Un libro al giorno… L’origine della distanza

In by Gabriele Battaglia

Vittoria decide di volare in Giappone per amore di Lorenzo, che lavora là. All’ultimo però lui si allontana per lavoro, ma insiste perché lei vada a stare nel suo appartamento. Lei cede, e si trova catapultata in un Paese inatteso. China Files pubblica un estratto di L’origine della distanza (pp.112 , €12). Per gentile concessione di Terre di mezzo. 子23-1 L’ora del Topo

Questa è l’ora in cui i topi vanno alla ricerca del cibo
 
Mi alzai in piedi, guardai ancora una volta l’appartamento. Era luminoso, sulle finestre non c’erano persiane o tapparelle. E nemmeno le tende. Le pareti bianche, il pavimento di legno di un colore caldo. Nulla che comunicasse una sensazione di morte. Niente che trattenesse qualcosa di sgradevole.

“A me questa casa piace” le dissi.

Mentre scendevamo in ascensore ripensai ai muri tra i quali avevo abitato in Italia. Quasi mai mi ero interrogata sulla sorte dei precedenti inquilini.

“Perché me lo hai detto? Normalmente questo ha qualche influenza sulla scelta di un appartamento?”
le chiesi.
“In Giappone sì.
“Ma io non ho paura degli spiriti” dissi.

Lei mi guardò facendomi capire che la questione era molto più complessa di così. Io, comunque, in quella casa mi trovai bene fin da subito.

Il piccolo balcone dava su una strada per nulla trafficata e gli odori del ristorante erano quasi gradevoli. Qualche dolce, pollo arrostito e frittate leggere. Nel palazzo di fronte, allo stesso piano, ero certa che vivesse la custode. Lo capii dalla quantità di piccole piante, vasi vuoti, annaffiatoi e altri attrezzi da giardinaggio che occupavano il suo terrazzino.

A pochi giorni dal mio trasferimento ne ebbi la conferma: la vidi trapiantare dei bulbi che poi comparvero proprio accanto al mio zerbino. Nel giro di qualche settimana quei cipollotti marroni fiorirono. E il loro profumo, passando da sotto la porta, mi raggiungeva intenso.

L’aspetto di quella donna aveva qualcosa di tenero. Non era minuta come molte kyotonesi ma, nella sua rotondità, esprimeva comunque leggerezza. Mi colpiva il disordine che riusciva a produrre nei piccoli angoli del giardino che erano sotto la sua disciplina. Era una stranezza che avevo già notato in altri scorci della città: un ordine impeccabile nei luoghi condivisi che contrastava con una confusione negli spazi personali. Garage stracolmi di oggetti inutilizzabili, il retro dei locali con casse e bottiglie coperte da polvere e muschio. Era un’ambivalenza che lasciava filtrare qualcosa.

Ogni giorno la custode, anche se si occupava di terriccio e cesoie, si truccava, raccoglieva i capelli e li appuntava con un pettine dal quale scendevano fili di minuscole pietre preziose. Quando lavorava sul balcone o la incontravo in giardino indossava sempre dei lunghi guanti bianchi che si sporcavano subito. E una visiera scura, che la proteggeva anche se non c’era il sole.

“Alcune donne hanno ancora il terrore che la luce possa rovinare il loro pallore” mi aveva spiegato Miki.

In diverse occasioni avrei voluto scambiare qualche parola con quella signora ma lei, anche se mi salutava sempre, era rapida a tornare con gli occhi sulle sue piante. 

Il nostro dialogo passava attraverso i fiori. Non lasciava mai sguarnito di boccioli pronti a schiudersi lo spazio accanto alla mia porta. Ero l’unica per cui aveva tali attenzioni. Accanto agli altri appartamenti non cresceva mai nulla.

Quando questa notte, dopo aver riso e bevuto in compagnia di Miki, scendo dal taxi davanti a casa, per un istante temo di avergli dato l’indirizzo sbagliato. Forse sono un po’ brilla ma non abbastanza da commettere un errore simile. Eppure non riconosco il lastricato bianco e il giardino senza più nemmeno un vaso.

Il ristorantino con l’insegna a forma di coniglio però è sempre al suo posto. Pago la corsa e, quasi come se stessi entrando in casa di qualcun altro, raggiungo il quarto piano. Nemmeno nell’atrio e accanto al mio zerbino ci sono i fiori. La testa mi gira, ho una leggera nausea. Appena entro in casa mi stendo sul futon. E mi addormento. 

È il suono del telefono a interrompere il mio sonno.

“Buongiorno Vittoria. Stavi ancora riposando?” mi chiede Miki.

Ci metto un po’ a ricomporre gli ultimi frammenti della serata. Sono ancora vestita, gli occhi mi bruciano perché non mi sono struccata.

“Hai fatto bene a svegliarmi, sono crollata appena entrata in casa. Ho bevuto troppo
.”
“Ti sto chiamando dal lavoro.

Da quella frase capisco che non è il momento di chiacchierare.

“Dimmi.”
“Mi ha telefonato poco fa il proprietario del tuo appartamento. Da domani avrete una nuova custode.”

Ripenso alle piante che non avevo più trovato la sera prima.

“Come mai? L’hanno licenziata?”
“No. È lei a essere sparita questa notte. Con tutte le sue cose.”
“Non è possibile, l’ho vista ieri mentre…” Ma poi decido di non concludere quella frase. “Ma sono sicuri? Non ha un parente da contattare? Magari è solo andata da lui per qualche giorno.”
“No, nessuno. Era lei ad abitare nel tuo appartamento prima che arrivassi. E suo marito, come ti ho detto… Le indagini sulle cause della sua morte non si sono ancora concluse.

Vorrei chiederle qualcosa di più, ma sento chiamare Miki a gran voce.

“Ora ti saluto, devo scappare. Ci sentiamo più tardi.

Torno a sdraiarmi cercando di mettere in ordine le informazioni, le sensazioni. Quello che avevo visto e quello che stavo cercando di capire.

Mi alzo dal letto, vado in bagno. Il mio viso dal trucco disfatto sembra quello di un’artista derelitta, una cantante d’opera, una circense. Non mi lavo via il rossetto troppo acceso e il mascara sbavato. Mi metto il cappotto e gli stivali e, come sovrappensiero, raggiungo il fioraio dell’isolato.

Compro un giacinto viola che metto accanto alla mia porta. Mi ricorda chi se n’è andato, chi è evaporato, e me ne prendo cura ogni giorno.

*Francesca Scotti (1981) è nata a Milano. Diplomata in Conservatorio e laureata in Giurisprudenza, nel 2011 ha esordito con la raccolta di racconti Qualcosa di simile (Italic), vincitrice del Premio Fucini e finalista al Premio Città di Offida-Joyce Lussu. Dal libro è stato tratto l’omonimo cortometraggio per la regia di Alessandra Pescetta. È autrice dei volumi d’arte Mizumono, Tsukemono e Konomono (Edizioni Il Robot Adorabile) e ha collaborato, tra l’altro, con Radio Popolare e Glamour. Vive tra l’Italia e il Giappone.