Le cifre esatte non sono ancora disponibili e probabilmente non lo saranno per qualche settimana. Economisti ed esperti però non hanno dubbi: i costi che il Giappone sarà chiamato a pagare per il disastro che lo ha colpito saranno i più alti fra quelli causati dai disastri naturali nella storia recente. Le prime analisti condotte dalla Banca mondiale parlano di danni per 19mila miliardi di yen, pari a 235 miliardi di dollari, il 4 per cento circa dell’intero Pil nipponico.
Per fare alcuni paragoni, la distruzione prodotta dalle devastanti inondazioni che hanno investito il Pakistan la scorsa estate è stata stimata in 43 miliardi di dollari; per le alluvioni australiane si parla di 5 miliardi e mezzo; il terremoto cha ha scosso Haiti ha avuto un impatto valutato in 8 miliardi, mentre quello recente in Nuova Zelanda di 1,5. Per rimanere sul suolo giapponese, il terribile terremoto di Kobe del 1995 costò all’arcipelago 100 miliardi di dollari, meno della metà della cifra prevista per questa catastrofe. Quello che il Sol Levante ha subito è un colpo micidiale, per assorbire il quale tutto il Paese, che non ha ancora finito di contare le sue vittime, sarà costretto a sacrifici enormi.
Fabbriche distrutte, capannoni divelti fino alle fondamenta, catene di montaggio compromesse in modo irreparabile.
Le immagini del dopo sisma trasmesse dai media nipponici mostrano una devastazione che ha spezzato le gambe in più punti alla produzione industriale. I settori automobilistico ed elettronico, principali motori dell’economia del Sol Levante, sono i più colpiti. Ai danni diretti si aggiungono inoltre quelli causati alle infrastrutture di trasporto (autostrade, ponti, ferrovie) ed energetiche (diverse aree del nord est sono senza corrente) che limiteranno per alcuni mesi la produzione delle merci e la loro esportazione verso i Paesi vicini. Secondo la Banca mondiale l’impatto negativo sulla crescita perdurerà almeno fino alla metà di quest’anno, superato il quale l’economia dovrebbe cominciare a riprendersi, trainata dagli sforzi per la ricostruzione.
Le previsioni più ottimistiche parlano addirittura di un rimbalzo positivo del Pil, alla cui temporanea contrazione potrebbe seguire una crescita del 3 per cento circa nel 2012. Da un punto di vista finanziario, per sostenere la ripresa il governo di Tokyo potrebbe essere costretto a ridurre gli acquisti di titoli di Stato Usa, di cui al momento è il secondo detentore mondiale dopo la Cina, favorendo al tempo stesso un rimpatrio di capitale dall’estero. La Banca centrale giapponese, intanto, ha immesso sul mercato 39mila miliardi di yen, rallentando la sua corsa sul dollaro per favorire le esportazioni e contenere i prezzi.
Da un punto di vista generale, il rallentamento del Giappone dovrebbe avere modeste ripercussioni sul resto dell’Estremo Oriente.
Nella sua analisi la Banca mondiale ha ricordato che dopo il terremoto di Kobe il commercio giapponese con l’estero si contrasse solo per pochi trimestri: nel giro di dodici mesi le importazioni recuperarono tutto il terreno perso e le esportazioni rimbalzarono all’85 per cento dei livelli precedenti. Dopo la consistente diminuzione subita nel 2009, durante l’anno passato l’export nipponico ha ripreso slancio, raggiungendo il valore di 650 miliardi di dollari. Ora gli analisti si aspettano una nuova frenata, a beneficiare della quale saranno gli altri Paesi asiatici, Corea del Sud in testa, che potranno riempire i buchi lasciati dal rivale nipponico nelle esportazioni verso Cina e Stati Uniti.
I Paesi produttori di energia come Indonesia, Malesia e Vietnam, potrebbero invece beneficiare, almeno nel breve periodo, dei prezzi più alti causati dalla perdita di capacità nucleare del Giappone e dal ripensamento dei piani di espansione della produzione di energia dall’atomo di altri Stati, come l’India e la Cina. Il Sol Levante, inoltre, ha ridotto l’offerta di benzina e petrolio e anche se il governo ha autorizzato la produzione di greggio da riserve private, molte strutture di raffinazione sono stati danneggiate.
A causa di questi tagli e della scarsa disponibilità di materie prime, l’aumento del prezzo dell’oro nero è praticamente scontato, a vantaggio dei Paesi produttori. In Europa, invece, la crisi giapponese avrà ripercussioni su diverse aziende quotate, a cominciare da quelle di ri-assicurazione. In base alle stime della Air Worldwide, il settore potrebbe dover affrontare costi pari a 35 miliardi di dollari legati al sisma. Anche per i titoli di lusso potrebbero esserci problemi, dato che il timore del calo della domanda da parte del Giappone (che assorbe oggi l’11 per cento delle vendite globali) inciderà negativamente sulla loro profittabilità.
Si preannunciano inoltre tempi difficili per il settore automobilistico, a causa del blocco produttivo forzato dei produttori nipponici. Honda, Toyota e Nissan, ad esempio, hanno già deciso di chiudere temporaneamente i loro stabilimenti.
Già da alcuni giorni il governo e gli organismi finanziari sono al lavoro per predisporre un programma di ricostruzione su larga scala e un piano economico di sostegno. Rispetto al dopo Kobe, l’economia giapponese è decisamente più debole: il rapporto deficit-Pil ruotava allora intorno all’80 per cento, oggi tocca quasi il 200.
Prima del sisma il governo stava affrontando in Parlamento diversi problemi sollevati dal partito di opposizione (il Jiminto, o Partito liberal democratico) in relazione al bilancio. Per fronteggiare l’emergenza i due schieramenti potrebbero decidere di mettere temporaneamente da parte le loro divergenze e approvare un bilancio integrativo di circa 10mila miliardi di yen. Il vero problema sarà trovare i fondi per finanziarlo. L’unica ipotesi avanzata fino a questo momento è stata quella di aumentare l’aliquota sulle imposte. Una proposta che ha sollevato non pochi dubbi, visto che questa soluzione potrebbe rivelarsi pericolosa per la già fragile economia, bloccandone la ripresa.