Sinologie – Il porto del Pireo e il gruppo COSCO

In Cina, Relazioni Internazionali, Sinologie by Redazione

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La China Ocean Shipping Company, nota con l’acronimo COSCO, è una compagnia di Stato cinese che si occupa del trasporto di container per via marittima con sede a Shanghai. Essa possiede un capitale registrato di 15.96 miliardi di yuan (l’equivalente di circa 2.07 miliardi di euro) ed è la quinta compagnia più grande del mondo come terminal operator di container, tant’è che fino a novembre del 2017, contava 291 imprese distribuite tra la Cina e il resto del mondo.

Nel 2009, il gruppo COSCO ottenne una concessione dal governo greco per operare sul molo II e sul molo III del porto del Pireo per un periodo di 35 anni, mentre il molo I doveva rimanere ancora sotto il controllo dell’Autorità Portuale del Pireo. Questa concessione è costata alla compagnia cinese “solamente” 50 milioni di euro, più una percentuale sui ricavi annuali che, secondo alcune stime, durante i 35 anni di concessione dovrebbe raggiungere i 4.3 miliardi di euro.

La gestione COSCO ha prodotto un aumento del volume dei container trattati, il quale è salito vertiginosamente da 0.7 milioni TEU del 2009, a 3.6 milioni TEU del 2014. In più, a settembre del 2013, la compagnia ha fatto un ulteriore investimento di 230 milioni di euro per espandere il molo III e di conseguenza portare il volume di produzione a 6.2 milioni TEU l’anno.

L’acquisizione della quota di maggioranza del porto del Pireo da parte della compagnia cinese è stata completata il 10 agosto del 2016, quando COSCO ha acquistato dall’Autorità Portuale del Pireo il 51% del porto per 280.5 milioni di euro, con un ulteriore 16% che si aggiungerà nei prossimi anni con un investimento di altri 88 milioni di euro. In questo modo, oltre all’acquisizione di tutti e tre i moli del Pireo, la compagnia cinese ha acquisito anche il porto per i traghetti, il porto per le navi da crociera, il terminal automobilistico, gli impianti per le riparazioni delle navi e tutti i beni immobili adiacenti al porto.

Nonostante la quota maggioritaria del Pireo sia stata acquisita nel 2016 e quindi il porto sia diventato formalmente di proprietà cinese, la Grecia ha aderito alla BRI solamente il 27 Agosto del 2018, quando il ministro degli affari esteri greco, Nikos Kotzias, e la sua controparte cinese, Wang Yi (王毅), hanno firmato un memorandum d’intesa per stringere dei legami ancora più forti tra le due nazioni, facendo sì che Atene possa diventare un centro economico di grande rilevanza e che soprattutto possa rappresentare la “porta d’ingresso” della Nuova Via della Seta in Europa.

Per questo motivo, il primo ministro greco Alexīs Tsipras ha dichiarato che “la Grecia è la prima tappa del viaggio della Cina verso l’Europa e può diventare un ponte tra l’Asia e l’Europa.”

In questo modo, egli ha voluto evidenziare la posizione strategica del Pireo e la sua importanza per la via della seta marittima del XXI secolo, dato che questa iniziativa aprirà nuove prospettive nelle relazioni sino-greche.

D’altra parte, il governo cinese ha dichiarato che l’acquisizione del porto greco da parte del gruppo COSCO riassume perfettamente quelli che sono i cinque pilastri della BRI: il coordinamento politico, la connessione tra le strutture, il commercio senza ostacoli, l’integrazione finanziaria e i legami tra le varie popolazioni.

Implicazioni geopolitiche

Perché la Cina ha bisogno del porto del Pireo? Così come per il porto di Gwadar citato nel capitolo precedente, Pechino ha bisogno di uno sbocco sul Mar Mediterraneo che gli possa permettere un accesso diretto ai mercati europei. Poiché la Grecia è situata nella penisola balcanica e quindi nella parte orientale dell’Europa, essa rappresenta l’ingresso della BRI verso il vecchio continente.

Partendo dal porto greco, si possono aprire nuove rotte commerciali, non solo verso il continente europeo, ma anche verso il continente africano, dove il governo cinese sta attuando da parecchi decenni investimenti significativi per la costruzione di nuove infrastrutture e per collegare i vari porti tra loro. Come si può notare dalla figura 4, il porto del Pireo non è l’unico progetto infrastrutturale “europeo” o “africano” iniziato dalla Cina, e COSCO non è nemmeno l’unica compagnia di stato cinese ad avere effettuato degli investimenti nel settore marittimo.

Comunque sia, l’acquisizione dello scalo greco porterà la Cina ad avere un ruolo rilevante nei commerci in Europa, rafforzando inoltre il suo ruolo di partner commerciale con gli altri Paesi e la sua influenza negli affari internazionali.

Per quel che riguarda la Grecia, schiacciata da una pesante crisi economica iniziata nel 2009, l’acquisizione da parte del gruppo COSCO potrebbe essere una rampa di lancio capace di far uscire Atene da questo incubo. Infatti, la compagnia di Shanghai potrebbe aiutare, in parte, a stabilizzare l’economia greca: sulla base di alcuni studi, il PIL potrebbe alzarsi dello 0.8 % e inoltre, potrebbero essere creati più di 30 mila posti di lavoro entro il 2025. L’intera vicenda riguardante l’acquisizione del porto ha dimostrato che, nonostante l’instabilità economica, la Grecia è ancora in grado di attrarre capitali stranieri per investimenti a lungo termine.

Oltretutto, l’avvento della compagnia cinese potrebbe segnare uno spostamento degli scambi commerciali dal nordovest dell’Europa, al centro e al sudest, favorendo in questo modo gli Stati della penisola balcanica, l’Italia e anche il nord Africa. È chiaro che il porto del Pireo non abbia ancora la stessa capacità di carico di porti come quello di Rotterdam o Anversa, poiché quest’ultimi hanno alle spalle un sistema di infrastrutture che facilitano il trasporto delle merci, tuttavia, come già evidenziato, il controllo del porto da parte del gruppo COSCO, ha segnato un aumento della produttività.

Al di là della prospettiva commerciale, i vantaggi potrebbero vedersi anche dal punto di vista del settore turistico, infatti l’acquisizione cinese potrebbe determinare un aumento dei turisti a causa dell’ampliamento del porto delle navi da crociera, implicando uno sviluppo del settore terziario. Proprio per questo motivo, lo scorso anno, AirChina ha proposto la creazione di nuove rotte dirette da Pechino ad Atene per portare 3 milioni di turisti l’anno nella penisola ellenica. Ciò, indubbiamente, procurerebbe ulteriori entrate alle casse dello Stato greco, tuttavia, condurre milioni di visitatori in così poco tempo nelle terre dell’antica Grecia potrebbe risultare in un turismo tutt’altro che sostenibile, causando danni ad opere ed edifici di inestimabile valore.

17+1: cooperazione tra Cina e CEE

Affinché l’iniziativa BRI abbia successo nell’Europa centrale e orientale, è necessario che tutti i Paesi di questa regione abbiano la volontà di cooperare con il Dragone. Per questo motivo, nel 2012, la Cina ha deciso di creare il “16+1” un modello di cooperazione economica con i Paesi del blocco CEEC (Central and Eastern European Countries, Paesi dell’Europa Centrale e Orientale). Nel gruppo dei 16 Paesi troviamo l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Bulgaria, la Croazia, la Repubblica Ceca, l’Estonia, l’Ungheria, la Lettonia, la Lituania, la Macedonia, il Montenegro, la Polonia, la Romania, la Serbia, la Slovacchia e la Slovenia. Mentre quel numero “1” rappresenta proprio la Cina.

Nel mese di Aprile del 2019, si è tenuto un incontro a Dubrovnik, in Croazia, durante il quale si è decretato l’ingresso della Grecia nel “16+1”, trasformando così questo gruppo nel nuovo “17+1”. In questo modo i rapporti tra Pechino e Atene si sono consolidati ulteriormente.

I Paesi aderenti all’iniziativa si incontrano annualmente, discutendo principalmente sul commercio e sulle iniziative relative ai progetti infrastrutturali. Già nel 2014, durante un incontro a Belgrado, il primo ministro cinese Li Keqiang (李克强) dichiarava:

Europe, home to the largest number of developed countries, has a major role to play in the global political and economic architecture. China and the EU are now working to build a partnership of peace, growth, reform and civilization. We are natural partners for cooperation as we have no conflict of fundamental interests. [… 16+1] cooperation will play an importance role in facilitating balanced growth within Europe.

In particolar modo, i progetti di cooperazione si concentrano sulle infrastrutture lungo la penisola balcanica, creando delle vie di comunicazione che partono dalla Grecia e dopo aver attraversato Macedonia del Nord e Serbia, raggiungono l’Ungheria ]e finanziando la costruzione di un’autostrada in Montenegro, modernizzando nel contempo la linea ferroviaria che unisce Belgrado e Budapest.Proprio riguardo quest’ultimo progetto, è stato messo a disposizione un finanziamento di 1 miliardo e mezzo di euro al fine di ampliare la linea ferroviaria lunga attualmente 160 chilometri. Inoltre, attraverso questo investimento, la ferrovia sarà utilizzabile sia per il trasporto merci che per il trasporto di passeggeri, in quanto la struttura ferroviaria verrà trasformata in una linea a doppio binario ad alta velocità.

La Cina è passata dall’investire nei Paesi del CEEC 400 milioni di dollari americani nel 2009, a 1.7 miliardi di dollari nel 2014, anche se il 95% di questi investimenti sono stai concentrati solo in alcuni dei Paesi del modello “16+1” come la Repubblica Ceca e la Polonia. Di fatto, la tendenza cinese è quella di investire di preferenza in Paesi economici forti e politicamente stabili.

Le critiche al modello “16+1”/“17+1” non si sono fatte aspettare. L’Europarlamento ha affermato che la formazione di questo modello di cooperazione sia un tentativo da parte della Cina di spaccare l’Europa per indebolirla. La principale preoccupazione riguarda l’utilizzo aggressivo di strumenti di hard power da parte della Cina per influenzare politicamente ed economicamente i Paesi dell’Europa centrale e orientale. D’altronde, da quando i Paesi di questa regione sono stati colpiti dalla crisi del 2009, sembra che l’UE li abbia allontanati progressivamente dalle sue iniziative di politica unitaria, spianando in questo modo la strada alla Cina e alla sua BRI, e consentendo ai Paesi considerati di minor importanza di godere di nuovi capitali e di nuove opportunità di sviluppo.

Va notato che la maggior parte dei Paesi del “17+1” fa parte dell’Unione Europea e gli accordi siglati con la Cina dovrebbero essere conformi alla linee guida e alla politica UE; ciò potrebbe rallentare, se non annullare completamente, l’inizio di alcuni progetti. Ecco perché i Paesi non membri dell’UE, come la Serbia, hanno una maggiore possibilità di collaborare con il partner cinese.

Secondo la Commissione per il Commercio Internazionale dell’Unione Europea, le relazioni commerciali con la Repubblica Popolare Cinese sono in costante aumento, ma con una bilancia sempre sfavorevole all’UE. Gli investimenti cinesi in territorio europeo sono aumentati vertiginosamente, al contrario, gli investimenti europei sul suolo cinese hanno visto un calo progressivo a partire dal 2012, anche a causa di una normativa sfavorevole.

Anche alcuni Paesi del gruppo 17+1, come la Romania, hanno criticato l’efficacia dell’iniziativa, giudicata pressoché inesistente: “troppi progetti annunciati e mai davvero partiti”.

Comunque sia, al 21° vertice UE-Cina, tenutosi il 9 Aprile del 2019, il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha dichiarato:

I negoziati sono stati difficili ma, in definitiva, proficui. Siamo riusciti a concordare una dichiarazione congiunta che stabilisce la direzione del nostro partenariato fondato sulla reciprocità. Questo è stato il nostro sforzo comune e rappresenta il nostro successo comune.

Viene sostenuta, nonostante tutto, l’idea di una politica “win-win” e viene ribadita l’importanza di una complessiva reciprocità, con la speranza che questa possa migliorare le condizioni economiche, politiche e sociali di tutti gli attori coinvolti.

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*Francesco Murgo, siciliano di Grammichele, in provincia di Catania, ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa all’Università di Torino. Attualmente studia Scienze Internazionali (laurea magistrale), profilo China and Global Studies, presso l’università di Torino.

**Questa tesi è stata discussa presso l’Università degli Studi di Torino nell’anno accedemico 2018/2019 con il titolo “La nuova via della seta e le grandi infrastrutture”. Relatore: prof.ssa Stefania Stafutti