“Annullato”, così sembrava essere il Beijing Independent Film Festival (Biff) di quest’anno. Eppure per essere stato un festival “annullato” la sesta edizione del BIFF è stato un evento estremamente ricco di immagini e di stimoli, in cui – nonostante tutto – i film sono stati i veri protagonisti.
Conclusosi lo scorso sabato il Beijing Independent Film Festival (Biff) si è tenuto a Songzhuang, distretto artistico in via di sviluppo alle porte di Pechino, negli spazi del Li Xianting’s Film Fund, ente promotore e organizzatore.
Il Beijing Independent Film Festival (Biff) è insieme al China Independent Film Festival (che si terrà nei prossimi giorni a Nanchino) la più importante e completa rassegna di cinema indipendente cinese.
Negli ultimi anni questa rassegna è cresciuta sia come pubblico che come numero di opere proposte, offrendo sempre più stimoli visivi al suo pubblico, ristretto ma fedele, appassionato e attento.
Quest’anno l’inizio del BIFF è stato caratterizzato dall’annullamento della sede designata originariamente (un poco probabile hotel internazionale a Yanjiao), e da alcune visite della polizia dove le proiezioni si sono poi effettivamente svolte, ovvero al Lixianting’s Film Fund, centro di promozione e archivio dedicato a questo tipo di cinema che in Cina è marginale, circoscritto, a tratti invisibile e – proprio per questo – interessantissimo.
L’inizio della rassegna sotto simili auspici ha rievocato gli spettri della censura, soprattutto i ricordi recenti della scorsa primavera che hanno visto l’annullamento “ufficiale” del festival gemello DOChina (sempre a Songzhuang) e soprattutto l’arresto di molti attivisti tra cui Ai Weiwei al quale proprio il BIFF dell’anno scorso aveva dedicato una retrospettiva.
Eppure il BIFF quest’anno si è svolto seguendo il programma stabilito dagli organizzatori, in particolare il curatore Wang Hongwei (attore protagonista dei primi film di Jia Zhangke, tra cui l’immortale borseggiatore di Xiao Wu), in un’atmosfera serena e famigliare.
Ma allora mala tempora currunt per il cinema indipendente cinese?
A giudicare dalla qualità delle opere si direbbe proprio di no. Nulla sembra essere infatti cambiato dagli anni scorsi. Anzi se possibile la qualità dei film è cresciuta e i registi sono ancora più coscienti di sé e del loro ruolo. Soprattutto gli “incidenti” iniziali non hanno
oscurato la cosa più importante: i film e il desiderio di immagini che essi hanno alimentato per tutta la settimana; un desiderio forte, condiviso da autori e spettatori.
In particolare questa ultima edizione del BIFF ha visto una convergenza di molte opere, soprattutto documentari, verso il ricorrere dell’uso della memoria privata e popolare come nuovo soggetto narrante. Diversi infatti i film in cui anziani si raccontano nella forma di lunghe interviste (Pathway di Xu Xin), attraverso la loro vita quotidiana (Shattered di Xu Tong), o narrazioni estetizzanti stile nouvelle vague (My Mother’s Rhapsody di Qiu Jiongjiong).
Voci che fanno rivivere il passato, racconti in cui si riflette la storia nazionale, che attraverso il video diventano testimonianza oggettiva e inconfutabile. Privato e collettivo si vengono così a sovrapporre, come in Mother Wang Peiying del maestro del documentario Hu Jie. Qui si ricostruisce la vicenda di Wang Peiying, giovane donna e madre che durante la Rivoluzione culturale ha avuto il coraggio di esprimere le proprie idee, per questo è stata bollata come contro-rivoluzionaria, torturata e infine giustiziata.
Attraverso una lunga ricerca di documenti e testimonianze di amiche e famigliari Hu Jie ricostruisce la storia di una donna che pur essendosi allontanata dalla massa del popolo, ne rappresenta comunque la storia come caso emblematico ma non unico. E così ancora una volta il privato è il percorso che il cinema indipendente sceglie di percorrere per arrivare a rappresentare attraverso di esso tutta una nazione.
Una prova di questo, in modo quasi opposto ma complementare rispetto all’opera di Hu Jie, è Solemn Tranquillity di Zhang Zanbo. Il regista incontra dopo tanti anni un suo vecchio compagno di studi, che gli inizia a raccontare del suo lavoro come impiegato nell’amministrazione locale, uno dei suoi compiti è quello di riportare indietro petitioners in fuga verso la capitale che potrebbero far fare brutta figura al governo della contea.
Attraverso immagini a tratti intime si delinea un inquietante racconto dall’interno dei meccanismi del potere e dell’esercizio della legge, in cui corruzione verso i livelli superiori e la mercificazione delle persone senza diritti sono la norma. Alla fine del film non si capisce se quelle immagini improvvisate e precarie siano veramente solo un diario di un incontro di vecchi amici, o uno squarcio su una verità altrimenti inviolabile.
Quella dei documentari, comunque diversi tra loro per stili e temi, è stata forse la sezione più seguita dallo sparuto pubblico del Li Xianting’s Film Fund, eppure anche tra i film a soggetto non sono mancate le sorprese, come Celestial Kingdom del veterano Wang Chao o The Ditch di Wang Bing che già è arrivato al Festival di Venezia lo scorso anno, e di cui in Cina si trova il dvd pirata, ma la cui presenza al BIFF è prestigiosa e legittima ancora di più la rassegna.
Ma seppur di finzione i film di questa sezione hanno raccontato storie che hanno toccato temi sociali sensibili, mostrando come anche molti di questi giovani registi nati negli ’80 non siano così lontani dai problemi reali.
Un percorso tra immagini diversissime tra loro che si sono confrontate e sovrapposte, una finestra che ancora di più mette in risalto le differenze e le diverse facce della complessità cinese. Il BIFF è stato tutto questo, e nient’altro.
[Pubblicato su Il Manifesto]* Edoardo Gagliardi – Ha appena concluso il dottorato di ricerca in cinema cinese contemporaneo presso la Facoltà di Studi Orientali dell’ Università di Roma, la Sapienza. Ha collaborato a riviste e siti internet come Rockerilla, Film, Caltanet e altri. Vive a Pechino dove collabora con The World of Chinese