2012. Un anno difficile per gli attivisti e per il Governo

In by Simone

Proseguono i tempi duri per i dissidenti cinesi. Dopo le condanne natalizie inflitte a due veterani della dissidenza del Celeste Impero, Yu Jie è fuggito in America e ieri è toccato a Hu Jia ricevere la visita della polizia a casa. Sequestro del computer, minacce, tutto davanti alla figlia di 4 anni.
Lo scrittore cristiano e dissidente Yu Jieè fuggito negli Stati Uniti con la sua famiglia a causa dei crescenti timori per la sua sicurezza dopo che le autorità lo avevano messo in guardia circa le sue critiche alla dirigenza comunista”.

Yu, che aveva accusato il premier Wen Jiabao di ipocrisia, ha detto via e-mail al South China Morning Post, “che non poteva più tollerare la crescente pressione di Pechino”.

Yu Jie, scrittore, cristiano, dissidente, è l’autore del libro – pubblicato ad Hong Kong e vietato in Cina – in cui descriveva Wen Jiabao come un “grande attore”.

A causa delle ripetute minacce da parte delle autorità è volato negli Usa. “La mia sicurezza è stata seriamente minacciata”, ha detto ieri, aggiungendo che la polizia lo aveva picchiato fino a renderlo incosciente quando venne stato arrestato il 9 dicembre 2010, alla vigilia della cerimonia del Nobel per la Pace in onore del dissidente Liu Xiaobo, ancora in carcere con l’accusa di “sovversione di stato”.

Yu era stato messo in guardia dallo scrivere materiale politicamente sensibile. Il suo libro, “Wen Jiabao, il migliore attore in Cina” era stato pubblicato a Hong Kong, ma vietato in Cina.

Secondo Yu proprio quel libro e i suoi stretti legami con Liu Xiaobo – il dissidente cinese vincitore del Nobel 2012 e in carcere con una condanna a 11 anni per sovversione di stato – sarebbero stati i fattori scatenanti della pesante campagna di Pechino contro di lui.

“Non ho rimpianti per aver scritto quel libro, ha detto, perché quanto mi è successo dimostra che il mio giudizio su Wen era corretto”. Il pastore Zhang Boli, un amico di famiglia, ha detto che Yu, 38 anni, “sua moglie e il loro figlio di tre anni sono arrivati a Washington nella notte di mercoledì. Non vuole tornare, a breve, in Cina”, ha concluso.

Nel suo libro su Wen Jiabao, Yu descrive il premier cinese come un tecnocrate mediocre che è salito al potere, “evitando i conflitti politici, e manipolando il sentimento del pubblico, applicando la regola dittatoriale comunista in modo tirannico, senza precedenti”.

Hu Jia, uno dei dissidenti più noti in Cina, ha detto ieri di essere stato interrogato dalla polizia per oltre sette ore, sotto la minaccia di un nuovo arresto nel caso continui le sue attività on line a favore di alcuni candidati indipendenti alle elezioni cinesi.

Hu Jia era stato rilasciato lo scorso mese di giugno dopo aver scontato una condanna di tre anni anni e mezzo di carcere dopo l’accusa di sovversione. Hu è stato sottoposto ad un anno di “privazione dei diritti politici” dopo il suo rilascio. A Hu Jia è stato anche impedito di rilasciare interviste alla stampa, “per protestare o pubblicizzare le sue idee”.

Otto poliziotti – secondo le ricostruzioni – sarebbero andati a casa sua con un mandato di perquisizione: oltre all’interrogatorio, avrebbero confiscato due computer e minacciato l’attivista di fronte alla figlia di quattro anni. La polizia di Pechino ha rifiutato di commentare la notizia.

Tempi duri per gli attivisti. A Natale, infatti, erano arrivate altre due condanne a dissidenti cinesi.

Il primo Chen Wei è stato condannato a nove anni di carcere il 23 dicembre. Il secondo Chen Xi, a dieci anni, il 26 dicembre. Entrambi, sebbene non abbiano relazioni tra loro, sono considerati tra i veterani dei dissidenti cinesi, dentro e fuori il carcere dal 1989 in avanti: due vite fatte appassire tra celle e sorveglianze, perfino impedite a comunicare con le proprie famiglie.

Come per Liu Xiaobo la giustizia cinese ha scelto date particolari per condannare i suoi dissidenti con il reato più grave, la sovversione di stato, ovvero quando l’Occidente è impegnato a oziare intorno alle tante cene natalizie, con o senza la crisi.

«La scelta delle date non è casuale, rispecchia la volontà cinese di non volere i riflettori internazionali di fronte a severe violazioni dei diritti umani», ha spiegato alla stampa Renee Xia, direttore di un’associazione con sede ad Hong Kong.

Si tratta di due condanne che hanno chiuso un anno orribile dal punto di vista della repressione in Cina: dalla diffusione on line di un appello che incitava ad una rivoluzione del gelsomino, nella primavera del 2011, sono centinaia gli arresti di attivisti, dissidenti o semplici blogger che sono stati arrestati, fermati quando non sono spariti senza lasciare traccia.

Con questi atti la Cina conferma la propria vocazione rituale: se in Occidente c’è indifferenza, in Cina certi messaggi passano. Si dice che il governo uccida la gallina per spaventare la scimmia, ovvero segnalare ai potenziali attivisti che la fine è sempre la stessa.

 In secondo luogo le decisioni dei tribunali cinesi potrebbero equilibrare la recente vicenda di Wukan in cui la popolazione ha ottenuto dalle autorità quanto chiedeva.

Il 2012 si preannuncia come un anno sul filo della tensione: cambieranno i vertici politici e Pechino si sta preparando. Sul web ad esempio si sta passando alla registrazione obbligatoria con i dati reali per aprire un microblog, recente strumento utilizzato anche dalle voci di protesta nella Repubblica popolare cinese.

Phelim Kine, ricercatore di Human Rights Watch, ha come molti dichiarato che il 2012 sarà “un anno difficile per attivisti e dissidenti, a causa della fase politica che sta attraversando il paese”.