Nel mese del capodanno cinese l’export della Cina è crollato del 25%. Anche scontando gli effetti delle festività il dato è l’ennesima cartina tornasole della frenata cinese. Un rallentamento che rischia di contagiare i Paesi vicini e spingersi sino all’America Latina. Crollano a febbraio le esportazioni cinesi. La flessione è la peggiore dal maggio di sette anni fa: -25,4% (-20,6% sulle cifre riferite in yuan), quasi il doppio rispetto al consenso degli economisti sondati dal Wall Street Journal che stimavano un -15%. Sul mese di febbraio pesa la concomitanza del Capodanno lunare, che ha influito su tutte le attività.
Ma l’ulteriore dato che segnala il rallentamento dell’economia cinese (si tratta dell’ottavo mese consecutivo con il segno meno) va letto assieme al -17,8% fatto registrare dalle esportazioni nei primi due mesi dell’anno, un periodo di tempo sufficiente a smaltire gli effetti delle festività. Non va meglio alle importazioni, in calo del 13,8% (-8% denominate in valuta cinese). Infine il surplus commerciale di Pechino è calato a 32,59 miliardi di dollari, ben al di sotto dei 51 miliardi previsti dal consenso.
Numeri che remano contro i tentativi del governo di rassicurare gli investitori e i mercati azionari. Ci aveva provato il ministro per il Commercio, Gao Hucheng, una settimana fa, parlando di stabilizzazione degli scambi nel 2016. Ha rincarato la dose sabato scorso il premier Li Keqiang nel discorso di apertura dell’Assemblea nazionale del popolo, che ha fissato il target di crescita per quest’anno tra il 6,5 e il 7%, ossia al ritmo più basso da un quarto di secolo. Martedì i listini cinesi hanno retto alla diffusione del dato, con una chiusura piatta su cui hanno pesato maggiormente i timori sui titoli immobiliari mentre si rincorrono le voci di di una nuova possibile bolla. La pubblicazione delle statistiche sull’export cinese si accompagna però ai timori del numero due del Fondo monetario internazionale, David Lipton, sulle prospettive di crescita globali.
Ancora più nel dettaglio entra un’analisi di Euler Hermes sulle possibili ripercussioni della fiacca crescita del Dragone. La «febbre cinese», scrive la società di assicurazione crediti del gruppo Allianz , si sta già diffondendo in alcuni Paesi vicini, per via degli effetti diretti sulla catena di distribuzione della manifattura cinese. Oltre a Hong Kong, Singapore e Taiwan, il virus rischia di espandersi fino all’America Latina.
In Brasile prima di tutto. La Repubblica popolare assorbe il 20% delle esportazioni brasiliane e da oltre Muraglia parte il 17% delle sue importazioni. «Il Brasile è nel mezzo di una recessione che continuerà nel 2016. Gli attuali problemi politici interni sono stati esacerbati dalla situazione economica globale e dal rallentamento della Cina», spiega Ludovic Subran, capo economista della società tedesca, «questo è chiaro guardando al trend dei casi di bancarotta. Nel 2015 sono cresciuti del 25%, come successo anche in Cina, e anche nel 2016 il tasso di fallimenti in Cina (+20%) e in Brasile (+18%) dovrebbe essere molto simile». Della frenata cinese, aggiunge, risentiranno anche Argentina, Ecuador, Venezuela e «in qualche misura» il Cile.
[Scritto per MF-Milano Finanza]