Berlinguer in cina

Berlinguer in Cina: il decennio del lungo carnevale

In Cina, Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Gian Luca Atzori

In occasione del centenario di Enrico Berlinguer, leader che portò il Partito Comunista Italiano alle sue vette storiche, vale la pena ricordare anche il suo ruolo fuori dal paese. Fece infatti altrettanto per le relazioni sino-italiane, le quali proliferarono come mai prima, finendo per influenzare il comunismo internazionale e quello cinese con cui oggi ci confrontiamo.

Per il primo secolo successivo all’unificazione e fondazione dell’Italia le relazioni con la Cina non hanno visto un grande sviluppo, complici anche la caduta dell’impero, la guerra civile e i conflitti mondiali. Tuttavia, durante gli Anni di piombo in Italia e la Rivoluzione culturale in Cina, iniziano a delinearsi dei presupposti politici ed economici che porteranno le relazioni sino-italiane al punto più alto del ‘900. Sono anni descritti dal ricercatore Seamus Taggart nel suo lavoro “Italian Relations with China 1978-1992” come il “decennio del lungo carnevale”. Un periodo che nei primi anni vide Enrico Berlinguer porre solide fondamenta, instaurando un profondo legame umano con la leadership cinese e mettendo al centro della sua diplomazia una chiara visione geopolitica.

Si trattava di un periodo cruciale per lo sviluppo di entrambi i paesi, tanto simili quanto diversi. Il primo attraversava il compromesso storico, la morte di Aldo Moro, la strage di Bologna. Il secondo era reduce dalla Rivoluzione culturale e dalla morte di Mao. Il partito comunista italiano (Pci) e quello cinese (Pcc) dovevano decidere cosa sarebbero diventati e attraverso quale modello di futuro, contesi nella guerra fredda tra imperialismo e autodeterminazione, democrazia e autoritarismo, apertura e chiusura, Stato e mercato.

Eurocomunismo e questione morale

Il motore dello sviluppo delle relazioni era determinato dalle prerogative domestiche, dal ruolo delle Pmi, dagli aiuti per lo sviluppo e dal credito all’esportazione. Al centro del dibattito nei due paesi vi erano diverse questioni, dal risanare le tensioni socio-economiche al futuro del comunismo internazionale in relazione all’espansionismo sovietico. In questo, Berlinguer ha dato un grande impulso ad una via alternativa e democratica all’imperialismo. La sua questione morale rimane determinante nel ragionamento, nonostante sia stata spesso retrocessa a sinonimo di “onestà in politica”, trovando espressione nel “parlamento pulito” italiano e nella “campagna di anticorruzione” di Xi Jinping. E’ stata dunque, in più occasioni e in diversi periodi storici, un elemento strumentale al potere, alla sua ascesa o al suo consolidamento.

Tuttavia, la questione morale riguarda non solo il fare politica onestamente, ma prima di tutto costruire una società più etica, in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo possa cessare, in cui le battaglie di ogni popolo oppresso siano sostenute. Da qui nasce l’idea di eurocomunismo di Berlinguer, una vocazione internazionale e socialdemocratica che esporta fino alla Cina, instaurando un buon rapporto con Pechino e con Hu Yaobang, il leader la cui morte scatenò le celebri proteste studentesche di Piazza Tiananmen nel 1989.

Pertini, Deng e… Fallaci: La normalizzazione del rapporto

Sul piano economico, l’impulso maggiore è sicuramente stato dato dalle politiche di apertura avviate da Deng Xiaoping e dalle precedenti azioni di Zhou Enlai che già propose simili riforme nel 1964. Sul piano politico, fu invece centrale la situazione geopolitica così come la relazione tra i partiti comunisti dei due paesi. L’invasione sovietica dell’Afghanistan ha causato la rottura definitiva tra il Pcc e il suo omologo russo. Inoltre, la via indicata da Mosca non si allineava con quella del partito di Roma. Il Pci ha infatti condannato l’invasione afghana nel 1979, mostrando distacco dalla Russia in diverse occasioni e compiacendo di fatto Pechino.

Nello stesso anno si svolse la visita di Deng e Hua Guofeng a Roma dove incontrarono Nenni, Craxi e Berlinguer. Qui vennero siglati importanti accordi di cooperazione tecnica, scientifica, economica e culturale e si stabilì di aprire i consolati di Milano e Shanghai. Un altro importante momento fu la visita del 1980 del Presidente Sandro Pertini affiancato dal Ministro degli esteri Emilio Colombo, che fu premier quando le relazioni vennero stabilite negli anni 1970. Anche Oriana Fallaci con la sua intervista a Deng svolse un interessante ruolo in questa partita. Si dice che durante questo incontro il leader cinese chiese: “Com’è questa Oriana Fallaci? Mi ha testato per quattro ore”. Pertini rispose: “non è stata lei a testarti, sei stato tu a testare lei e posso assicurare che abbia passato la prova”.

Un sardo a Pechino

Nell’aprile del 1980 fu invece la volta cinese di Berlinguer. La visita venne descritta come “storica” dalla stampa italiana e da quella straniera che -riportando le parole di Le Monde- parlò di “un ulteriore passo intrapreso dal Pci nella sua strada lontano dall’Urss e vicina all’Europa”. Il viaggio venne anche spiegato dallo stesso segretario nell’articolo de L’Unità del 13 aprile dal titolo “Perché andiamo in Cina”:

Mai prima d’ora, quando la scena internazionale è sempre più soggetta a tensioni, divisioni e pericoli, questa esigenza è apparsa così necessaria. Stiamo assistendo a un deterioramento delle relazioni internazionali così grave che si potrebbe temere una catastrofe imminente. Questa situazione richiede la più ampia mobilitazione di quelle forze che si rendono conto della necessità di proporre nuove idee per affrontare la crisi e riaprire così un dialogo costruttivo e pacifico su questioni e obiettivi da cui dipende la salvezza dell’umanità: nuove relazioni internazionali, fondate sulla giustizia e pari dignità, rispetto del diritto dei popoli a liberarsi dal dominio imperialista e da altre forme di ingerenza straniera in materia di disarmo e uso delle risorse.

Nonostante lo scambio tra Pci e Pcc in quegli anni fu prevalentemente basato su questioni internazionali più che bilaterali, Berlinguer implementò effettivamente delle solide relazioni internazionali con Pechino, come mai prima d’ora. Il suo obiettivo era percepito come passionale e sincero, capace di trasmettere fiducia in una nuova via del comunismo internazionale basata su l’anti-imperialismo, la socialdemocrazia e il supporto degli oppressi. Nel suo discorso finale prima della ripartenza affermò:

Dovete sapere, cari compagni, che i legami che il PCI ha ristabilito con il vostro partito, intende mantenerli e svilupparli con altri partiti comunisti e con tante altre forze operaie e democratiche di tutto il mondo, corrispondenti a la nostra visione dell’internazionalismo come elemento italiano e come forza che fa parte di un più ampio movimento progressista in Europa e nel mondo.

Il rapporto con Hu Yaobang

La relazione tra i partiti continuò a crescere con diversi incontri ufficiali e nuovi accordi fino a che nel 1983, Hu Yaobang -segretario generale del Pcc e ultimo presidente del Partito- invitò la famiglia Berlinguer a spendere l’estate in Cina. Il segretario italiano fu onorato della richiesta e fece anche scalo a Pyongyang, incontrando Kim Il Sung, ma la differenza tra i regimi era e rimane profonda. Hu è stato il primo segretario della Lega della Gioventù Comunista Cinese, nei quali militarono anche l’ex-Presidente Hu Jintao, l’ex-premier Wen Jiabao e l’attuale Primo ministro Li Keqiang. Xi Jinping appartiene invece a una fazione differente, i cosiddetti “principi rossi” ovvero figli dell’élite rivoluzionaria.

L’equilibrio politico interno al partito si divide spesso tra queste due pulsioni, e personaggi come Hu Yaobang -ma anche lo stesso Li Keqiang- si sono mostrati aperti a riflettere su nuove forme democratiche di governance in accordo con la cultura politica cinese. Non a caso la morte di Hu ispirò le proteste studentesche e pro-democratiche di Piazza Tiananmen. Verrebbe dunque da chiedersi come si sarebbe evoluto oggi il comunismo cinese, quello italiano o quello internazionale, se Berlinguer e Hu Yaobang non ci avessero lasciato in quel momento.

Durante la ripartenza, Hu disse: “Per la modernizzazione socialista della Cina, abbiamo bisogno di pace e stabilità.” Berlinguer lo invitò in Italia, lui promise che l’avrebbe raggiunto, ma non ci fu mai l’occasione. Nel giugno dell’84, il primo ministro cinese Zhao Ziyang interruppe una visita in Norvegia per recarsi ai funerali Berlinguer. Zhao rimase affascinato dal calore di Piazza San Giovanni, paragonando il segretario italiano a Zhou Enlai. Il Pci a sua volta rimase spiazzato dalla profondità delle relazioni che Berlinguer era riuscito a cucire con i cinesi.

Effetto Berlinguer 

Infatti, nel 1985, durante la visita del nuovo segretario Natta a Pechino, Hu Yaobang rese omaggio a Berlinguer: “la sua visione, il suo pensiero profondo, il suo stile schivo e onesto, la sua fermezza e determinazione rimarranno per sempre nella nostra memoria.” nel farlo si riferì anche ad un proverbio cinese: “fiori in primavera, frutti in autunno”, come a dire che Berlinguer aveva seminato e Natta stava raccogliendo i frutti del suo lavoro. Natta incontrò anche Deng il quale a sua volta confermò che, nonostante possibili errori, gli ultimi cinque anni di relazione erano stati molto positivi ed è ciò quel che contava. La visita è raccontata da un articolo del 1985 di Paolo Mieli su La Repubblica, intitolato “C’è un Gorbaciov anche a Pechino”.

Nel 1978 i principali prodotti importati dalla Cina erano tessili e forestali e ammontavano a 169 miliardi di lire. L’export era bilanciato e pesava 160 miliardi, di cui la gran parte prodotti chimici e macchinari. Un deficit di 9 miliardi di lire a favore dei cinesi. Un margine ristretto ma significativo, soprattutto all’epoca. Nel 1984 import ed export erano aperti a numerosi settori e i volumi si erano più che quintuplicati. Per comprendere meglio la situazione, nel 1986, l’ex diplomatico Mario Filippo Pini, la descrisse in questi termini nel tentativo di spiegare ad un collega tedesco come fosse possibile che l’export italiano in Cina fosse raddoppiato in un anno, superando la Francia e divenendo secondo in Europa solo alla Germania dell’ovest.  “Ricordo che provavo un senso di orgoglio. All’epoca, tra i paesi europei attivi in ​​Cina, l’Italia contava.”

Quel che resta 

Nel ringraziare Hu per la visita del 1980, Berlinguer scrisse una lettera in cui rinnovava l’invito a solidificare il rapporto tra i due partiti e i due paesi in vista della pace mondiale e della giustizia sociale e nel tentativo di scongiurare i conflitti in corso e un eventuale nuovo conflitto mondiale. Un insegnamento che dovremmo tenere ben presente anche oggi, in particolare nel ruolo che il rapporto tra Europa e Cina può svolgere nel conflitto Ucraino o nella questione taiwanese.

Allo stesso modo, per Berlinguer i caratteri distintivi del sistema da scardinare erano “lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia”. Un modo per ricordarci come la crisi ambientale, umanitaria e sanitaria che viviamo non possa esimerci da importanti sacrifici, ma soprattutto, necessiti la messa in discussione, non tanto della democrazia, quanto dello sfruttamento di risorse umane e naturali che alimentiamo quotidianamente e nell’indifferenza generale.

 

Fonti:

  • Antonio Rubbi, Appunti cinesi, Roma, 1992.
  • Enrico Berlinguer, “Perché andiamo in Cina”, L’Unità, 13/04/1980
  • Letter, Enrico Berlinguer to Hu Yaobang, May 19, 1980, Wilson Center.
  • Mario Filippo Pini, Italia e Cina. 60 anni tra passato e futuro, Roma, 2011.
  • Manfred Spieker, “How the Eurocommunists Interpret Democracy”, The Review of Politics, Cambridge University Press, Vol. 42, No. 4, 1980, pp. 427-464.
  • Oriana Fallaci, Intervista con la Storia, Milano, 2008.
  • Paolo Mieli, “C’è un Gorbaciov anche a Pechino”, La Repubblica, 22/10/1985.
  • Renzo Foa, “Il programma del viaggio della delegazione del PCI in Cina”, L’Unità, 13/04/1980; “Berlinguer è arrivato a Pechino. Nuovi accenni politici e calorose accoglienze”, L’Unità, 15/04/1980; “Lungo e franco colloquio con Hua. I temi sottolineati: pace e unità nell’autonomia”, L’Unità, 16/04/1980.
  • Sandro Bordone, “La Normalizzazione dei Rapporti tra Pcc e Pci”,  Il Politico, Vol. 48, No. 1 1983, pp. 115-158.
  • Seamus Taggart, “Italian Relations with China 1978-1992: The Long Carnival Decade – Burgeoning Trade and Diplomatic Kudos”, Le rapport au monde de l’Italie de la première guerre mondiale à nos jours”, Cahiers de la Mediterranee, n.88, 2014, p. 113-134.
  • Vittorio Colombo, Incontri con la Cina, Milano, Istituto Italo Cinese, 1995.