60 anni: i tanti volti della Cina

In by Simone

Il giorno del grande evento è arrivato. La parata dell’Esercito popolare di Liberazione celebrerà il sessantesimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese (Rpc). Saranno almeno 5000 i soldati che sfileranno lungo Viale Chang’an accompagnati dalle nuove avanzatissime armi tutte made-in China. Un modo per mostrare al mondo la crescente forza del paese e, come sottolinea in una nota il ministro della Difesa, Liang Guanglie, un «risultato straordinario», che simboleggia «l’enorme avanzamento delle capacità tecnologiche del paese». Ci saranno missili balistici intercontinentali, carri armati da battaglia e armi d’assalto, mentre 150 aerei sorvoleranno in formazione il cielo di Pechino.

E proprio per impedire che qualcosa possa disturbare le evoluzioni dei piloti aquiloni e palloncini sono stati messi al bando, mentre i falchi addestrati dalla polizia cinese penseranno a scacciare via gli uccelli. Non sarà tuttavia solo una parata militare. Almeno 200 mila persone sfileranno davanti al presidente Hu Jintao e ai leader del Partito, che assisteranno all’evento dal rostro della Città Proibita, lo stesso dal quale il 1 ottobre del 1949 Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese. A sessant’anni di distanza il mito del Grande Timoniere appare un po’ offuscato. Meno di un mese fa, il 9 settembre, ricorreva l’anniversario della sua morte, un evento passato ufficialmente in sordina, anche se a livello popolare il suo ricordo è ancora molto forte, basti pensare ai santini che molti tassisti di Pechino tengono appesi nelle loro auto.

La Cina maoista vive ancora a Nanjie, un villaggio nella provincia dell’Henan, considerato una delle poche comuni maoiste rimaste nel paese. Una statua del presidente Mao, affiancata dai poster di Lenin e Stalin, domina la piazza del villaggio, che, ironia della sorte, ha ispirato il nome di uno dei locali più alla moda della movida pechinese. Come racconta la BBC i circa 4000 abitanti devono fare i conti con salari bassissimi, ma possono contare sui servizi forniti dalla comune. «Guadagno circa 400 yuan al mese (circa 50 euro) – spiega all’emittente britannica il signor Hu, uno degli abitanti – ma abbiamo un buon sistema di welfare. Ho l’assistenza medica e gas, acqua ed elettricità sono gratis». Un privilegio non da poco in un paese dove il processo di riforma ha visto un rapido ridursi dello stato sociale.

L’economia di Nanjie si basa sulle coltivazioni di mais, ma sono attive anche piccole fabbriche alimentari che producono soprattutto spaghetti, salse e cioccolato, la proprietà delle quali è collettiva. Il villaggio sembra non voler seguire il percorso di riforme intrapreso dal resto del paese dopo il 1978 e non ha abbandonato la forma della comune popolare, che ha fatto la sua comparsa in Cina alla fine degli anni Cinquanta, anche se con esisti economici disastrosi che hanno condotto alla morte milioni di persone. Gli abitanti di Nanjie, nonostante alcune voci critiche, sembrano essere contenti e credere nel progetto.

Così come hanno motivo di gioire gli abitanti di Huaxi, il villaggio più ricco della Cina. La media dei guadagni per famiglia è di 150 mila dollari all’anno, non male in un paese dove il salario medio pro capite è di 2000 dollari. Nel 2008, la più grande industria del villaggio, di proprietà del Huaxi group, ha guadagnato 50 miliardi di yuan (circa 7,5 milairdi di euro). E come Nanjie, questa piccola enclave di 30 mila abitanti, che il Washington post definisce un «esempio emblematico» di come sia cambiata la Cina in questi sessant’anni, è essenzialmente una comune, dove la ricchezza viene suddivisa tra tutti i cittadini. A indicare la spirito che anima Huaxi è l’ottantaduenne Wu Renbao.

«Cos’è il socialismo? Cos’è il capitalismo?- si chiede il vecchio Wu – Noi chiediamo solo ciò che è buono per il popolo. Vogliamo che la gente diventi ricca». L’attesa per il primo ottobre è alta in tutto il paese. Nei cinema spopola The Founding of a Republic l’epico racconto degli anni a cavallo tra il 1945 ed il 1949 quando il Partito comunista affrontò il Partito nazionalista di Chang Kai-shek per il controllo del paese. Mentre in rete gli internauti esprimono tutta la loro creatività per celebrare l’evento. L’anniversario è anche propaganda. Se Amnesty International denuncia un aumento dei provvedimenti di sorveglianza, delle intimidazioni e degli arresti di attivisti per i diritti umani alla vigilia dell’anniversario; il China Media Project dell’Università di Hong Kong spiega le direttive date alla stampa per la copertura dell’evento, che dovrà enfatizzare: il ruolo guida del Pcc, la forza del sistema socialista, l’importanza delle riforme, il patriottismo e l’unità nazionale. Un’ unità che comprende anche il Tibet e lo Xinjiang, regioni che rivendicano un forte sentimento di autonomia, mal digerito da Pechino.

[Pubblicato su Il Riformista del 1 ottobre 2009]

*http://urlodichen.blogspot.com/