Asiaticafilmmediale – Puzzle Asia

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Da tredici anni
Asiaticafilmmediale apre per una settimana una finestra sul cinema asiatico a Roma: Iran, Egitto, Cina, Giappone e Corea ovviamente, ma anche Medio Oriente, Tailandia, Malesia, Nepal, Filippine e molti altri.

Proprio alle Filippine era dedicato il focus di quest’anno, significativo per diverse ragioni ed eventi concomitanti. Uno di questi è l’accordo raggiunto dal governo di Benigno Aquino con i separatisti musulmani per la costituzione di una regione islamica nel sud del paese, accordo che non sarà privo di conseguenze, ma che di fatto mette fine ad una guerra interna durata quindici anni.

Al centro del sezione speciale il cinema di Raymond Red, primo cineasta filippino ad essere stato insignito di un premio a Cannes nel 2000 per il cortometraggio Anino (Shadows).

Diversi i lavori riproposti, dai corti in 8 e 16mm come The Yawn (1984) e Study for the Skies (1988) – girati da studente – a lungometraggi come Manila Skies (2009), per finire con il più recente Kamera Obskura, presentato in anteprima.

Il film costituisce un’operazione filologica di riscoperta del cinema, filippino e non solo. Per Red è anche un omaggio a maestri del cinema come Fritz Lang e Orson Welles: evidenti infatti i richiami a Metropolis e Quarto Potere.

Cinema di riscoperta in tutti i sensi e cinema che parla di cinema: la pellicola nasce dal fittizio ritrovamento dell’unico film muto proveniente dal quel Paese, conservatosi fino ad oggi.

Il film dentro il film è la storia di un uomo tenuto prigioniero per molti anni che all’improvviso ritrova la libertà e con essa la luce e il cinema, come afflato verso la verità, la necessità di registrare i fatti come avvengono e nel momento in cui avvengono, tanto da diventare lui stesso “corpo-macchina”.

Una riflessione sulla modernità e i suoi aspetti aberranti, ma anche un esempio ormai raro di cinema militante, che ricorda agli spettatori la necessità e il dovere di perseguire – attraverso la tecnologia cinematografica – un’obiettività che non affermi verità, ma metta in discussione quelle dominanti.

La città in cui si aggira il protagonista è la Manila coloniale degli anni Venti, sotto il dominio statunitense. Ancora oggi le Filippine vivono in una scomoda parentesi postcoloniale, a metà tra i lasciti delle varie dominazioni e la necessità di emancipazione, un limbo funestato da lotte intestine.

Sono però tutti aspetti che la rendono attiva dal punto di vista culturale, o che quantomeno mobilitano le energie di molti intellettuali. Tra questi il critico e regista Nick Deocampo, che durante un intervento ha spiegato come il cinema filippino sia nato (già) alla fine del diciannovesimo secolo – sulla spinta di quello americano – ma che i primi film, in particolare i muti, sono andati perduti: alcuni fagocitati dagli archivi americani, la maggior parte distrutta dai bombardamenti della battaglia di Manila Bay prima e durante la Seconda guerra mondiale poi. Da qui la necessità di ritrovare il filo interrotto con il passato, ricostruirlo o reinventarlo tout court.

Il film Santa Niña (2012), primo lungometraggio di Emmanuel Quindo Palo, è una riflessione sulle manifestazioni e le conseguenti aberrazioni del sincretismo religioso in tutto il Paese, in modo particolare nella provincia di Pampanga, colpita dalla catastrofica esplosione del vulcano Pinatubo nel 1991 e, quattro anni dopo, dalle frane di cenere che hanno travolto interi villaggi.

La vicinanza alla morte è rappresentata allegoricamente dal ritrovamento casuale del corpo perfettamente preservato di una bambina, a dieci anni dalla sua morte. La bimba diventa oggetto di venerazione da parte della popolazione del luogo, una piccola “santa” su cui convergono speranze e fanatismi.

Il dramma e il ricordo, precedentemente rimossi, tornano sotto forma di reliquia che intercetta paure e sensi di colpa di un intero popolo, combattuto anche tra la religione ufficiale dei vescovi e quella più viscerale praticata dalla gente.

Un altro esempio di cinema della scoperta è Our Homeland (Kazoku no kuni, 2012) della giapponese Yang Yonghi. Il film della regista di origine coreana apre uno squarcio su una vicenda dolorosa le cui conseguenze sono presenti ancora oggi, anche se non visibili a tutti.

È la storia di molte famiglie nordcoreane i cui figli, richiamati in patria negli anni Settanta con la promessa di una casa, educazione e assistenza medica gratuita, sono stati in realtà rapiti da un regime che ha loro impedito di ricongiungersi ai parenti se non attraverso rari permessi, concessi e immediatamente revocati, senza spiegazioni e senza possibilità di appello.

Dopo due documentari, la regista ha affidato alla fiction la delicata ricostruzione della storia di suo fratello, “bloccato” in Corea del Nord e rientrato in Giappone dopo 25 anni per rivedere i parenti e curare una grave malattia, ma richiamato dopo due sole settimane e costretto a “riportarsi” indietro la malattia, insieme al dolore per il distacco forse definitivo.

È prerogativa del cinema, di questo cinema, ricostruire e raccontare situazioni che per la loro complessità fanno fatica a essere incluse nel meccanismo rodato della “storia ufficiale”.

Descrivere la convivenza di mondi inseriti l’uno nell’altro come scatole cinesi, dal nucleo emotivo più profondo al livello più esterno, quello sociale della diplomazia, delle istituzioni che rappresentano ma non possono comprendere.

Pur tra difficoltà organizzative e un budget ridotto, Asiaticafilmmediale rilancia ogni anno la sfida di proporre gratuitamente una selezione rappresentativa della produzione filmica di un continente, e molto più di questo. Un’opportunità di scoperta delle realtà che compongono quel complesso puzzle di popoli e situazioni che chiamiamo Asia.

[foto credits: elysplanet.com]

*Mariagrazia Costantino ha frequentato un Master in Media and Film presso la SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra e ha da poco conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Cinema presso il Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre. È coautrice di Arte Contemporanea Cinese (Electa) e ha contribuito alla stesura del testoWorld Film Locations: Beijing.