The Leftover of the Day – Keynes era giapponese e non lo sapeva

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
11 agosto 2010, 11:48
Keynes era giapponese e non lo sapeva

Ieri, parlando con un’amica. Ricordiamo i tempi del vecchio corrispondente (ormai siamo all’epopea, oserei dire) e tra un sospiro nostalgico e una memoria condivisa sul lavoro, citiamo quelle due-tre chicche che credo quasi chiunque possieda sul Giappone.
Lei mi dice che – il racconto è apocrifo – a un suo amico a Tokyo è capitato di vedersi sfilare dalle mani il bancomat: sottratto dalla macchinetta. Posso immaginare il panico del turista in casi simili. Ma il Giappone è il posto ideale per il viaggiatore apprensivo. Tutto sempre programmato perché l’imprevisto è il nemico assoluto dei giapponesi. Dunque, succede che al preoccupato amico si spalanca davanti – immediatamente – una sorta di finestrella con tanto di tendina da cui esce un omino (o una signorina, non ricordo più) che, con mille inchini e una profusione di scuse e formule di cortesia, si presta subito in soccorso. Quasi scioccante. Ti ci può prendere un infarto, specie se sei abituato a essere trattato come un importuno scocciatore quando hai a che fare con le banche italiane.

La cosa assurda, dico io, è che probabilmente quella mansione non sarà causale, ma sarà esattamente quella per cui viene regolarmente corrisposto uno stipendio all’omino o signorina del caso. Cioè sarà il suo lavoro.

Mi viene spontaneo aprire una piccola parentesi sui lavori assurdi dei giapponesi. Anche perché mi sento compresa nel discorso. Giorni fa parlavo con un giornalista che mi diceva: “certo che solo i giornali giapponesi prevedono per l’ufficio di corrispondenza una figura di assistente 24 h su 24 come la tua. Non lo fa nessun altro!”. Già, anche perché è una spesa assurda, a ben pensarci. E persino un po’ imbarazzante, almeno per me, che, se devo ringraziarli per lo stipendio, devo anche fare incredibili operazioni di aritmetica delle frustrazioni e delle soddisfazioni per riuscire ancora a legittimare questo mio ruolo bifronte mezzo assistente-mezzo giornalista. (Non so perché ma nella mia vita, almeno finora, questa tematica del né carne né pesce tende ad affacciarsi con inquietante ricorrenza).

Tornando ai lavori incredibili che riescono a inventarsi i giapponesi, oltre ai celeberrimi spingitori in metropolitana, mi tornano in mente le esilaranti descrizioni di A. Nothomb in Stupore e tremori, guardiana dei cessi suo malgrado. Poi leggi cose così, un po’ datate (il blog non viene aggiornato da un po’), ma che rendono perfettamente il senso della tua esperienza.
E dal basso – dallo 0 – delle mie nozioni sulla storia del pensiero degli economisti, mi torna anche in mente la teoria (sicuramente ben più articolata di quanto io ricordi) della buca di Keynes. Cioè, detto in termini grossolani, l’idea che in tempi di crisi i governi dovrebbero mettere i disoccupati a scavare una grossa buca. Appena i lavoratori hanno finito la buca, la dovrebbero smantellare. Non ci sarebbe nessuna finalità se non quella di occuparli, di far continuare il flusso di consumi (quel “far girare l’economia” di eco berlusconiana) grazie agli stipendi, evitando così il collasso generale.
In qualche modo i giapponesi sono keynesiani. Non so se sia più frutto di una psicologia, di un’antropologia, o se ci sia pure una scelta deliberata.
In effetti, però, il tasso di disoccupazione in Giappone rimane uno dei più bassi al mondo (ma è anche vero che poi uno si ritrova a uscire dalla tendina di una banca o a passare la sua giornata inchinandosi ai clienti per dargli il benvenuto).

P.s. Per insistere sul tema meticolosità dei giapponesi (che, alla fine, credo sia pure la radice dei lavori surreali perché lo scopo ultimo è sempre il perfezionismo), una bella lettura è questo diario di J. Villoro sul Giappone (pubblicato su Internazionale di luglio 2010)

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)