Una moneta virtuale in salsa cinese

In Cina, Innovazione e Business by Simone Pieranni

Come ogni gruppo al potere da tempo, anche il partito comunista cinese ha un malcelato timore delle novità. Così, già fin dal 2018, aveva deciso di mettere al bando i bitcoin. Le criptovalute, si disse, rischiano di alterare assetti finanziari, di non essere controllabili dagli organi preposti. Ma più di tutto, lo scetticismo sembrava dipendere dal fatto che qualcosa di nuovo avrebbe potuto portare sulla scena anche nuovi attori.

LA CINA ha dimostrato nel tempo di sapere leggere con grande anticipo gli eventi della nostra epoca, almeno alcuni, e fin da subito su magazine e reti sociali – naturalmente anche su WeChat – si è cominciato a parlare della volontà da parte della banca centrale di Pechino di provvedere alla creazione di una propria criptovaluta sovrana, con l’intento neanche troppo nascosto di andare a ledere spazi al dollaro.

AL MOMENTO non c’è alcuna novità al riguardo, ma la notizia arrivata dagli States su Libra, la criptovaluta made in Facebook, ha ridestato dibattiti e rumors su quanto potrebbe accadere in Cina. Mentre sul futuro, però, la banca centrale pechinese non si è esposta, in Cina – specie sui siti specialistici – si è analizzata la novità di Libra alla luce di quanto si sostiene da tempo: il futuro è WeChat, Facebook da tempo prova a escogitare il modo di diventare la «WeChat dell’Occidente» (la definizione è dell’Economist) e Libra altro non è che il primo tentativo di avvicinarsi a un modello di business nel quale, in pratica, comunicazione e pagamenti vanno di pari passo.

ANCHE SENZA L’UTILIZZO di una valuta virtuale, WeChat (e anche Alibaba con Alipay) ha dimostrato che «agganciando» l’account dell’applicazione al conto bancario dell’utente sono permesse alcune cose: il consumatore può acquistare in modo compulsivo in qualsiasi momento, trasformando – più in generale – una società completamente dipendente da carta, timbri e sprovvista di un uso massiccio di carte di credito, in una società completamente cashless. Anche all’interno di una chat con amici, si può scannerizzare Qrcode di prodotti e comprarli mentre si chiacchiera. Per WeChat questo ha significato un’occasione d’oro per tracciare i comportamenti (di acquisto e non solo) degli utenti in modo incredibilmente preciso e ubiquo, perché gli acquisti dei cinesi non sono tracciabili soltanto on line, ma in qualsiasi esercizio, dal parrucchiere al fruttivendolo. Con WeChat in Cina, si può perfino fare elemosina ai senza tetto, che accanto ai loro pochi averi hanno ormai quasi sempre un cartello con il Qrcode per ricevere aiuti.

Quanto si sostiene in Cina è che il mix di WeChat (pagamenti e messaggistica privata) è la chiave del successo del prodotto di Tencent (azienda cinese che sebbene meno conosciuta di Alibaba in Occidente oggi vale più di Facebook); inoltre la Cina con la Nuova via della seta (che non è solo infrastrutture e investimenti) ha la possibilità di allargare la propria influenza in ampie parti del mondo.

SENZA LIBRA, come riassume Evegeny Morozov sul Guardian, «Facebook non sarebbe in grado di affrontare Tencent o Alibaba sui mercati esteri». E non solo, perché, come sottolinea lo studioso bielorusso, Facebook è in grado di favorire la strategia di Trump (come già dimostrato da Google di recente contro Huawei): «un Facebook che mina l’espansione globale delle aziende cinesi è un asset strategico più importante per Washington rispetto al Facebook pacifista di un tempo».

E anche questo elemento non manca in alcuni commenti sul web cinese: la guerra tra Cina e Usa non è soltanto sui dazi, ma è più in generale sull’espansione del potere tecnologico sempre più «sovrano». E Libra di Facebook – per i cinesi – è un’arma in più per l’amministrazione Usa, con Trump o senza Trump.

[Pubblicato su il manifesto]