Birmania – L’alba della democrazia

In by Simone

Sembra giungere all’alba la notte della democrazia che per quarant’anni ha avvolto la Birmania. La leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi entra per la prima volta in Parlamento. Intervista a Beaudee Zawmin, esule ed esponente dell’opposizione democratica birmana.
Il Premio Nobel per la pace ha ottenuto l’82 per cento dei voti nella sua circoscrizione di Kawhmuha, secondo un conteggio ufficioso fatto dal suo partito, la Lega nazionale per la democrazia che ha sua volta si sarebbe aggiudicata la maggioranza dei 45 seggi in palio nelle suppletive.

Il voto di ieri era considerato un test il nuovo corso riformista impresso al Paese dei pavoni dal governo civile che un anno fa ha preso il posto della giunta militare al potere dal 1962, sebbene ancora considerato un’emanazione dei generali che detengono un quarto dei seggi di un Parlamento dominato dal loro braccio politico, il Partito di Unione per la Solidarietà e lo Sviluppo.

La candidatura della “Signora”, come è chiamata dai suoi sostenitori, non aveva mancato di far sorgere critiche da quanti la accusavano di mettere a rischio la sua lotta per la democrazia dando credito all’esecutivo guidato dall’ex numero due dei generali, il presidente Thein Sein, che smessa la divisa avrebbe semplicemente indossato giacca e cravatta.

Le persone cambiano. Il semplice fatto che sia stato un militare non vuol dire che ora non stia cambiando. Rinfacciando il passato non si arriva al dialogo”, ha detto a China Files, Beaudee Zawmin, esule ed esponente dell’opposizione democratica birmana.

L’occasione è la presentazione di Le notti della democrazia. Tina Anselmi e Aung San Suu Kyi, due donne per la libertà (ed. Ediesse, 2012, euro 18.00) a cura di Giuseppe Amari e Anna Vinci. “Due donne accomunate da una grande affinità concettuale e culturale”, hanno spiegato i due studiosi, “C’è una profonda affinità elettiva che emerge dai loro scritti, nonostante la diversa età e le diverse fedi religiose”.

L’antologia è un viaggio nella biografia di Anselmi e Suu Kyi e nella storia sia della Birmania sia dell’Italia, ricostruita con documenti sul progetto eversivo della P2, sui ricordi della resistenza, sui concetti di libertà e democrazia.

Tra gli scritti birmani, oltre alle lettere della “Lady” ci sono anche testi di quella parte del movimento democratico che si riconosce in Aung San Suu Kyi, ma che lotta a proprio modo.

Tutti siamo coinvolti. La politica in Birmania non è soltanto fare politica. È occuparsi della condizione femminile, dei bambini, dei lavoratori, di tutti quelli che sono in difficoltà”, spiega Zwamin, che nel libro racconta la sua battaglia dall’esilio, “Noi per esempio lavoriamo con i rifugiati in Thailandia e in India”.

La conquista della democrazia, aggiunge, è il primo obiettivo. “Non siamo contro i militari, vogliamo soltanto cambiare il sistema e trovare soluzioni, per questo sosteniamo Aung San Suu Kyi”.

Per i birmani, continua, la Signora non è soltanto un simbolo, è una leader dotata di carisma e con la volontà di arrivare a risultati.

I birmani la rispettano perché riconoscono che negli anni si è sacrificata per la causa. “Quando deciderà di ritirarsi è però già pronta una nuova generazione di leader. Penso per esempio agli esponenti del movimento studentesco appena scarcerati e pronti a farsi coinvolgere. Ci sono inoltre i giovani esuli. Almeno tre milioni di birmani vivono fuori dal Paese e attendono di poter tornare per dare una mano e mettere a disposizione le loro conoscenze”.

Secondo il Finacial Times, la mancanza di dirigenti preparati, capaci di gestire il processo di riforma  è uno dei principali ostacoli del nuovo corso birmano impresso dopo le elezioni del novembre 2010, le prime indette dall’ormai disciolta giunta militare in vent’anni.

Le riforme stanno procedendo a un ritmo che non ci saremo mai aspettati. Abbiamo però bisogno del sostegno della comunità internazionale affinché non ci sia un ritorno al periodo dei generali”. Zawmin, come altri osservatori, è preoccupato per lo scarso “capacity building” del Paese dei pavoni.

Servono persone per fare le riforme. Per questo chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci non soltanto con investimenti, ma anche con progetti in campi come l’istruzione. E chiediamo al governo di permettere ai birmani in esilio di tornare. Vogliono contribuire e aspettano un visto o una legge che dia loro questa opportunità”.

Così come occorre continuare a collaborare con i Paesi vicini, su tutti India e Cina, come sta già avvenendo per  trovare accordi con le milizia etniche.

Naturalmente, come sottolineato alla vigilia del voto dal capo di Stato maggiore delle Forze armate, Min Aung Hlaing, l’esercito continuerà ad aver un ruolo nella politica. D’altronde lo ha avuto per oltre quarant’anni e non “è credibile che tutto cambi all’improvviso”, ha aggiunto Zawmin. Con la convinzione però che se si è sinceri si possa ottenere ciò cui si ambisce. A patto di volerlo.