Capodanno cinese o tibetano? Proteste in Sichuan

In by Simone

Si fa sempre più tesa la situazione in Sichuan, dove la protesta della comunità tibetana va avanti da lunedì scorso. Ieri è arrivata la conferma di un morto, direttamente da Xinhua. Oggi 26 gennaio l’associazione Free Tibet ha comunicato che i morti sarebbero due, con oltre trenta feriti.
Le proteste si sono sviluppate in una delle prefetture del Sichuan, regione sud occidentale del paese. Xinhua ha citato anonimi funzionari locali che avrebbero detto di essere stati “costretti ad aprire il fuoco” in uno scontro con i manifestanti che avevano attaccato la la stazione di polizia di Chengquan nella contea di Seda, nella prefettura autonoma tibetana di Ganzi, “lasciando un rivoltoso morto e un altro ferito”. Il rapporto affermava inoltre che la polizia aveva arrestato 13 altri manifestanti.

Ma il governo tibetano in esilio e il gruppo Free Tibet hanno detto che almeno due sarebbero i manifestanti uccisi e che ci sarebbero decine di feriti. La protesta è nata per la volontà dei tibetani di non volere festeggiare, per protesta e solidarietà alle ultime auto immolazioni di monaci, il capodanno cinese che cadeva il 23 gennaio. Quello tibetano inizierà ufficialmente il 23 febbraio.

Si tratta degli scontri più gravi con riferimento alla questione tibetana dal 2008, quando prima delle Olimpiadi rivolte scoppiarono nella regione cinese. Pechino continua ad assicurare di garantire ai tibetani la libertà di culto e il mantenimento delle loro tradizioni culturali oltre che un aumento del loro livello di vita grazie a importanti investimenti nelle zone abitate da tibetani.

Di parere contrario le associazioni di tibetani che parlano di un giro di vite della repressione a partire dalle sanguinose manifestazioni anticinesi del 2008. E contestano le accuse di violenze. Stephanie Bridgen, direttrice di Free Tibet, la campagna per la fine dell’occupazione cinese del Tibet, lo ha affermato chiaramente: "di tutti i movimenti di liberazione del mondo, quello tibetano è probabilmente il più conosciuto per il suo pacifismo".

Il primo esito delle proteste è stata l’ammissione ufficiale di un morto, in una ricostruzione, da parte della Cina, che viene contestata dalle associazioni pro Tibet.

Secondo la polizia cinese l’assalto alla stazione di polizia, cui le autorità avrebbero reagito aprendo il fuoco, sarebbe stata effettuata da delinquenti armati di bombe molotov, coltelli e pietre. “Hanno anche aperto il fuoco contro di noi, ferendo 14 agenti di polizia”, avrebbe detto un ufficiale anonimo all’agenzia di stampa statale Xinhua. Secondo la versione ufficiale, la polizia avrebbe fatto ricorso all’uso della forza “solo dopo aver fallito il tentativo di disperdere la folla con mezzi pacifici”.

Da mesi la “questione tibetana” è tornata d’attualità in Cina, nonostante l’opera dei media ufficiali, tesa a tenere sotto controllo ogni informazione. Sarebbero infatti almeno 16 le persone che vivono in aree abitate da tibetani che si sono dati alle fiamme durante lo scorso anno in proteste legate alla persecuzione religiosa adottata dalla Cina.

La zona del Sichuan è strettamente controllata, con le informazioni bloccate dalle autorità, mentre la tensione, secondo le associazioni pro Tibet, starebbe aumentando di ora in ora.

Nel frattempo, secondo il South China Morning Post di oggi, 26 gennaio, “più di un milione di manifesti raffiguranti quattro generazioni di leader del partito comunista – Mao Zedong, Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao – e bandiere nazionali sono state distribuite ai monasteri e alle famiglie nei villaggi del Tibet. Secondo l’ultimo censimento, circa tre milioni di persone vivono in Tibet, il che significa che ogni famiglia ha ricevuto un poster dei leader, una bandiera nazionale, o entrambi”.

Secondo Yuan Weishi, uno storico della Sun Yat-sen University “si tratta di una misura politica destinata ad ampliare l’influenza comunista nelle regioni tibetane e cercare un maggiore sostegno pubblico per superare l’influenza del Dalai Lama”.

[Scritto per Lettera43; fotocredits: argoexplorers.altervista.org]