Asia Files: Dote, viaggio nel cuore malato dell’India

In by Simone

Nella foto in bianco e nero, che per giorni campeggiò sui media nazionali apparendo anche sulla stampa internazionale, una giovane donna indiana è ritratta, vestita di un sobrio salwar kameez. La ragazza siede con aria sconsolata in mezzo a una pila di scatoloni. Sullo sfondo si possono distinguere chiaramente gli imballaggi di due televisori marca Whirlpool, di due set per l’home-theater della Sony, di due frigoriferi e di altrettanti condizionatori. L’India tradizionale e l’occidente si ritrovano in quell’immagine e, dall’espressione della ragazza, l’esito di tale incontro non pare dei migliori.

La giovane donna si chiama Nisha Sharma. Al tempo, era il 2003, era una studentessa ventenne di ingegneria, residente nei sobborghi di Noida, a New Delhi. Appartenente a una famiglia della classe media urbana, aveva accettato di buon grado – come molte sue coetanee indiane – che la sua famiglia organizzasse un matrimonio combinato, occupandosi della ricerca del partito adeguato per appartenenza religiosa e castale. Un’inserzione, pubblicata sui quotidiani locali in lingua inglese, aveva permesso di individuare il candidato ideale nel venticinquenne Munish Dalal, un futuro brillante come ingegnere.

I due giovani si erano conosciuti e piaciuti, per quanto un paio di caffè presi in pubblico possano permetterlo. Le famiglie si erano presentate e gli accordi per le nozze presi senza che la famiglia dello sposo avesse avanzato, almeno in apparenza, alcuna richiesta di una dote in oggetti o denaro. In un clima di apparente serenità, i regali del padre di Nisha erano sembrati a tutti il frutto della generosità paterna spinta ben oltre la preoccupazione per il futuro della propria figlia, prevedendo gli stessi doni riservati agli sposi anche al fratello maggiore di Munish, così che l’ingresso della giovane nella nuova casa fosse salutato da tutti con favore e «non nascessero invidie tra cognate». Consegnando le chiavi della Maruti Esteem nuova di zecca, altro dono di nozze, a un raggiante futuro genero, il padre della ragazza lo aveva ammonito: «Voglio che mia figlia sia felice come lo sei tu in questo momento».

La felicità di Nisha durò però solo fino al giorno delle nozze, che avrebbero dovuto celebrarsi alla presenza di 1500 invitati e a spese della famiglia della sposa. Davanti all’improvvisa richiesta da parte della futura suocera di una cifra in contanti di 12 lakh (circa 25,000 dollari), la ragazza, già indossato il tradizionale sari rosso nuziale, aveva compiuto un gesto rivoluzionario per una giovane donna indiana: rifiutandosi di procedere con le celebrazioni, aveva chiamato la polizia, denunciando la famiglia Dalal.

Il reato contestato era la violazione del Dowry Prohibition Act, la legge emanata nel 1961 che ha in teoria bandito la pratica della dote dall’India, stabilendo che sia reato sia offrirla sia accettarla e prevedendo pene pesanti per chi viola le disposizioni di legge.

Questo episodio fece della giovane Nisha l’eroina nazionale della lotta alla dote, celebrata dai media indiani e dalle organizzazioni femministe come un esempio per tutte le donne che ogni anno sono vittime di violenze – che spesso arrivano fino all’omicidio – e soprusi legati alla dote. Il clamore fu tanto che alla fine conta poco se la vicenda assunse più i contorni della soap opera che quelli del caso esemplare. Da una parte, la versione della famiglia di Nisha, supportata da nastri di registrazioni, che dimostravano che le richieste di denaro erano iniziate ben prima del giorno delle nozze, e da cui risultava che i regali paterni erano in realtà stati estorti con la minaccia da una suocera diabolica e da un genero calcolatore; dall’altra, i seguaci della famiglia del marito scoprivano le loro carte, sostenendo che il clan di Nisha era sempre stato al corrente della richiesta di dote e che le resistenze erano iniziate solo in seguito alla scoperta che la posizione sociale ed economica inizialmente denunciata dal futuro sposo non corrispondeva a realtà. La verità, in questo come in moltissimi altri casi di dote, è pressoché impossibile da stabilire.

Ma questa storia ci dice molto su quello che sta succedendo nell’India di oggi, dove le transazioni matrimoniali sono divenute complessi negoziati economici e la dote sta vivendo una nuova primavera. Contrariamente a ciò che accade nel resto del mondo, dove la pratica è uscita sconfitta dall’incontro con la modernità, l’India ha visto infatti negli ultimi decenni un riacutizzarsi del fenomeno a più livelli, e una sua espansione lungo le traiettorie dei flussi migratori, approdando nei paesi a maggiore presenza di non Indian resident (NRI) quali Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna.

Quanto al subcontinente, si è assistito a una diffusione dalle regioni settentrionali del paese tradizionalmente caratterizzate da sistemi di discendenza patrilineare che privilegiavano i figli maschi, verso il sud dove invece è sempre esistito il diritto ereditario per le donne e si pratica il prezzo della sposa , rivoluzionando in tal modo gli equilibri matrimoniali verso forme di asimmetria più marcata. Se si guarda poi ai meccanismi economici, la dote odierna non corrisponde più al versamento da parte della famiglia della sposa di un ammontare fisso sui propri beni, ma è divenuta prodotto di una contrattazione tra i due nuclei famigliari. Questa versione non risulta essere esistita in passato, e appare come il sintomo di un piegarsi della dote alle logiche della società consumistica, tanto più che a costituire la lista della dote sono oggi sempre più beni materiali quali televisori, frigoriferi, scooter, automobili e computer. In ogni caso, in una società connotata da profonde diseguaglianze come quella indiana di oggi, la dote offre vantaggi tali per quasi tutti i soggetti coinvolti, che valgono a fornire una giustificazione sociale della pratica e a perpetuarla nel tempo.

Vediamoli con ordine. Prima di tutto, centro nevralgico di questi cambiamenti sono le grandi metropoli indiane, dove la struttura sociale sta progressivamente perdendo la sua tradizionale rigidità basata sull’appartenenza castale, rendendo il tessuto sociale fluido. Tutto questo processo trova nel matrimonio un’occasione ideale per innestare un’induzione al riposizionamento sociale, che non sortendo ancora effetti reali sull’appartenenza di casta, produce però riallineamenti che il più delle volte si rivelano illusori, ma che hanno evidenti contraccolpi sull’individuo e sulla percezione di sé.

Per i genitori dello sposo, la dote rappresenta un’occasione per capitalizzare gli investimenti sostenuti per la formazione del figlio. Molte famiglie, infatti, hanno seguito alla lettera l’equazione: istruzione uguale lavoro, investendo i propri capitali negli studi superiori ed universitari del proprio erede maschio. Il fine è quello di permettergli di accedere a professioni ben remunerate, ma in questa logica rientrano anche calcoli legati alla dote. Un determinato grado di formazione o una certa occupazione rivelano le entrate correnti o potenziali che, insieme all’asset rappresentato dai legami e dalle relazioni famigliari, forniscono al giovane un certo valore sul mercato matrimoniale, dandogli diritto alla richiesta di una dote che è qualcosa di più simile al prezzo dello sposo. A pesare sull’intero meccanismo è anche la mancanza di un sistema di welfare nell’India contemporanea e il persistere di logiche di famiglia allargata, che fanno si che il matrimonio imponga alla sposa di trasferirsi nella famiglia del marito, dove insieme alle altre donne è destinata a prendersi cura della famiglia dello sposo.

L’avvento della modernità, le migrazioni internazionali e il diffondersi di pratiche di famiglia nucleare (spesso mosse dal diniego della donna a vivere nella casa dei suoceri e incoraggiate dal governo), stanno lentamente modificando queste abitudini e rappresentano per la famiglia dello sposo un motivo in più per rendere necessario assicurarsi una dote cospicua, nell’eventualità in cui non ricevessero assistenza nella vecchiaia. Se si analizzano i fatti dal punto di vista della famiglia della sposa, una serie di motivazioni non solo economiche ma anche sociali entrano in campo. Per ogni padre indiano, infatti, il matrimonio di una figlia femmina rappresenta una fonte di grandi speranze ma allo stesso tempo di preoccupazioni. La ricerca del partito giusto comincia presto, giacché la ragazza va maritata prima che l’età venga a rappresentare un ostacolo.

A stabilire il valore della giovane sul mercato matrimoniale sono una serie di variabili di carattere generale quali l’età, la formazione ed educazione ricevute e l’aspetto fisico. Per il padre non si tratta solo di trovare il partito giusto per la figlia, ma anche di riuscire, attraverso il matrimonio, a inserirsi in una rete di alleanze che siano in linea con la jati di appartenenza e che possibilmente possano prefigurare nel lungo periodo vantaggi economici o benefici in termini di business. Anche in questo caso si prefigurano delle ricadute della dote sui membri della famiglia allargata nel momento in cui a trarne vantaggio siano i fratelli della sposa stessa che, in virtù del circolo vizioso messo in atto dalla dote, avranno a loro volta diritto a una moglie con una dote sostanziosa, oltre a potersi trovare a beneficiare dei legami e contatti nati in seguito al matrimonio della sorella. In questo senso, la dote assume la forma di una pratica compensatoria per chi ha più figli.

A trarne vantaggio saranno naturalmente coloro i quali, oltre ad aver sostenuto il peso della dote di una figlia, si rivarranno sul matrimonio del figlio maschio e viceversa.