Xinjiang. Almeno 104 morti dall’inizio dell’anno

In by Simone

La polizia cinese ha ucciso 14 “terroristi” in una sparatoria a seguito della rivolta scoppiata la notte del 15 dicembre in un paesino della contea di Shufu vicino Kashgar, la città più a occidente della provincia occidentale dello Xinjiang. Secondo le autorità la rivolta aveva già portato all’uccisione di due poliziotti che stavano compiendo una retata per un reato non meglio specificato. Sei sospetti sono inoltre in stato di arresto.
La notizia è stata data per prima da un sito governativo di informazione locale, Tianshan Net. Secondo la ricostruzione ufficiale la polizia sarebbe stata attaccata con ordigni esplosivi e machete da “aggressori terroristi”. Quasi immediatamente tutti i siti di informazione hanno ricevuto una notifica dell’Ufficio per l’informazione del Consiglio di Stato che presto è cominciata a girare anche in rete. “Riguardo al comunicato di Tianshan Net sui funzionari di polizia che hanno fatto fuori una gang di terroristi nella contea di Shufu in Xinjiang, i siti e gli spazi interattivi non dovranno inserirla tra gli argomenti in primo piano, né fare focus su notizie che possano essere correlate o su commenti [all’accaduto]. Inoltre non si dovrà far riferimento alle notizie degli scontri precedenti”.

Anche se questa volta non sono stati menzionati direttamente, in genere questi scontri avvengono con l’etnia degli uiguri, che attualmente rappresenta il 45 per cento della popolazione della regione. Sono una popolazione di lingua turca e religione islamica, con tratti somatici molto più vicino ai nostri che a quelli cinesi. Di fatto per tradizioni, lingua e caratteristiche fisiche sono molto simili ai popoli che abitano gli odierni Stan dell’Asia centrale e di fatti tendono a chiamare la loro regione – che i cinesi chiamano Xinjiang – Turkestan orientale. Fanno parte della Repubblica popolare dal 1949.

Lamentano il fatto che le loro attività commerciale e i loro usi e costumi tradizionali spesso legati alla religione islamica sono stati gradualmente ridotti dalla popolazione han, l’etnia dominante in Cina, che di fatto è sempre più presente ed è nei punti chiavi dell’amministrazione della regione. Pechino a sua volta denuncia che gli uiguri starebbero mettendo su un movimento indipendentista che – dopo gli attacchi del 2001 alle Torri gemelle – hanno messo subito in correlazione con al Qaeda. Sono convinti che gruppi organizzati di milizie uigure siano indottrinate e addestrate in Afghanistan, anche se finora ben poche prove hanno comprovato quest’accusa.

La protesta più grande che gli uiguri hanno portato avanti è stata a Urumqi, la capitale della regione, nel 2009. All’epoca 197 persone rimasero uccise e oltre 1600 ferite. Quest’anno hanno bucato gli schermi dell’informazione mondiale facendosi esplodere lo scorso 29 ottobre con una macchina a piazza Tian’anmen, proprio sotto il ritratto di Mao. L’incidente ha provocato la morte di cinque persone, di cui tre erano gli stessi attentatori (una famiglia) all’interno della macchina.

Un elenco degli incidenti resi noti quest’anno ci da l’idea del conflitto a bassa intensità che la regione sta vivendo. Solo quest’anno – e solo per gli episodi noti – abbiamo superato i cento morti. Sono sempre piccoli episodi, scaturiti spesso da stupide provocazioni o da abusi di funzionari locali. Le informazioni sono rare e incomplete, ma riportano quasi sempre a qualche morto. E intanto la tensione sale.

7 marzo 2013: Korla, almeno 4 morti
23 aprile: Selibuya, provincia di Kashgar. 21 morti (tra cui 15 tra poliziotti e aiuti sociali)
26 giugno: Lukqun, provincia di Turpan. 35 morti (tra cui 2 poliziotti)
28 giugno: Hotan, i locali dicono che diverse persone sono state uccise ma non ci sono dati ufficiali
20 agosto: Kashgar, almeno 16 morti (tra cui un poliziotto)
29 ottobre: Pechino, 5 morti (3 ‘attentatori’ e due turisti)
16 novembre: Selybuya, provincia di Kashgar. 11 morti (tra cui due ausiliari della polizia)
15 dicembre: Shufu, provincia di Kashgar. 16 morti (tra cui due poliziotti)

Lo Xinjiang è una regione nordoccidentale della Cina per gran parte costituita da deserti che ospita circa 20 milioni di abitanti. Se fino agli anni Ottanta gli uiguri – la popolazione locale che ha lingua e caratteristiche somatiche turche e per lo più è di religione islamica – costituivano oltre l’80 per cento della popolazione, oggi sono scesi a meno del 45 per cento. La chiamano “sommersione etnica” ed è la politica messa in atto da Pechino per favorire l’”integrazione” di aree a forte velleità indipendentista come il Tibet e lo Xinjiang. Ma di fatto è la politica che ha acceso una forte resistenza nelle popolazioni locali che sentono le loro tradizioni messe a rischio dalla sempre maggiore presenza dei migranti han, che per altro occupano i gradini più alti della scala sociale.

La regione dello Xinjiang, inoltre, è ricca di risorse naturali come gas e petrolio e diventerà presto uno dei principali fornitori di carbone per soddisfare la sete sempre maggiore di energia dello sviluppo cinese. E i cinesi che vi si trasferiscono mirano a beneficiare dell’indotto che le risorse locali produrranno. Ma il rapporto con il governo centrale è sempre stato complicato.

Xinjiang in cinese vuol dire Nuova Frontiera. Siamo a 3200 chilometri da Pechino che estese il suo impero fin qui la prima volta nel II secolo d.C. Era il luogo dove passava la famosa via della seta, principale rotta commerciale tra oriente e occidente dell’antichità. Da allora la sua storia è stato un susseguirsi di regni indipendenti e di dominazione cinese. L’ultima volta fu conquistato nel 1949 dall’esercito di Mao Zedong. Da allora gli uiguri sono anche ricorsi al terrorismo, cosa che dal 2001 accade sempre più frequentemente.

[Scritto per Lettera43]