Riproponiamo qui un’eccellente inchiesta firmata da Roberto Ciccarelli per il manifesto. Il Ministero dei beni culturali ha intenzione di spostare il museo nazionale di arte orientale Giuseppe Tucci dalla sua sede storica nel cuore del quartiere multietnico dell’Esquilino, a Roma. Finirà all’Eur, in un’ala dell’Archivio centrale di Stato. Struttura inadatta individuata per contenere i costi. Ma a guardar bene, le spese potrebbero toccare i 15 milioni di euro.
Inchiesta. L’incredibile storia del museo nazionale di arte orientale in via Merulana a Roma. Per la spending review il Ministero dei beni culturali lo trasferirà all’Archivio centrale di Stato all’Eur dove pagherà un affitto triplo rispetto a quello attuale. E i soldi andranno all’Ente Eur, una società pubblica partecipata dallo Stato. Il museo fondato nel 1957 verrà sradicato dal quartiere più multietnico di Roma dove ha trovato una straordinaria integrazione e rischia di scomparire in un risiko di affitti con molti misteri immobiliari.
Per risparmiare un affitto da 761.333 euro annui il museo nazionale di arte orientale Giuseppe Tucci (Mnao) in via Merulana a Roma verrà trasferito in un’ala dell’Archivio centrale dello Stato all’Eur dove pagherà un canone da 2 milioni e 200mila euro. I reperti, e le opere d’arte, oggi ospitati nei 4.580 mq al piano nobile del principesco palazzo Brancaccio, dovranno rientrare nei 3700 mq in un’ala del palazzo delle forze armate, oggi sede dell’Archivio centrale.
Non solo. Il museo dovrà condividere gli oltre tremila metri quadri con la direzione generale degli archivi di Stato, oggi in affitto in via Gaeta a Roma. Gli attuali quattromila e più metri quadri verranno così dimezzati all’Eur. E una parte delle opere oggi esposte a rotazione nel museo di via Merulana rischiano di restare nei depositi, inscatolate, lontane dal pubblico. All’Eur c’è il Museo nazionale di arti e tradizioni popolari e quello preistorico-etnografico Pigorini. Il ministro dei beni culturali Dario Franceschini prevede per quest’area un futuro da polo museale. Un sogno vecchio trent’anni che si è scontrato con la realtà di un quartiere lontano e inaccessibile. I romani lo hanno ribattezzato il «cimitero dei musei».
Molte sono le voci su questo progetto, ma ancora poche sono le conferme ufficiali. Esiste però una commissione che sta stilando i preventivi sui costi del trasferimento. E il prossimo 12 novembre il piano generale dovrebbe essere finalmente comunicato ai sindacati.
Desolante spending review
Per comporre un quadro tanto ambizioso sarà necessario giustificare un’operazione che non può essere spiegata con il senso comune o con la semplice razionalità economica. Il Ministero dei beni culturali (Mibact) dovrà versare per il museo Tucci un affitto triplicato per metà dello spazio attuale. In più, il museo perderà la qualifica di Soprintendenza e di museo nazionale, cioè l’autonomia gestionale e scientifica, e passerà sotto la giurisdizione del polo regionale regionale secondo le linee stabilite dalla riforma del ministro Dario Franceschini. Il ridimensionamento avverrà a danno della conoscenza delle culture islamiche, orientali e iraniche.
Secondo voci interne al Mibact, l’ala dell’Archivio di Stato all’Eur destinata ad ospitare la metà del Mnao e gli uffici dell’Archivio centrale ha bisogno di un’imponente opera di ristrutturazione che costerà tra 5 e 10 milioni di euro. Ci sono poi i costi di riallestimento: in base a preventivi realizzati da ditte specializzate sono pari a circa 1 milione di euro. Poi ci sono i costi di trasporto e imballaggio delle opere, calcolati tra 1 milione e 400 mila e 1 milione e 800 mila euro. Lo Stato spenderà così una cifra tra i 11,822 e i 15,830 miioni di euro. Resta da calcolare l’ammontare dell’affitto di palazzo Brancaccio in attesa dell’adeguamento dei locali all’Eur. Per tre anni di attesa il Mibact spenderà 2 milioni e 283 mila euro. Dunque, per risparmiare 761 mila euro all’anno, lo Stato potrebbe arrivare a spendere fino a 20 milioni di euro nei prossimi quattro anni. La spending review genererà nuovi costi passivi e aggiuntivi. Un affarone.
La passione per il mattone
L’assurdo sembra avere una logica. Il Mibact verserà i 2.200 milioni di euro all’Ente Eur posseduto al 90 per cento dal ministero dell’Economia e al 10 per cento dal sindaco Ignazio Marino con Roma Capitale. Quella che si sta prospettando non è tanto una partita di giro dove lo Stato (Franceschini) paga un affitto allo Stato (cioè al ministro dell’Economia Padoan), quanto un uso di questi fondi per altre operazioni immobiliari. Tra l’archivio di stato e il museo c’è più di qualcuno che pensa che una simile manovra sia la conseguenza di un atto della Corte dei Conti nel 2013.
La magistratura contabile ha imposto al Mibact di tagliare di 2,5 milioni l’affitto da 7,5 milioni di euro versati all’Ente Eur per i locali dell’Archivio di Stato. Qualcun altro ritiene che un ruolo in questa vicenda lo abbia anche la Nuvola, il nuovo centro congressi progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas su un terreno di proprietà dell’Ente Eur. Su questo eterno cantiere, che il sindaco Marino vorrebbe inaugurare il prossimo primo maggio in occasione dell’inizio dell’Expo a Milano, la Corte dei Conti ha aperto un’indagine per danno erariale: in sette anni i costi per costruire un centro congressi più grande della Basilica di San Pietro sono aumentati di 55 milioni di euro. E ancora oggi nulla si sa sui tempi di consegna.
Questi e altri misteri finanziari avrebbe voluto risolvere il cavaliere solitario della spending review, Carlo Cottarelli. Senza riuscirci. In compenso ha lasciato una testimonianza significativa, scritta sul suo blog: «Ci chiediamo perché il Tesoro debba possedere ancora il 90 per cento di Eur Spa, immobiliare che ha raccolto l’eredità dell’ente che doveva organizzare l’Esposizione universale del 1942 a Roma. Che ovviamente non si tenne mai, causa seconda guerra mondiale. Proprio qui sta il punto: le Regioni e gli enti locali hanno usato le società partecipate spesso per aggirare le norme statali, come il blocco delle assunzioni, alimentare il consenso o pagare dazi politici».
Lo scrigno
Tra progetti monumentali e misteri immobiliari, il futuro del museo di arti orientali sembra essere segnato. Invece di potenziare uno spazio cresciuto grazie a imponenti donazioni di archeologi, esploratori, ambasciatori e alla passione del fondatore Giuseppe Tucci si prepara una lenta sparizione programmata. Nato nel 1957, il Mnao verrà smarrito nei paradossi della spending review.
Da tre mesi i funzionari del museo, i sindacati e le scuole dell’Esquilino, il quartiere umbertino che negli ultimi vent’anni è diventato multietnico, non si danno pace. Hanno lanciato una petizione su change.org, organizzato manifestazioni con le scuole che ospitano i bambini delle comunità cinesi, pakistane, bengalesi, raccolto quasi duemila firme per fermare un treno che corre verso il precipizio.
Anche il comitato di quartiere della vicina Piazza Dante si è mobilitato. «Il trasferimento è osteggiato dal personale non perché l’Eur sia lontano dalle nostre abitazioni – si legge in un appello — ma perché significa sradicare il museo dal suo quartiere di elezione, dal suo naturale bacino d’utenza. Sarebbe come trasferire la Soprintendenza all’Etruria in Puglia».
Nella prima fila di questa battaglia c’è una donna appassionata. Si chiama Donatella Mazzeo. Dal 1980 al 2005 ha diretto il museo. Oggi è in pensione, ma è ancora legata a questi spazi. Scrive, si batte, partecipa alle manifestazioni di sostegno, ricostruisce la storia di un bassorilievo o di una thangka tibetana, di una donazione oppure di un acquisto con una passione originale. «L’ho visto crescere poco a poco, prima da funzionaria nel 1965 poi come direttrice – racconta – Lo spazio si è trasformato dopo i lavori di messa a norma tra il 1991 e il 1994. Questo palazzo è uno scrigno che ci ha regalato molte sorprese».
I lavori sono costati al ministero cifre considerevoli e hanno prodotto un valore che andrà perduto una volta trasferito il museo all’Eur. In quell’occasione vennero eliminati falsi soffitti e pareti, costruiti in molti palazzi storici romani secondo una moda discutibile. E sono apparse le decorazioni e gli affreschi commissionati al pittore accademico Francesco Gai dal principe Salvatore Brancaccio e da sua moglie Elisabeth Bradhurst Field, discendente di una ricchissima famiglia americana di industriali dell’acciaio che finanziò la costruzione dell’immenso palazzo.
Oggi il museo è un miracolo di equilibrio: tra l’intimità dei vecchi appartamenti principeschi e le sale del Gandhara, del Tibet e del Nepal, della Cina o del mondo iranico o islamico. I legami tra il museo e le stanze realizzate secondo lo stile eclettico di fine Ottocento, tra liberty e un barocco variegato, è ormai saldato. Cinquant’anni di lavori li hanno resi inscindibili. «Spero che il museo resti qui – continua Mazzeo – pensi a quanto sia utile per le scuole che hanno i bambini i cui genitori sono nati in questi paesi ma che non avranno facilmente l’occasione di tornarci a causa anche delle guerre. Qui invece possono comprendere le origini delle loro culture».
L’agnello sacrificale
Il museo Tucci non rientra nei canoni della produttività. È dissonante rispetto alle intenzioni di creare spazi colossali che attraggono turisti, biglietti a volontà, mostre eclatanti che fanno notizia e diventano di moda. Il Mnao è un museo specialistico, che ha maturato una vocazione sociale man mano che l’Esquilino è stato trasformato dalle migrazioni.
C’è una forte sintonia tra il fuori e il dentro che ha permesso di scoprire anche una missione storica: salvare la memoria di interi popoli dalle guerre dove opere d’arte e religiose vengono bombardate. Lo aveva compreso prima di morire nel marzo scorso Francesca Bonardi, la vedova di Giuseppe Tucci, che ha donato una raccolta di oltre 2 mila pezzi raccolti in anni di viaggi ed esplorazioni. Un valore superiore ai 5 milioni di euro. Ad una condizione: che il museo restasse aperto nel suo quartiere di adozione.
L’ansia di conservare il ricordo di civiltà che stanno scomparendo, insieme al rispetto verso le comunità che crescono a Roma, oggi rischiano di essere tradite. «Al ministero devono sacrificare qualche struttura per far vedere al governo che stanno applicando la spending review – sostengono i lavoratori del museo – Quello che stanno facendo è assurdo, non ha né capo né coda. Il museo è diventato un agnello sacrificale».
Si gioca al risiko degli affitti
Nel risiko degli affitti che gli archivi di Stato pagano per le loro sedi, il ministero dei Beni culturali (Mibact) sta cercando di risparmiare su quello della direzione generale degli archivi. Questi uffici sono ospitati in un palazzo in via Gaeta a Roma dove il ministero versa un canone di 500mila euro all’anno. Qualche mese fa il Mibact ha cercato di trasferirli al terzo piano della biblioteca nazionale nella vicina via Castro Pretorio.
Lo abbiamo raccontato nell’inchiesta «Manuale per uccidere una biblioteca» (Il Manifesto 4 giugno). La protesta dei lavoratori e dei sindacati della Nazionale ha bloccato un trasferimento che avrebbe prodotto conseguenze devastanti nel lavoro quotidiano della biblioteca, già sofferente per l’esiguità del personale e dei fondi a disposizione.
Il ministero ha prospettato un’altra soluzione: trasferire la direzione degli archivi nel ferro di cavallo della sede centrale dell’archivio di stato nel quartiere dell’Eur. L’affitto verrebbe versato all’Ente Eur spa e andrà ad aggiungersi a quelli ben più cospicui pagati per il museo Pigorini (3.600 milioni), quello per le arti e le tradizioni popolari (1.890 milioni), per l’alto medioevo (370 mila euro), senza contare quello preventivato da 2.200 milioni per il museo nazionale di arte orientale (Mnao), per il museo della civiltà romana, il palazzo dei congressi e il Palalottomatica. L’ala di piazzale degli archivi che dovrebbe ospitare gli uffici, insieme al Mnao, è attualmente occupata da 50 chilometri di materiale archivistico.
Una ricognizione del complesso monumentale che avrebbe dovuto ospitare la «mostra dell’autarchia» nell’Esposizione universale del 1942 non è in grado di ospitare il museo e gli uffici. Nella descrizione che ne ha fatto il sovrintendente Agostino Attanasio, in un lungo e articolato documento pubblicato anche sul sito dell’Archivio centrale di Stato, emerge un’immagine inquietante: fuori l’archivio si mostra in tutta la maestosità dell’architettura fascista, dentro la situazione è molto diversa.
L’ala è collegata all’edificio centrale dove si trova la sala studio per i ricercatori, gli uffici e gli spazi pubblici, solo da un passaggio sotterraneo. Il piano terra ha un’altezza di sette metri e ci sono scaffalature su tre livelli a cui si accede da due ballatoi. Secondo il soprintendente questa soluzione impedisce di muovere con i carrelli i materiali all’interno dell’archivio. Il primo piano ha un’altezza di oltre sei metri, ma solai di scarsa portata. Per questo non sopporta scaffalature di oltre 2,5 metri d’altezza. Questo rende inutilizzabili i due terzi dei 4mila metri quadri disponibili. A queste difficoltà logistiche e strutturali si aggiungono quelle climatiche.
L’umidità, le infiltrazioni d’acqua, le finestre panoramiche che lasciano passare il freddo d’inverno e il caldo d’estate, rendendo impossibile la creazione di un archivio a norma e di un museo. Strutture che hanno bisogno evidentemente di un ambiente climatizzato e funzionale, sia per gli studiosi che per i cittadini o il pubblico. Il problema è noto da anni a tutti, al punto da avere costretto l’Archivio – che da anni affronta ingenti spese di manutenzione di questo colosso – a installare pompe d’areazione che consumano enormi quantità di energia elettrica. Il Mibact intende trasferire il museo di arte orientale e la direzione generale per gli archivi al primo piano, e in una parte del piano terra.
L’intera area andrebbe prima ristrutturata e messa a norma con una spesa tra i 5 e i 10 milioni di euro. Il ministero dispone di simili cifre? Senza contare che dovrà continuare a versare l’affitto da 4 milioni e mezzo all’Ente Eur, risultato di un taglio di 2,5 milioni richiesto dalla Corte dei Conti nel 2013. Fino ad allora l’Archivio aveva versato circa 7 milioni all’anno, senza ottenere in cambio gli interventi di messa a norma da parte dell’ente proprietario.
La cifra resta imponente per una struttura che non è interamente dedicata alle esigenze dell’archivio, visto che ospita gli uffici dell’agenzia per la mobilità del comune di Roma in un’altra ala. Questa situazione precaria ha spinto l’Archivio a depositare una quantità di carte pari alla consistenza degli archivi collocati negli spazi inadeguati dell’ala laterale in un magazzino a Pomezia, vicino Roma. La spesa è di 150mila euro all’anno. Una scelta difesa dal Soprintendente Attanasio perché a Pomezia le carte sono al sicuro, cosa che non avviene nel loro sito naturale: l’archivio centrale.
Al momento si tratta di materiale di scarsa consultazione. In seguito, le richieste dei documenti potrebbero essere gestite online e poi con un servizio navetta, anche in previsione di un aumento del materiale. Per molti questa scelta non è affatto convincente, e infatti non mancano polemiche e proposte alternative. La prima è la demanializzazione dell’archivio che permetterebbe di dirottare il costo degli affitti sulla ristrutturazione mai realizzata e per l’assunzione del personale fermo agli anni Ottanta e in gran parte in età pensionabile. La seconda sarebbe quella di acquisire una delle aree militari in dismissione dove organizzare un sistema di deposito a costi ben più contenuti. Su queste ipotesi il ministero, per il momento, tace.
[Pubblicato su il manifesto; foto credit: panoramio.com]
*Roberto Ciccarelli (@furiacervelli), giornalista, filosofo, blogger ha scritto Diritto e beatitudine in Baruch Spinoza, (Carocci) e Immanenza per il Mulino, La furia dei cervelli (manifestolibri, con Giuseppe Allegri) o 2035. Fuga dal precariato (Il Saggiatore, 2011), Il Quinto Stato per Ponte alle Grazie 2013, con Giuseppe Allegri.