Sulle condanne agli uighuri

In by Simone

In una Urumqi deserta e presidiata da un imponente schieramento di forze dell’ordine, la Corte del popolo ha emesso i primi verdetti nel processo per le violenze interetniche che, la notte del 5 luglio scorso, hanno sconvolto la città, capoluogo dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, causando la morte di 197 persone. Sei condanne a morte e un ergastolo, questo il verdetto finale. Accusati di «omicidio e saccheggio» gli imputati – Abdukerim Abduwayit, Gheni Yusup, Abdulla Mettohti, Adil Rozi, Nureli Wuxiu’er e Alim Metyusup, hanno ascoltato la sentenza in piedi, avvolti nelle classiche divise arancioni dei detenuti.

Pena più lieve, si fa per dire, per Tayirejan Abulimit. Accusato degli stessi reati è stato condannato al carcere a vita per aver ammesso le sue colpe e aver contribuito, con la sua confessione, all’arresto di Alim Metyusup. Condanne esemplari che indicano la volontà delle autorità centrali di riprendere il controllo della situazione nella regione. Una risposta a quanti, solo un mese fa, sfilavano per le vie di Urumqi chiedendo le dimissioni Wang Lequan, capo del partito nello Xinjiang, al loro dire incapace di difendere i cittadini dopo gli attacchi a colpi di siringa che ai primi di settembre avevano riacceso la violenza tra cinesi han e uighuri, il gruppo turcofono di religione musulmana maggioritario nella provincia. Allora erano cadute le teste di Li Zhi, segretario del partito a Urumqi e Liu Yaohua, capo della sicurezza, entrambi costretti alle dimissioni; oggi invece le autorità mostrano il pugno di ferro. Il dibattimento che ha visto coinvolti i tre è tuttavia iniziato in sordina. A fine agosto si era sparsa la notizia dell’imminente inizio dei processi per duecento persone accusate di aver preso parte alle violenze di luglio. Un’indiscrezione che le autorità si erano subito impegnate a smentire.

La sentenza di ieri segue di soli due giorni la condanna a morte di uno dei responsabili dell’incidente di Shaoguan, nella provincia meridionale del Guangdong, considerato la scintilla che ha dato il via agli scontri di Urumqi. Il «principale istigatore» delle violenze si chiama Xiao Jianhua ed è un cinese han. Sull’uomo pesa l’accusa di omicidio per l’assassinio di due operai uighuri nella provincia cinese del Guangdong. Insieme a lui un altro han, Xu Qiqi, è stato condannato all’ergastolo, mentre nove altre persone hanno avuto pene minori. I fatti sono noti: a fine giugno in una fabbrica di Shaoguan si era sparsa la voce, rivelatasi falsa, che un gruppo di operai uighuri avesse violentato una donna cinese. La rabbia degli operai han si è subito tramutata in una caccia all’uomo conclusa con la morte di due uighuri. Un episodio rimbalzato via Internet sino alla lontana Urumqi, dando così inizio alle violenze nel capoluogo dello Xinjiang. Violenze che l’agenzia stampa Xinhua descrive nei minimi particolari e nelle quali i condannati odierni avrebbero svolto un ruolo di primo piano. Si apprende così che Abdukerim Abduwayit avrebbe ucciso cinque persone e appiccato l’incendio di un palazzo del centro, provocando danni per 260 mila yuan (35 mila euro). Gheni Yusup, Abdulla Mettohti, Adil Roziand e Nureli Wuxiu’er avrebbero invece picchiato a morte quattro persone, per poi scaricare la propria rabbia contro negozi e auto. E ancora, Abdulla Mettohti è accusato di aver ucciso altre cinque persone, mentre su Alim Metyusup Tayirejan Abulim pesa l’accusa di aver provocato tre vittime, uccidendo due persone e ferendone una. «I cittadini devono rispettare la legge – spiega alla Xinhua Nurmemet Hapiz, imam di una moschea locale, presente all’udienza, che si dice d’accordo con il verdetto– Dobbiamo cercare di dare il nostro meglio per mantenere l’armonia sociale e la sicurezza».

Un giudizio non condiviso da Dilxat Raxit, uno portavoce del Congresso mondiale degli uighuri (WUC). Il processo è «una farsa» accusano i leader uighuri in esilio, «ha mancato di trasparenza ed è stato ingiusto» continua Raxit. L’WUC ricorda come tra le vittime delle violenze di luglio -197 morti, in maggioranza cinesi han, e 1700 feriti – ci siano anche molti uighuri, ma conclude il portavoce: «di fronte alla legge non abbiamo protezione» Le udienze intanto continuano, sarebbero almeno ventuno le persone sotto processo, e un centinaio quelle in prigione.

[Pubblicato su Il Riformista il 13 ottobre 209]

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