Taiwan chiude le porte ad Alibaba. Dopo aver pagato una multa, l’azienda di Jack Ma potrà registrarsi nuovamente sull’isola, ma come società cinese con tutte le restrizioni che questo comporta. Intanto nei giorni scorsi Alibaba ha annunciato la costituzione di un fondo da 316 milioni di dollari per sostenere le startup e gli imprenditori taiwanesi.
Taiwan chiude le porte ad Alibaba. Il colosso dell’e-commerce ha tempo sei mesi per ritirarsi dall’isola, per presunte violazioni della legge sugli investimenti. Tutto ruota attorno alla struttura proprietaria. Il gruppo fondato da Jack Ma opera a Taiwan come una società straniera, tramite la controlla singaporiana.
Taipei, secondo quanto emerso dal prospetto per l’ipo a Wall Street, la considera tuttavia a pieno titolo una società cinese e come tale rientra nelle limitazioni sugli investimenti imposte alle aziende della Cina continentale.
La Repubblica popolare e Taiwan, dove alla fine della guerra civile del 1949 ripararono i nazionalisti sconfitti di Chang Kai-shek, avranno anche riallacciato i rapporti, con un riavvicinamento suggellato nel 2010 dalla firma di un accordo quadro di cooperazione economica. Pechino resta tuttavia in qualche modo un’entità politica ostile, così come l’isola continua a essere considerata una provincia ribelle.
In questo contesto si inserisce lo scontro tra Alibaba da una parte e il ministero per gli Affari economici e la Commissione per gli investimenti dall’altra, che sottolineano come il 30% della proprietà sia in mano a cinese.
A sua volta il gruppo fondato a Hangzhou replica ricordando che Alibaba.com Singapore è una controllata della Alibaba.com con sede alla Cayman. Il principale investitore, con il 16,8% delle quote è per di più il gruppo di tlc nipponico Softbank.
Come molte società cinesi, anche il colosso dell’e-commerce sfrutta le zone grigie concesse dalle regole di Pechino per poter operare in settori sensibili e permettere investimenti stranieri. Nel caso Alibaba lo strumento sono le cosiddette Variable interest entity (Vie), ossia entità a interesse variabile.
E proprio per questo nella Cina continentale al gruppo è rivolta l’accusa opposta a quella taiwanese, ossia essere di fatto una società straniera. Il gruppo di Ma potrà presentare appello contro la decisione che comporta anche una multa di circa 3.800 dollari.
Potrà inoltre registrarsi nuovamente sull’isola, questa volta come società cinese, con tutte le restrizioni che questo comporta, non da ultima dover ricevere l’autorizzazione di una commissione prima di poter fare investimenti.
Intanto sempre nei giorni scorsi Alibaba ha annunciato la costituzione di un fondo da 316 milioni di dollari per sostenere le startup e gli imprenditori taiwanesi che operano attraverso le proprie piattaforme. Uno schema che replica quanto già fatto a febbraio ad Hong Kong, con un fondo da 120 milioni.
[Scritto per Milano Finanza]