SINOLOGIE – La lingua degli han

In by Simone

La lingua ufficiale e le varietà dialettali della Repubblica popolare cinese: riforma, politica linguistica e situazione attuale esplora l’evoluzione della lingua ufficiale cinese sottolineando la sua importanza di specchio e prodotto della storia. E ne spiega l’importanza oggi, nel XXI secolo.
 Oggigiorno il cinese si contende con l’inglese la posizione di lingua maggiormente parlata al mondo e, secondo dati recenti, il numero degli stranieri che lo studiano ha raggiunto i 50 milioni. Cresce costantemente il numero delle istituzioni che offrono corsi di lingua e cultura cinese, con lo scopo di rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più interessato a conoscere la Cina, come testimonia l’opera delle numerose sedi dell’Istituto Confucio

Cosa si intende, però, con il termine “lingua cinese”? Nel corso degli anni la lingua cinese è stata oggetto di molte riforme e lo stesso termine “lingua cinese” ha assunto significati diversi. Vogliamo qui riflettere sul significato di questo termine, per comprenderne, innanzitutto, la vastità. 

Seppure il termine tecnico designato ad indicare la lingua ufficiale della Repubblica Popolare Cinese sia putonghua (lett.: lingua comune), la lingua cinese è comunemente conosciuta e studiata come hanyu, e cioè la lingua degli han, l’etnia maggioritaria in Cina. La lingua cinese, però, abbraccia sette aree dialettali, i cosiddetti hanyu fangyan (dialetti cinesi) che, come le popolazioni che li parlano, sono caratterizzati da un’antica tradizione culturale.

L’analisi della situazione linguistica della Cina contemporanea permette di comprendere le differenze esistenti tra le varietà dialettali della lingua cinese e il rapporto di queste con la varietà linguistica che, dopo secoli di riforme, è arrivata a costituire la lingua ufficiale. Nel 1956, il putonghua fu definito in base alla pronuncia del dialetto di Pechino, al lessico dei dialetti del Nord e alla struttura grammaticale del baihua, la lingua vernacolare. Il panorama linguistico della Cina contemporanea è quindi caratterizzato dalla coesistenza del putonghua, la lingua ufficiale, con gli hanyu fangyan, i dialetti.

Il processo di riforma linguistica in Cina si è svolto in diverse fasi che, a partire dai primi tentativi verso la formazione di uno standard linguistico orale e scritto, hanno visto il passaggio dal yayan, “idioma di corte”, alla formazione del guanhua, “lingua dei funzionari”, la nascita del guoyu, “lingua nazionale” e, infine, quella del putonghua. In questo contesto, furono le riforme messe in pratica nel corso del XIX e XX secolo a far da protagoniste nel processo di modernizzazione della lingua.

A seguito delle Guerre dell’Oppio (1839-1842 e 1856-1860), infatti, il millenario Impero cinese dovette riconoscere la propria debolezza di fronte ai potenti stati-nazione occidentali e iniziare un profondo processo di riforma, politica e sociale, che coinvolse altresì aspetti linguistici: la Cina necessitava di una lingua unitaria capace di superare le barriere dialettali e di espandere, così, l’alfabetismo. La riforma linguistica, wenzi gaige, che interessò la Cina per tutto il corso del XX secolo, significò, quindi, modernizzazione dei tre ambiti principali della lingua, e cioè la lingua parlata, la lingua scritta e il sistema di scrittura.

L’intero processo di modernizzazione linguistica si basò sulla convinzione che il sistema di scrittura logografico fosse inadatto per un paese che si avviava sulla strada della modernità e che la coesistenza di standard linguistici differenti, generati dall’esistenza di molte varietà dialettali e dall’indipendenza della lingua scritta da quella parlata, ostacolasse il progresso del paese. In questo contesto, è necessario prendere in analisi il passaggio dallo “stile classico letterario”, il wenyan, allo “stile vernacolare”, il baihua, che avvicinò la lingua scritta alla lingua parlata e facilitò la creazione di un sistema di trascrizione fonetica della lingua cinese e la semplificazione dei caratteri. 

Parte integrante del processo di modernizzazione della lingua furono, inoltre, i dibattiti che riguardarono il mantenimento del sistema di scrittura logografico, l’ipotesi della sua sostituzione con un sistema di tipo fonografico e l’uso di un sistema di trascrizione fonetica associato al metodo di scrittura tradizionale. Nel corso degli anni vennero avanzate diverse proposte per la modernizzazione della scrittura e per la creazione di un sistema di trascrizione fonetica: il zhuyin zimu, “alfabeto fonetico”, il guoyu luomazi, “romanizzazione della lingua nazionale”, il latinxua sin wenz, “nuova scrittura latinizzata” e, infine, nel 1958, il Hanyu pinyin fang’an, lo “Schema di Alfabeto Fonetico della Lingua Cinese”, il sistema di trascrizione attualmente in uso. 

Le riforme linguistiche hanno creato uno stretto legame, tutt’ora ancora visibile, tra l’idea di nazione moderna e forte e quella di lingua unitaria e standardizzata. I risultati raggiunti nel progetto di promozione del putonghua, che viene altresì sancito dalla Costituzione della RPC, sono però ancora difficili da interpretare. Secondo il comunicato pubblicato online dal Ministero dell’Istruzione della RPC intitolato Zhongguo yuyan wenzi shiyong qingkuang diaocha zhuyao jieguo fabu (Annuncio relativo ai principali risultati del sondaggio sulla situazione nazionale della lingua cinese), il 53,06% della popolazione cinese è in grado di comunicare in putonghua, mentre per quanto riguarda le varianti dialettali la percentuale sale all’83,38%.

La Cina si presenta quindi come un paese multidialettale e multilinguistico, anche se lo status di lingua ufficiale del putonghua all’interno del panorama linguistico cinese continua a consolidarsi. La promulgazione nel 2001 della “Legge sulla Lingua Nazionale e sulla Scrittura in uso comune della Rpc”, che regola l’uso della lingua standard orale e scritta, ha consolidato la posizione del putonghua e ha normalizzato la relazione tra putonghua e dialetti.

Lungi dall’essere aboliti, i dialetti cinesi vengono preservati in ambito familiare e privato, mentre il putonghua è utilizzato in un numero sempre maggiore di situazioni. La popolazione cinese, quindi, si sta progressivamente trasformando in una comunità bidialettale caratterizzata da diglossia, e cioè da una situazione linguistica nella quale il putonghua assume il ruolo di “varietà linguistica alta” e i dialetti quello di “varietà linguistica bassa”. 

Il panorama linguistico cinese è abbastanza complesso: i dialetti cinesi vengono generalmente classificati in base a criteri di ordine fonologico e storico-filologico e se ne contano oggi sette varietà principali suddivisibili in due macrogruppi, e cioè i dialetti del Nord e del Sud. Lo studio dei dialetti cinesi è ancora materia abbastanza giovane e, per questo motivo, esistono classificazioni che includono a volte anche un terzo gruppo, quello dei dialetti Centrali, o suddividono i dialetti in “mandarini” e “non-mandarini”. Un elemento certo è, però, l’omogeneità delle varietà settentrionali alla quale si contrappone l’estrema frammentarietà dei dialetti meridionali.

Le ragioni che hanno portato alla formazione di un panorama linguistico di questo tipo possono essere ritrovate nella geografia del territorio cinese e nel processo di sinizzazione delle aree meridionali del paese da parte delle popolazioni settentrionali. Alcuni elementi caratteristici dei dialetti meridionali rispecchiano, infatti, la sopravvivenza di elementi appartenenti alle lingue di substrato non-han che sono state progressivamente assorbite dalla lingua cinese proveniente dal nord. 

Per l’analisi delle caratteristiche dei sette gruppi dialettali è necessario prendere in considerazione elementi fonologici, grammaticali e lessicali, che permettono l’identificazione delle linee di demarcazione esistenti tra i gruppi. Il gruppo dei dialetti del Nord è quello più importante all’interno del panorama linguistico cinese, grazie all’elevato numero di parlanti, all’estensione dell’area dove esso si stanzia e alla somiglianza con il putonghua. Secondo per importanza è il gruppo dei dialetti Wu che abbraccia anche l’area della città di Shanghai e gode, per questo, di uno status di prestigio. Segue il gruppo dei dialetti Yue che è conosciuto in Occidente con il termine “cantonese”.

Il cantonese rappresenta il dialetto meridionale per eccellenza e assume il ruolo di varietà di riferimento per tutti i parlanti dialettofoni dell’estremo sud della Cina, essendo parlato anche nell’ex-colonia britannica di Hong Kong. A causa del prestigio internazionale goduto da questa città, il cantonese può essere considerato la varietà diatopica “rivale” del putonghua e viene altresì parlato dai membri di molte comunità cinesi d’oltremare. I nove toni del cantonese, che ricordano l’alto numero di categorie tonali del cinese di epoca Tang (618-907), attribuiscono a questo dialetto un aspetto piuttosto conservatore e rappresentano la sua caratteristica più peculiare, accanto all’uso di alcune consonanti finali non utilizzate in putonghua

Il gruppo dei dialetti Xiang si avvicina per numero di parlanti al gruppo dei dialetti Yue, ma i dialetti ad esso appartenenti si stanno tipologicamente avvicinando sempre di più alle parlate settentrionali ed è possibile che in futuro essi perdano le proprie caratteristiche per fondersi con i dialetti mandarini. Il gruppo dei dialetti Min è, invece, il più eterogeneo dell’intero panorama linguistico cinese, con tuhua, “parlate locali”, che possono essere reciprocamente inintelligibili nonostante la vicinanza. I dialetti Min si trovano in stretta relazione con il gruppo dei dialetti Kejia, che in Occidente è conosciuto come “hakka”. Questi dialetti si stanziano in tutto il sud della Cina e sono parlati in circa 127 contee.

L’ultimo gruppo è quello dei dialetti Gan, il più piccolo per numero di parlanti. I dialetti appartenenti a questo gruppo sono stati fortemente influenzati dai gruppi limitrofi e ciò ha causato la parziale scomparsa delle loro caratteristiche distintive. Il gruppo dei dialetti Gan rappresenta un anello di congiunzione tra i due macrogruppi delle varietà settentrionali e meridionali, poichè essi condividono tratti comuni a entrambi i macrogruppi. 

É interessante notare che, dal punto di vista linguistico e sociolinguistico, esiste un problema di tipo terminologico, e cioè quello relativo alla possibilità di classificare i dialetti cinesi come lingue a sé stanti. Per far luce su tale questione, è necessario prendere in considerazione alcuni aspetti relativi allo studio dei sistemi linguistici, come il binomio langue e parole, la distinzione tra lingua scritta e parlata, specialmente per quanto riguarda la lingua cinese, la definizione dei termini “parola”, “lingua” e “dialetto”.

Il criterio dell’intelligibilità tra sistemi linguistici, inoltre, è fondamentale in un’analisi di questo tipo, accanto al concetto di continuum dialettale. Per quanto riguarda il cinese, la mutua inintelligibilità dei suoi dialetti può portare a considerare le varietà regionali della lingua cinese come lingue differenti, e la lingua cinese come una “famiglia di lingue”.

Tuttavia, un’analisi basata su criteri extralinguistici può rivelare l’esatto contrario. Lingue e dialetti, infatti, non si distinguono unicamente in base a criteri strettamente linguistici, ma anche in base a criteri culturali e sociolinguistici. Il concetto di unità identitario/culturale creato da una lingua all’interno di una comunità di parlanti è essenziale, in questo senso, per spiegare cos’è la lingua cinese poiché include differenze, e omogeneità, lontane dall’essere solo linguistiche.

Il riconoscimento dello status di dialetto alle varietà regionali della lingua cinese riflette la coscienza della maggior parte dei Cinesi di parlare forme dialettali, anche non mutualmente comprensibili, di una lingua unitaria. Tale consapevolezza è supportata dall’utilizzo di un sistema di scrittura unitario e unico nel suo genere, che è portatore, tramite gli hanzi (i caratteri usati dal popolo Han) di un valore culturale e sociale senza paragoni.

L’analisi di altre questioni terminologiche, come la descrizione del significato dei termini hanyu, “lingua cinese parlata”, e zhongwen, “lingua cinese scritta”, gioca un ruolo importante nell’indagine sul significato del termine “lingua cinese”. Infine, il cinese standard e i dialetti cinesi possono essere inseriti all’interno del quadro linguistico sino-tibetano

Tra i temi di attualità, le manifestazioni scoppiate nel luglio 2010 nella città di Canton, contro il progetto di incrementare il numero dei programmi trasmessi in putonghua da una nota emittente televisiva della città, mettono in luce come questioni che paiono prettamente linguistiche possano minare l’armonia della società cinese.

Tra le fonti cinesi analizzate, alcune evidenziano la convinzione di molti nel ritenere che la promozione del putonghua non comporti nessuna minaccia per il dialetto cantonese o per le altre varietà dialettali, mentre altre sottolineano il valore di questo dialetto e la necessità di tutelarlo, in quanto parte integrante della cultura delle aree dove è parlato. Il timore di molti è di vedere cancellati i propri dialetti a seguito della diffusione sempre più pervasiva della lingua ufficiale. Ciò dimostra come il dibattito che riguarda fenomeni linguistici occupi tutt’oggi un posto molto importante all’interno della società poichè i cambiamenti che la interessano sono sempre accompaganti dall’evolversi della lingua, e viceversa. 

La varietà linguistica riscontrabile in Cina è la peculiarità che fa del cinese una lingua unica nel suo genere. Secondo il comunicato intitolato Puji guojia tongyong yuyan wenzi, cujin shehui hexie fazhan (Diffondere la lingua e la scrittura nazionale, promuovere lo sviluppo armonioso della società), pubblicato sul sito internet del Ministero dell’Istruzione della Rpc, i Cinesi considerano il proprio paese come un insieme di dialetti, lingue ed etnie. Normalizzare le funzioni sociali della lingua, anche attraverso la promozione del putonghua, risulta, perciò, necessario per costruire un ambiente armonioso, anche dal punto di vista linguistico e culturale, e raggiungere così l’obiettivo della costruzione di una “società armoniosa socialista” (shehuizhuyi hexie shehui). 

Infine, come ricorda l’articolo intitolato “Shutongwen” he “yutongyin” de lichengbei (Le pietre miliari “il libro la stessa scrittura” e “la lingua lo stesso suono”), reso noto sul sito internet del Ministero dell’Istruzione cinese, la politica linguistica messa in atto dal governo della Rpc, oltre a contribuire alla creazione di una “società armoniosa socialista”, accresce la fiducia degli stranieri verso lo studio della lingua cinese e fa sì che il putonghua diventi più competitivo a livello internazionale. La diffusione su larga scala del putonghua potrà aumentare il potere di attrattiva della Cina sul resto del mondo e diventare, così, un efficace strumento di soft power

* Natalia Francesca Riva natalia.riva82[@]gmail.com nel 2006 ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Milano, la laurea triennale in Mediazione Linguistica e Culturale, specializzandosi in lingua cinese e inglese. Dopo due anni trascorsi in Cina, nel 2011 ha conseguito, presso lo stesso ateneo, il titolo di laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale. Attualmente è docente di lingua cinese presso l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano ed è iscritta al corso di Dottorato di Ricerca in Storia, Istituzioni e Relazioni Internazionali dell’Asia e dell’Africa Moderna e Contemporanea, presso l’Università degli Studi di Cagliari. 

** Questa tesi è stata discussa presso l’Università degli Studi di Milano: relatore prof.ssa Clara Bulfoni, correlatore Alessandra Lavagnino.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]