La gioventù vorace di Xiaolu Guo

In by Simone

Brevi testi intervallati da fotografie che raccontano la ricerca di fortuna di Fenfang, una ragazza che dal suo villaggio contadino natale va a Pechino per lavorare come attrice nell’industria cinematografica e televisiva. China Files vi regala l’anteprima di 20 frammenti di gioventù vorace (per gentile concessione di Metropoli d’Asia).
Il punto fondamentale del cassetto del Presidente Mao era che tracciava una linea tra me e i lavoratori migranti che abitavano a Pechino solo temporaneamente. Istruirmi mi aveva autorizzata e richiedere la residenza definitiva. Adesso ero una persona con molteplici capacità, e si presumeva che avrei dedicato ognuna di esse a costruire la reputazione sempre più gloriosa della mia nuova casa.

Tuttavia è arrivato un giorno in cui ho perso tutta la fiducia nella mia città adottiva – un giorno in cui mi sono resa conto che, per quanto potessi essere utile, quella maledetta città poteva sempre rifiutarmi. Le vicende di quel giorno mi hanno fatto venir voglia di scappare di nuovo.

Ben stava per venire a vedere per la prima volta sul serio il mio appartamento. Nei mesi in cui eravamo stati insieme era venuto solo una volta e si era fermato al cancello del Giardino della Rosa Cinese con il giglio in mano. Preferivamo passare il tempo a casa sua. Mi piaceva svegliarmi nel suo letto, versare lo sciroppo d’acero sui suoi pancake speciali, che erano come soffici tovaglioli bianchi, e sentirlo parlare inglese con Patton, il suo coinquilino che cercava di sfondare come sceneggiatore di Hollywood.

A volte Ben stava semplicemente seduto ad ascoltare il suo cd dei Red Hot Chili Peppers mentre leggeva il Boston Globe. Lì era tutto più pacato. Perfino la lavatrice era più silenziosa. Inoltre, Xiaolin non sapeva dove abitasse Ben, sicché non poteva darci noia. Comunque, prima che Ben venisse nel mio appartamento, ho pensato che avrei dovuto avvertirlo riguardo al pollame avvizzito. Non avrebbe potuto capire come mai ci fossero sempre così tanti anziani seduti per terra che non facevano niente tutto il giorno.

«Quando attraversi il cancello», ho detto, «non guardare nessuno che indossi una banda rossa sulla manica, neanche se ti fissano. Non salutare. Fai finta di essere cieco e sordo. Devi salire le scale fino al dodicesimo piano. Non puoi prendere l’ascensore con me perché la vecchia gallinaccia addetta all’ascensore prende informazioni su tutti gli abitanti del palazzo». Ben non capiva, ma d’altronde come avrebbe potuto? Non è che un giovane americano bianco possa sapere come ci si comporta in un condominio collettivo cinese.

Ho cercato di spiegare. «Se ti vedono con me, penseranno che sono una prostituta. Credono che in Cina ci siano solo due tipi di giovani donne: le brave ragazze o le prostitute. Perciò non discutere e fai le scale a piedi». Sono entrata nell’ascensore. La vecchia gallinaccia mi ha sorriso con fare cospiratorio. L’ho sempre trovata particolarmente odiosa. Detestavo quel suo modo astuto di cercare di scoprire a che ora fossi tornata la notte prima. Non ho mai capito perché quell’ascensore schifoso necessitasse di un addetto 24 ore su 24, tre ciccione che facevano i turni. Un altro lavoro altamente qualificato con un diploma.

«A casa presto, oggi?» La vecchia gallinaccia ha lanciato una sospettosa occhiata di sbieco al mio sacchetto di plastica. Non riuscivo a tollerare l’idea di risponderle. Volevo solo che quel pietoso ascensore salisse in fretta. Lei continuava a fissare la mia minigonna e le gambe nude, come se avessi avuto un drago in agguato ai miei piedi. Quando finalmente sono uscita dall’ascensore, ho aspettato Ben in cima alle scale. Era senza fiato e di cattivo umore. «Stai cercando di farmi venire un infarto?» Mi sono posata un dito sulle labbra – potevo sentire occhi e orecchie avvizziti che ci circondavano.

Probabilmente Ben si chiedeva come mai la coraggiosa Fenfang che conosceva si fosse trasformata di punto in bianco in una codarda. Ho aperto la porta del mio appartamento e ho spinto dentro il mio povero straniero. Una volta entrata mi sono sentita più al sicuro. Gli esseri umani hanno bisogno di gabbie intorno al corpo – uteri, case, bare. Ben ispezionava le mie quattro pareti. Ha intravisto la pila di cd, dvd e videocassette sul mio tappeto sporco e ha iniziato a frugarci dentro esaltato.

«Santo Dio, non sapevo che possedessi una simile collezione di film! Restiamo qui tutto il giorno. Rilassiamoci. Non ci posso credere! Hai dei film che non sono ancora usciti in America. E questo qui – Betty Blue – è uno dei miei preferiti. Ehi, dobbiamo guardarlo per primo!» Ho annuito. Non l’avevo ancora visto. «Ma… qui c’è un bagno?» Ben si guardava intorno con apprensione, come se si trovasse in una tenda in Mongolia. Gli ho indicato la porta del bagno. È entrato, lasciando la porta socchiusa. John Lennon cantava “Lucy in the Sky with Diamonds” quando ho sentito un gran colpo alla porta.

Non era qualcuno che bussava. Sembrava più che altro il tentativo di sfondarla. Mi sono bloccata. Ero consapevole che Ben si trovava ancora nel mio bagno, ma quello era un rumore fascista – un suono che comunicava forza e autorità – e sapevo che avrei dovuto rispondere. Ho cercato di non farmi prendere dal panico. Che fosse la polizia? Non avevo fatto niente di male. Stavo solo ascoltando “Lucy in the Sky with Diamonds”. Quando ho aperto, tremavo: due facce squadrate appartenenti a due ufficiali di polizia.

Sono entrati con i loro scarponi d’ordinanza sotto le uniformi d’ordinanza. Hanno ispezionato tutto l’appartamento: la cucina, le tende, il letto Simmons senza nessuno dentro, il balconcino con qualche pianta morta. La porta del bagno era sempre socchiusa e non l’hanno aperta. Mi sono sentita sul punto di avere un ictus.

«È tuo l’appartamento?»
«Sì, l’ho preso in affitto».
«E chi ti permette di affittarlo?»
«Perché?»
«Questo edificio appartiene al governo. Non sai che è illegale affittarlo?»

C’è stata una pausa. No, non lo sapevo. Poi hanno continuato, metodici.

«Abiti qui da sola?»
«».
«Davvero? Solo tu? I tuoi vicini sembrano pensarla diversamente».
«Be’, ogni tanto vengono a trovarmi degli amici».
«Amici, eh? Che tipo di amici?»
Non ho risposto.
«Non sei sposata. Di conseguenza dovresti tenere il contegno di una donna nubile. I tuoi vicini hanno opinioni ben precise sul tuo comportamento».
Io restavo tranquilla.
«Che lavoro fai? Dove sono i tuoi documenti?»
«Faccio la comparsa – nei film».
Ho dato un’occhiata al mio cassetto di Mao.
«Nei film, eh? Fammi vedere la tua carta d’identità».

Mi sono precipitata verso Mao per trovare il documento. John Lennon era passato a cantare “Strawberry Fields forever”. Sono tornata di corsa dai poliziotti – non potevo lasciarli guardare nel bagno. L’agente ha esaminato con attenzione la mia carta d’identità. Non ho mai comprato un certificato fasullo di nessun tipo, anche se puoi ottenerli facilmente comprandoli da loschi individui sotto i ponti o agli angoli delle vie. Puoi comprarti un master di Oxford se te ne serve uno, un mba di Harvard, perfino un documento che attesta la tua invalidità. Ma io non l’ho mai fatto, tutti i miei documenti erano veri. Poi uno dei due poliziotti ha detto: «Adesso farai un viaggetto con noi».

*Xiaolu Guo è nata in un villaggio della Cina meridionale nel 1973. È autrice di romanzi, poesie e saggi, in cinese e inglese, che sono stati tradotti in diverse lingue. Il suo libro più famoso, Piccolo dizionario cinese-inglese per innamorati, ispirato a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, è stato pubblicato in Italia nel 2007 (Rizzoli). Come regista e sceneggiatrice ha realizzato vari documentari e film, tra cui Once Upon a Time Proletarian, presentato al festival di Venezia, e She, a Chinese, vincitore del Pardo d’Oro al festival di Locarno nel 2009. Dal 2002 vive a Londra. Metropoli d’Asia ha recentemente pubblicato La Cina sono io. L‘intervista e la recensione di China Files.