti di potere e partecipando attivamente alla vita politica. Dopo la chiusura iniziale, culminata con la morte in carcere dell’attivista Xue Jinbo e l’invio di petizioni alle autorità provinciali, il Partito ribalta il verdetto e istituisce delle commissioni di inchiesta.
L’esito finale della vicenda è però tutt’altro che scontato, poiché la questione richiama in causa uno dei soggetti più dibattuti nel panorama politico contemporaneo cinese: il rapporto con il centro e la funzione delle autorità locali, che Xiao Shu prende di mira con una critica a tratti irriverente e sorprendentemente diretta. [MCr]
L’incidente di Wukan, che ha suscitato un’attenzione considerevole nell’opinione pubblica occidentale, sta andando incontro a nuovi sviluppi.
Stando ai resoconti dei media cinesi, le autorità superiori del Guangdong hanno già rettificato la tesi originaria delle autorità locali di Shanwei sulla presenza di interferenze da parte di forze esterne, riconducendo la disputa a interessi interni al villaggio di Wukan.
Questo significa che la natura dell’incidente non è più considerata una contraddizione tra il Partito e i suoi nemici, ma è divenuta una contraddizione interna al popolo.
Allo stesso tempo, le autorità superiori del Guangdong hanno inviato a Lufeng una nutrita schiera di squadre di lavoro, incaricate di porre rimedio alla situazione di Wukan. La situazione è dunque migliorata, diffondendo un certo sollievo tra gli osservatori.
Tuttavia le minacce non si sono dissolte e il futuro resta critico. L’ombra più recente è giunta dal discorso di ieri [20 dicembre 2011, ndt] all’Assemblea dei quadri e delle masse a Lufeng, tenuto dal vice segretario generale del Comitato provinciale Zhu Mingguo e diramato dagli organi di informazione ufficiali di Shanwei.
Il discorso, ribattezzato “i sei punti di Zhu”, non si discosta dalla tenace linea di pensiero improntata sulla rigida tutela della stabilità e fa spesso richiamo a forze ostili esterne, entrando così in netta contraddizione con le più recenti direttive delle alte autorità provinciali del Guangdong […].
Di consequenza, il discorso ha inevitabilmente suscitato forti reazioni negative tra l’opinione pubblica. Ad ogni modo, anche le autorità del Guangdong hanno prontamente diramato attraverso i media un comunicato sul discorso di Zhu Mingguo, questa volta rinominato con la formula “i cinque punti di Zhu”.
Questa versione del discorso non solo ha tagliato il sesto punto, che richiedeva con aggressività di attendere il momento opportuno per trovare vendetta contro i leader del movimento spontaneo di Wukan, ma ha riassunto tutti i passaggi centrali del discorso nel pronunciamento «il volere del popolo è prioritario, occorrono la massima determinazione, la massima onestà e il massimo sforzo per rispondere agli appelli ragionevoli delle masse».
[…] La vicenda rappresenta un piccolo scontro mediatico, ma rivela senza dubbio anche una contesa politica ben più complessa. Il punto centrale dello scontro è rappresentato dall’incidente di Wukan: in sintesi, per risolvere i problemi, bisogna etichettare e considerare il movimento come ostile o è possibile adottare realmente un percorso democratico e conforme allo stato di diritto?Le buone intenzioni delle autorità provinciali del Guangdong sono messe in luce dalla volontà di infrangere l’ordine secondo cui il governo non debba riconoscere i propri errori […].
Tuttavia a Shanwei le cose non sono così semplici e ci sono persone che non fanno mistero di volere preservare l’originaria versione dei fatti, continuando a etichettare e condannare il movimento di Wukan al fine di preservare i propri interessi dominanti.
All’interno di questa prova di forza, il giudizio delle autorità del Guangdong si avvicina maggiormente alla verità e al reale svolgimento dei fatti. La nostra è senza dubbio l’epoca della divergenza di interessi, contrapposti proprio come in una partita di scacchi. La reiterazione di contraddizioni e conflitti sociali è determinata per lo più da un generale squilibrio tra gli interessi.
L’incidente di Wukan non fa alcuna eccezione. Gli abitanti del villaggio tutelano i propri diritti, come hanno rivendicato a più riprese. In particolare tutelano il diritto e l’interesse alla terra conformemente alla legge, senza creare alcun antagonismo e opposizione all’ultimo sangue sul piano politico.
Senza alcun dubbio gli abitanti si sono schierati anche per la democrazia e stanno lottando anche per il diritto all’auto-organizzazione, come evidenzia l’esistenza di un organo autonomo come quello del Consiglio temporaneo dei cittadini di Wukan.
Ma questo solo perché la democrazia e il principio di auto-governo sono il migliore strumento di tutela dei diritti e degli interessi conformi alla legge […].
[La traduzione è di Mauro Crocenzi, continua a leggerla su Caratteri Cinesi]*Nato nella provincia del Sichuan nel novembre del 1962, Chen Min (Xiao Shu è il suo nome d’arte) è un giornalista e opinionista affermato. Si laurea nel 1984 al Dipartimento di storia all’Università Sun Zhongshan di Canton. È stato un commentatore riconosciuto del Southern Weekly (Nanfang Zhoumo), nonché capo redattore della rivista Chinese Reform (Zhongguo Gaige). È autore di alcuni libri e cura la rubrica Respiro profondo (Shen Huxi) sulla piattaforma di informazione Fenghuang: «Ogni giorno si succedono ininterrottamente avvenimenti importanti e di minore rilievo. Respiro profondamente, rifletto con lucidità, esprimo le mie opinioni naturali».
** L’immagine di copertina è tratta dal blog di Zhishi Fenzi 只是分子, ‘fumettista atipico’ che fa base a Canton.