A Ulan Bator lo smog è questione di classe

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

La peculiarità della capitale mongola è un inquinamento dell’aria selettivo e in nessun altro luogo come qui è una chiara metafora della diseguaglianza sociale. Chi è avvolto nella «nuvola» vive nei quartieri di ger a nord della città. Andare via dall’inquinata Pechino per cercare i cieli azzurri della Mongolia significa trovarsi a Ulan Bator e respirare tra gli 800 e i 1200 microgrammi di particelle pm10 e pm2,5 per metro cubo, cioè il doppio rispetto alle peggiori giornate pechinesi e venti volte sopra i limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità. Se si vive nella capitale cinese e quindi si ha una certa consuetudine a respirare carbone bruciato, è possibile perfino cogliere sfumature interessanti, un po’ come gli eschimesi che chiamano i fiocchi di neve con dieci nomi diversi.

Se la nube di smog di Pechino è una bolla che ti avvolge e ti fa perdere i punti di riferimento (di recente l’ho sperimentato durante un atterraggio in cui abbiamo galleggiato in un nulla opaco per venti minuti prima di toccare terra), quella di Ulan Bator è una cappa molto ben disegnata. La si può vedere nei mesi freddi salendo sul picco di Tsetsee Gun, che domina la città da sud e da dove si può contemplare una lunga striscia viola-nerastra che sovrasta per qualche centinaio di metri i quartieri settentrionali della capitale, dove si addensano le ger, le iurte dei nomadi che si sono stabiliti di recente in città. A Chingeltei, dove vivono circa 800mila persone, ne sono completamente avvolti, mentre a Zaisan, il quartiere dei ricchi dall’altra parte della valle, il cielo è azzurro limpido.

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