The Leftover of the Day – Ho imparato a fingere

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
3 febbraio 2010, 13:04
Ho imparato a fingere

Si parla di lealtà. Quella richiesta dalle aziende giapponesi. Quella che deve essere alla base di qualunque relazione sociale in Giappone. O almeno un simulacro di essa.
Ne parliamo di nuovo a proposito di A., l’altra ragazza che lavora qui, con mansioni imprecisate e che lui ha deciso di detestare per motivi più personali che professionali. Per l’ennesima volta mi spiega le sue ragioni, io mi obbligo ad assentire anche nei passaggi in cui dissentirei con forza: tanto è inutile. Ora è persino arrivato a proibirle di usare il computer nella nostra stanza perché, dice, il suo (di lei) battere sulla tastiera lo infastidisce: “Spinge sui tasti con violenza e produce rumore come se fosse lei la caporedattrice”.
In effetti, a pensarci, io quando scrivo mi sento comunque controllata ed è come se avessi imparato a dissimulare la mia presenza e il mio battito sui tasti, a graduarlo, a mescolarlo con suoni meno invasivi; istintivamente l’ho capito da un pezzo che bada persino a queste cose.
Mi viene da ridere e da piangere quando mi dice: “Se paragono la tua crescita e quella di A. in questi 3 anni il divario è enorme. Per me tu sei cresciuta moltissimo, sei una persona totalmente diversa rispetto a quando sei entrata”.
Non sono diversa, sono finta.
Cerco di tirare fuori una particella di onestà e, incerta su dove andrò a parare, gli rispondo: “Non sono diversa…” e poi non riesco a continuare. Con tono conclusivo mi interrompe: “From my point of view” e compie un gesto della mano che significa: non aggiungere altro. Ovvero: la tua verità non mi interessa.
Ecco, questa è la mia lealtà.
Si chiama finzione.
Non mi appartiene, non mi piace, ma è inevitabile.

3 febbraio 2010, 13:06
Venice quiz

Ancora a proposito della serie sulle case (vedi qui). Non so cosa debba scrivere, immagino qualche parola introduttiva su Venezia (ma ce n’è bisogno?!?), fatto sta che mi comincia a chiedere come si chiamano in italiano (la sua idea è che in un articolo dall’Italia bisogna sempre mettere qualche parola in italiano: è più cool) tutti i tipi di imbarcazioni: le gondole, le barche a motore, i vaporetti, gli aliscafi (ma qui si impunta perché vuole parlare delle imbarcazioni che ti portano dall’aeroporto a Venezia città e, sostiene: “Those are not aliscafi!”). Io taccio, spero solo che non mi faccia altre domande. Invece no, ora vuole dettagli sulle navi da crociera. Mi sembra di stare dentro a un quiz perenne e allucinante, mi mancano solo le cuffie in testa.

P.s. mentre scrivo queste cose, siamo già al livello successivo: siccome il padrone di casa è di Belluno, vuole sapere come si chiamano le Alpi in quella zona, glielo dico, vuole vedere sulla mappa, glielo faccio vedere, vuole anche sapere perché si chiamano Dolomiti… non la finiremo mai.

3 febbraio 2010, 15:07
Equazioni immobiliari

La questione Venezia non è ancora finita.
Ieri voleva capire se l’importo pagato per la casa era o no alto, quindi gli ho cercato prezzi al metro quadro su Venezia, ma poi l’acquisto era del 1996 e allora bisognava verificare la crescita dei prezzi dal 1996 al 2009 (il 104%, se qualcuno volesse saperlo), ma poi bisognava distinguere tra prezzi al centro e in periferia…
Stamattina è arrivato e la prima cosa che ha fatto è stato calcolare il valore della casa in lire perché all’epoca in cui fu acquistata non c’era l’euro, poi ha iniziato tutti gli altri calcoli del caso per convertire le lire in yen nell’anno domini 1996.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)