The Leftover of the Day – Ancora sulla bat box (parte 2)

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
16 luglio 2010, 11:07
Ancora sulla bat box (parte 2)

Quasi sciolti dal sole, arriviamo dunque al supermercato per la nostra importante missione. Fotografa la bat box e io spero finisca lì. Ma so già che non può andare così liscia. Infatti mi chiede di trattenere l’addetto del reparto per fargli qualche domanda. Il ragazzo è visibilmente perplesso e mi confessa subito che non ne sa molto e che ‘sta scatola per pipistrelli gli sembra pure ‘na sola.
Io immagino che in Giappone sia diverso. Se arriva un giornalista e fa domande che riguardano l’azienda per cui si lavora, sia essa una piccola impresa familiare o una gigantesca multinazionale, anche l’impiegato più irrilevante e insignificante nella gerarchia, se interrogato, risponderà con formalità e cercando le risposte più opportune e precise. In qualche modo loro si aspettano che anche un addetto di reparto, una cassiera, un magazziniere – tanto per rimanere sulle figure del supermercato – si comportino come un ufficio stampa.
Non è quello che avviene qui. Il ragazzo è esaurito dalle sue domande che sono parecchie e per di più ripetute. Io mi limito a tradurre e a guardare l’interrogato con occhi di comprensione e sostegno. Si vede che non ne può più, ma il giapponese imperterrito insiste con il suo comportamento standard. Dopo avergli messo in mano il suo biglietto da visita, lo tempesta così: quanto costa la bat box (e che non lo vedi? Vorrei dirgli anch’io, visto che ha il prezzo sotto il naso)? Il prezzo è sempre stato lo stesso o è cambiato (ma sti cazzi…?)? Quante ne vendete voi al giorno, al mese, in 1 anno (e fin qui ci si può pure stare)? Quante ne vendono in tutta Italia e si vendono in tutti i punti Coop (il ragazzo scuote la testa e dice che ne so)? Come si installa? La posso mettere dappertutto? Per andare poi sul personale: Ti piace? Pensi sia utile? Ce l’hai a casa tua? Perché no? Perché è una moda? E che moda è? Fino al gran finale: Che ne pensi dei pipistrelli?

Mi chiedo anche: ma possibile che perdiamo tutto questo tempo per una cosa del genere? E poi: possibile che abbiano un concetto così antieconomico dei loro servizi giornalistici? Lavoro umano e tempo sprecati per questa foto che ritrae una scatola di legno e una commessa di supermercato a reggerla?

P.s. Ora devo anche chiamare l’azienda produttrice e chiedere ulteriori dettagli come: numero dipendenti, nome del Presidente e storia dell’azienda. Ma che c’entra coi pipistrelli?

16 luglio 2010, 11:38
Remake

Mi ripeto, lo so. Il problema è che si ripetono loro. Sembrano clonati. Fanno gli stessi ragionamenti, glieli hanno inculcati bene.

Veniamo a parlare delle ferie estive dei giornalisti. Esagero un po’, tanto per tenermi sul sicuro, sui giorni di ferie che si prendono i giornalisti. Poi gli dico che in estate molti giovani fanno sostituzioni presso giornali e redazioni tv, ma si tratta di contratti di 1-3 mesi al massimo, nulla di stabile. Lui si stupisce e contrito commenta: per un giornalista la continuità è fondamentale, non bisogna mai interrompersi, certo non è un bene lavorare solo pochi mesi. Io sottolineo il fatto che non è bene soprattutto dal punto di vista economico. Mentre in uno stanzino della mia mente penso all’altro capo giapponese che sosteneva che una settimana di vacanza è già troppo, perché, appunto, “un giornalista non può staccare”.

In metro, avviluppati da spirali di caldo e di folla, sulla scala mobile. Mi precede sul gradino prima del mio. Si gira all’improvviso e mi guarda sconvolto e colpito: “Il corrimano va più veloce, è difficile trovare l’equilibrio”. Eccone un altro, penso, e mi torna alla memoria la teoria sulle scale mobili e l’Italia del suo predecessore (di cui comunque sento parecchio la mancanza!).

Parliamo della casa che ha trovato. Ne è fiero e mi spiega il motivo: “Forse non dovrei dirlo… ma sono anche contento che sia così vicina a Piazza San Pietro perché se succede qualcosa al Papa sono già lì…”
Pronto a scattare in caso di emergenza, già. Manco fosse un attacco nucleare.
“Anche perché immagino il blocco del traffico e il caos”, insiste.
Per buttarla sul poetico gli dico che quando muore il Papa le campane di Roma suonano all’unisono.
“Sì”, asserisce lui, “e poi c’è il fumo bianco che esce..”

Beh, non proprio. Quello è il conclave.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)