Asia – L’impatto di ebola sul commercio del riso

In by Gabriele Battaglia

In pochi mesi il virus ebola ha avuto un impatto su un settore economico fondamentale per i Paesi dell’Africa occidentale interessati dall’epidemia: il commercio di riso. Le consegne vanno a rilento e ora il rischio è che uno stop alle consegne di riso in quelle zone provochi una crisi alimentare. In pochi mesi il virus ebola ha avuto un impatto su un settore economico fondamentale per i Paesi dell’Africa occidentale interessati dall’epidemia: il commercio di riso. Le consegne dal principale esportatore, la Thailandia, verso Sierra Leone, Liberia e Guinea vanno a rilento e sempre meno compagnie di spedizione accettano di effettuare trasporti in direzione dei Paesi più colpiti dall’epidemia.

Il rischio è che uno stop parziale – o, nel peggiore dei casi totale – alle consegne di riso in Africa occidentale provochi una crisi alimentare. I Paesi della regione sono infatti dipendenti dall’import di riso asiatico, che vale il 40 per cento (dati Ocse) dell’approvvigionamento totale del cereale, alla base della dieta locale.

Solo lo scorso anno sono state circa 900mila le tonnellate metriche consegnate nei Paesi oggi focolaio del virus.

A risollevare il problema, già emerso qualche settimana fa, è stato un articolo del Nikkei Asian Review. «Ebola è una minaccia al nostro commercio, ma la situazione non è ancora troppo critica», ha spiegato al magazine Vichai Sriprasert, presidente onorario dell’Associazione esportatori di riso thailandesi e presidente della Riceland International, uno dei più importanti esportatori mondiali di oro bianco.

«Ci sono scontri tra armatori e capitani delle navi, equipaggi e assicurazioni che non vogliono approdare in quei porti», ha aggiunto Vichai. «Ma gli armatori non possono recedere dai contratti già firmati».

Per gli esportatori asiatici un eventuale fermo delle navi cargo potrebbe poi essere un duro colpo. Tra il 2007 e il 2013 la domanda di riso è cresciuta di oltre il 6 per cento in Africa, a favore delle bilance commerciali di India, Vietnam e Thailandia, i tre principali esportatori mondiali di riso. Un trend favorito dall’aumento fino a 40 chili annui del consumo di riso per persona in alcuni Paesi del continente.

Per l’economia thailandese il periodo precedente all’esplosione del virus è stato favorevole: in particolare, la Giunta militare in carica da maggio 2014 aveva intravisto l’opportunità di tornare leader nell’export di riso dopo che nel 2012 Bangkok aveva ceduto il primato a favore di India e Vietnam.

Nonostante l’interruzione del programma di sussidi ai produttori di riso avviato dal governo Shinawatra nel 2011, nei primi sei mesi di quest’anno il volume di esportazioni ha superato le 4,5 milioni di tonnellate, in crescita del 60 per cento rispetto al 2013; mentre la capacità di vendita di riso quest’anno ha raggiunto i 9 milioni di tonnellate.

Se si conferma il trend dello scorso anno, almeno un terzo di questa è diretta in Africa in particolare in Benin, Costa d’Avorio, Camerun, Mozambico e Nigeria.

Una soluzione potrebbe essere quella di far attraccare le navi in porti considerati sicuri e trasportare via terra, con il rischio però di far balzare alle stelle il prezzo del cereale al dettaglio. I problemi veri, dicono gli esperti, si avranno però se si realizzano le previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che prevede che entro fine anno i contagiati dalla malattia saliranno a 1,4 milioni. E di porti sicuri ce ne saranno sempre meno.

Le prime conseguenze già si vedono. «Ci sono alcuni mercati che registrano aumenti del prezzo al dettaglio», si legge nel rapporto mensile sull’impatto economico dell’ebola stilato dall’International Growth Center, un think tank della London School of Economics e dell’Università di Oxford.

Soprattutto in alcuni mercati di Guinea e Sierra Leone, dove la produzione di riso locale non è sufficiente e anche il cereale d’importazione sembra ormai essere un bene di lusso. «È importante garantire in queste zone», conclude il rapporto, «un flusso costante di riso importato».

È soprattutto qui, nei Paesi rimasti ‘immuni’ all’epidemia o dove sembra essersi arrestata, che bisogna intervenire.

Non solo garantendo un flusso costante di importazioni, ma soprattutto favorendo l’agricoltura locale. «Se non si riesce a realizzare un raccolto sufficiente in questa stagione, non ci saranno semi per il prossimo raccolto, nemmeno per i Paesi liberi da ebola», ha spiegato Adama Traore, direttore generale dell’African Rice Center. «Questo potrebbe provocare malnutrizione, carestie e indurre la popolazione a fuggire oltre confine». 

[Scritto per Lettera43; foto credit: bloomberg.com]