Stato di diritto con caratteristiche cinesi

In by Simone

Si è chiuso il quarto plenum. Dopo quattro giorni che hanno visto riuniti a porte chiuse gli oltre 300 uomini preposti alla guida del paese esce un comunicato che non soddisfa le attese. Nessuna definizione chiara di cosa si intenderà per stato di diritto nell’era Xi Jinping, nessuna menzione della tanto attesa espulsione di Zhou Yongkang. Più poteri alle corti locali però, a patto che il Pcc rimanga l’autorità indiscussa.
Riforme legali e stato di diritto sì, ma “sotto la guida del Partito”. Yifa zhiguo, questo è il termine cinese che è stato tradotto (e si può tradurre) come “governare secondo la legge”, “governati dalla legge” e “stato di diritto. In inglese il gioco di parole funziona ancora meglio. “Rule of law” o “rule by law”? Sembrerebbe più la seconda. Il Comitato centrale del Pcc ha dato mandato al presidente Xi Jinping di intraprendere la strada delle riforme e il presidente, con ogni probabilità, cercherà di tenere insieme marxismo, confucianesimo e capitalismo in un percorso del tutto originale. Sicuramente terrà saldo il timone, senza cederlo a nessuno.

Nel comunicato (ancora parziale) rilasciato a chiusura del quarto Plenum, sullo stato di diritto si rimane sul vago invocando le famose “caratteristiche cinesi”. “La correttezza è l’ancora di salvezza dello stato di diritto” si legge. E ancora: “l’ingiustizia giudiziaria è fatale per la giustizia sociale”. In assenza di ulteriori dettagli gli analisti si dividono tra chi pensa che il Partito sia sulla giusta via per rinforzare un approccio giudiziario che sia più duro e corretto nell’affrontare le dispute legali e chi pensa che non ci saranno passi in avanti e la Repubblica popolare continuerà a non punire gli abusi.

LA SUPREMAZIA DEL PCC
Quello su cui tutti paiono ancora d’accordo è che il Partito mantiene salda la sua “supremazia”. Negli ultimi due anni si è visto come si sia dimostrato sempre meno tollerante per le sfide alla sua autorità. Come ricorda l’avvocato per i diritti umani Teng Biao in un’intervista a Ian Johnson, da quando Xi Jinping è salito al potere sono stati arrestati oltre 300 intellettuali e avvocati che si sono occupati di diritti civili. Di certo il Partito non abdicherà ad essere quello a cui spetta l’ultima parola su tutto, anche e soprattutto sul sistema legale. “Lo stato di diritto socialista – si legge ancora nel comunicato – deve sostenere la leadership del Partito. Solo governando secondo la legge e migliorando lo stato di diritto sotto l’autorità del Partito, il popolo può veramente essere padrone del proprio paese”.

L’IMPORTANZA DELLA COSTITUZIONE
Si pone quindi  l’obiettivo di costruire uno "stato di diritto socialista con caratteristiche cinesi” e un paese governato dallo "stato di diritto socialista". Dietro le formule, è significativa la citazione della Costituzione. “Il Partito dovrà governare il paese sulla base della Costituzione – si legge – e dovrà controllare il Partito secondo i regolamenti interni al Partito”.  E c’è da sottolineare che per il governo il principio base della Costituzione è quello del preambolo del 2004 che di fatto assume che la leadership del Partito comunista è il cuore del progetto del socialismo con caratteristiche cinesi. E sempre al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo rimarrà l’onere e l’onore di monitorare sull’applicazione della Costituzione. E quindi anche della sua interpretazione. Nessun passo quindi in direzione di quella separazione dei poteri, cuore del pensiero politico occidentale.

PIU’ POTERI ALLE CORTI, MENO LOCALISMI
In ogni caso il comunicato contiene anche alcune proposte di riforme interessanti, diciamo un’agenda su cui lavorare negli anni a venire. Avalla l’idea che le corti avranno giurisdizioni più ampie per evitare protezionismi locali. Nella maggior parte dei casi infatti, oggi i giudici crescono all’interno di un’unica corte di giustizia e, sicuramente, hanno meno potere non solo della polizia ma anche degli imprenditori. Troppo spesso questi ultimi possono vantare appoggi politici di così alto livello da far passare a qualunque giudice la fantasia di indagarli.

Si avalla anche l’idea che i pubblici ministeri potranno avere voce in capitolo su questioni di pubblico interesse anche se esulano dalla sfera prettamente criminale. Ad esempio sulle responsabilità dell’inquinamento delle acque dei suoli e dell’aria. Si punta quindi a promuovere la credibilità delle corti locali e si promuove la trasparenza degli atti di governo. Si annuncia inoltre un meccanismo per rendere i funzionari giudicabili in base ai loro atti amministrativi. Inoltre si cercherà di assumere più giudici, per rendere più efficiente il sistema.

LE ESPULSIONI E L’INNOMINATO
È bene anche ricordare che il plenum si è chiuso con sei espulsioni eccellenti dal Partito – anticamera del processo penale – tra cui vanno ricordate quelle di Li Dongsheng, l’ex vice ministro della pubblica sicurezza, Jiang Jiemin, l’ex presidente dell’organismo che controlla le imprese di stato e Yang Jinshan, ex vicecomandante del Pla di Chengdu. Nessuna espulsione però per Zhou Yongkang, il numero 9 della scorsa nomenklatura, la grande tigre, l’ex zar dei servizi di sicurezza caduto in disgrazia.

Certo, gli altri sei sono tutti suoi alleati, ma l’assenza dell’espulsione per Zhou ha portato in molti a pensare che il Partito sia ancora una volta diviso sul suo destino e che non sia ancora tutto pronto per un suo processo che – appunto – rispetti lo Stato di diritto. Altri ritengono invece che la grande tigre sarà lasciata in pace: è ormai in pensione e non appare in pubblico da un paio d’anni.

Forse Xi Jinping ha preso in considerazione le critiche dell’ex presidente Jiang Zemin che lo metteva in guardia sul fatto che si stava spingendo troppo in alto con la sua lotta alla corruzione e che, così facendo, avrebbe messo in pericolo l’autorevolezza stessa del Pcc.

[Foto credits: scmp.com]