SINOLOGIE – I marco polo d’oriente

In by Simone

Sijialiye, le prime descrizioni della Sicilia nei testi geografici e nei diari di viaggio cinesi è una tesi che ripercorre le prime descrizioni geografiche della Sicilia fino all’epoca Ming (XVII sec.). Colpisce sopratutto per la quantità di resoconti. E per le descrizioni dei vulcani.
Fin dai più antichi contatti tra Europa e Cina, è sorta in noi una “sensazione di estraneità” derivante dal confronto non con un estraneo primitivo, ma con una società dalla cultura antica e raffinata, giudicata come chiusa, perché autonoma e autarchica.

Da tempo, regna quindi la consuetudine di considerare la Cina come un universo remoto e inaccessibile, mentre il popolo cinese, al contrario, non ha mai ritenuto di vivere ai confini del mondo.

Piuttosto, è sempre stato convinto di rappresentarne il centro (al punto da nominarsi Zhong guo, ‘terra di mezzo’) e la prolungata assenza di centri di civilizzazione rivali fu uno dei fattori che contribuì maggiormente a una visione del mondo così tradizionale.

Diversamente da quanto generalmente si conosce, la Cina possiede altrettanti Marco Polo, che mossi da ragioni primariamente diplomatiche o commerciali si sono spinti a ovest, lasciandoci una serie di interessanti resoconti.

Il ritrovamento di brevi frammenti dedicati alla Sicilia si è rivelato spesso un’interessante scoperta all’interno di trattazioni più generiche sull’Italia e sull’Europa, utili per darci una visione di come fosse vista in Cina la realtà occidentale dell’epoca, ma soprattutto della qualità e della quantità di notizie che riuscivano a giungervi.

La prima descrizione cinese dell’isola, è anche prima descrizione in assoluto di una regione d’Italia. Risale al 1225 e si deve al modesto doganiere di epoca Song, Zhao Rugua. Egli annotò notizie sui paesi e i popoli esteri, utili a chiunque operasse nell’ambito del commercio, pubblicando un prontuario intitolato Zhufan zhi (Descrizione dei popoli barbari).

Al suo interno la Sicilia è descritta come “un’isola del mare larga mille li” (un li equivale a circa 500 metri) dove si trova “una montagna con una cavità molto profonda” da cui “durante le quattro stagioni fuoriesce del fuoco”.

L’autore è incuriosito dall’usanza della gente del posto che “trasporta su insieme un grande masso pesante, lo getta nella cavità e questo esplode immediatamente in frammenti come di pomice”.

Gli studiosi hanno spiegato questo fenomeno di costume secondo differenti teorie: come una reminiscenza del mito di Polifemo, come interpretazione di una pratica divinatoria del culto di Zeus-Aetneus per la quale si gettavano nel cratere ori e argenti in omaggio alla divinità, o come una tecnica tradizionale di calcolare l’imminenza di una possibile eruzione per evacuare quanto prima i villaggi circostanti.

Dopo di lui Rabban Sauma, un pellegrino appartenente alla chiesa cristiana nestoriana, una setta eretica che dopo il 400 si diffuse dall’Impero romano verso oriente, fino alla Cina.

All’epoca in cui l’Impero mongolo (1271-1368) si estendeva dall’Oceano Pacifico fino all’Europa orientale, egli si mise in viaggio verso Gerusalemme.

Le vicissitudini del suo viaggio non gli consentiranno mai di raggiungere la sua meta, ma fu poi incaricato di un’ambasceria in Europa, che lo portò a incontrare il papa, il re di Francia e il re d’Inghilterra.

Di lui si conserva la descrizione, durante l’attraversamento dello Stretto di Messina, di “una montagna dalla quale per tutto il giorno sale fumo, mentre di notte vi compare il fuoco; nessuno può avventurarsi nei suoi paraggi, a causa dell’odore di zolfo.”

Il vulcano da lui descritto è stato variamente identificato come lo Stromboli, il Vesuvio o l’Etna, ma avendo notizia di un’eruzione di quest’ultimo avvenuta il 18 giugno del 1287, sembrerebbe essere proprio l’Etna “la montagna dalla quale tutto il giorno sale fumo, mentre di notte vi compare il fuoco”.

Saranno soprattutto i padri gesuiti, vero tramite tra il sapere occidentale e orientale, a descrivere nelle loro opere geografiche l’Occidente al popolo cinese, nel tentativo di segnare un avvicinamento tra i due mondi.

Nel XVI secolo, durante il dominio della dinastia Ming (1368-1644), si creò una situazione di particolare sviluppo dei contatti con l’Occidente, all’interno della quale i gesuiti rivestirono posizioni culturalmente molto elevate e un importante ruolo nella promozione della reciproca conoscenza di Cina ed Europa.

La loro presenza avviò un vivace fermento culturale nel mondo intellettuale cinese. Ovviamente il loro fine ultimo era quello della conversione alla religione cattolica, ma portarono a un lento crescendo di interesse verso l’Occidente.

Il pioniere in questa impresa fu l’italiano Matteo Ricci, per il quale, alla sua morte, l’11 maggio 1610, si ebbe per la prima volta nella storia della Cina la concessione di un terreno dello stato per la sepoltura di uno straniero.

Giunto a Macao nel 1582, riuscì a raggiungere Pechino solo nel 1601. Durante la sua vita si sforzò non solo di comunicare ai cinesi le sue conoscenze, ma soprattutto non tralasciò di penetrare sempre più nella scienza e nella cultura cinese, intuendo i bisogni della Cina.

L’attenzione verso la Sicilia si ritrova anche in una breve didascalia all’interno del suo Mappamondo elaborato per far conoscere l’Europa e il mondo ai letterati cinesi e corredato di annotazioni e brevi descrizioni dei diversi luoghi.

Quest’opera fu il risultato di una straordinaria opera di conciliazione della storia della cartografia occidentale e orientale: Ricci, infatti, pose al centro della carta l’Asia, con a destra le Americhe e a sinistra l’Europa, dando alla Cina una posizione privilegiata per non offendere i suoi interlocutori.

Ciò da cui alcuni furono rassicurati fu il fatto di notare quanto distasse dalla Cina la terra da cui provenivano i gesuiti, e come, per questa ragione, essa non potesse rappresentare alcuna fonte di minaccia di invasione.

Nella sua carta, la Sicilia è una delle poche zone dell’area mediterranea, per piccola che fosse, ad avere dedicata un’annotazione, oltre a un toponimo cinese, un neologismo che egli stesso elaborò: Xīqílǐya.

Anche qui ritorna fortemente l’elemento vulcanico dell’isola che “ha due monti: uno emette costantemente un gran fuoco, l’altro emette fumo senza sosta giorno e notte”, sicuramente l’Etna e lo Stromboli.

Se Matteo Ricci può essere considerato come colui che aprì le porte fino ad allora sigillate dell’impero cinese, altri furono i gesuiti che dopo di lui si guadagnarono una stima altrettanto considerevole presso gli intellettuali del paese.

Tra questi vi fu il bresciano Giulio Aleni, giunto in Cina con la successiva generazione di missionari, e noto come ‘il Confucio d’Occidente’.

La sua è la trattazione più complessa sull’isola, ripresa poi da un altro gesuita, Ferdinand Verbiest, poichè ci offre una descrizione dettagliata dei tratti fisici e naturalistici dell’isola e delle attitudini dei siciliani, per passare poi al racconto della vita di due personaggi illustri e mitologici, Archimede e Dedalo.

È contenuta nel Zhifan waiji, pubblicato ad Hangzhou nel 1623, letteralmente traducibile come Note su [i paesi] al di fuori [della giurisdizione] del Geografo Imperiale, ma abbreviato in Geografia dei paesi stranieri alla Cina.

Egli racconta che “le isole più note dell’Italia sono tre; una di queste è la Sicilia, terra estremamente fertile e ricca. Definita dalla tradizione il granaio, il tesoro e l’anima del paese, tutte espressioni che definiscono la sua bellezza e popolosità.

Inoltre vi è una grande montagna che erutta fuoco incessantemente; cento anni fa tale fuoco fu talmente eccezionale che la cenere volò direttamente oltre il mare e raggiunse i confini della Libia [nome con cui in Cina si intendeva l’Africa intera].

Tutt’intorno la montagna è molto verde; la neve che vi si accumula non si scioglie, ma si trasforma frequentemente in roccia cristallina. Vi sono anche sorgenti di acqua bollente simile all’aceto, dove tutto ciò che vi cade dentro diventa nero.

I suoi abitanti sono molto intelligenti e propensi alla conversazione: le persone in Occidente li definiscono ‘gente dalle tre lingue’. Sono molto esperti in astronomia: il metodo di costruzione della meridiana ebbe inizio in questa terra. Ci fu un ingegnoso artigiano, chiamato Dedalo, che fabbricò cento uccelli che potevano volare da soli […].

Inoltre ci fu un astronomo di nome Archimede […]. Costruì un enorme specchio che, riflettendo il sole, lo concentrava per irradiare le barche nemiche e i raggi divampati svilupparono un incendio che in un attimo arse diverse centinaia di imbarcazioni. Inoltre, il re ordinò di costruire una gigantesca nave per solcare i mari; ultimata la nave, al momento di metterla in mare, si calcolò che anche […] utilizzando mille o diecimila buoi, cavalli e cammelli, la nave non si sarebbe potuta trasportare; ma Archimede escogitò un modo intelligente per trasportarla, che fece sì che, appena il re sollevò la mano, la nave, come una montagna, si mosse e in un istante discese in mare. […]”.

Gesuita belga, Verbiest mantenne il titolo di Direttore dell’Osservatorio astronomico di Pechino, assegnatogli dal Ministro dei Riti, fino alla sua morte: da questa posizione poté dare avvio a una serie di attività scientifiche volte a mantenere le simpatie dell’imperatore.

I suoi servizi, divenuti indispensabili non solo per l’imperatore in persona, ma anche per gli ufficiali e i funzionari di corte, lo elevarono al secondo grado nella gerarchia dei mandarini.

Per soddisfare il desiderio dell’imperatore Kangxi di avere maggiori informazioni sugli stranieri che giungevano presso l’impero cinese, nel 1674 Verbiest disegnò un atlante del mondo, il Kunyu quantu (Mappa completa del mondo).

La descrizione della Sicilia contenuta nella sua opera ricalca completamente quella di Aleni, ma è utile notare un’accortezza stilistica adottata nel raccontare l’episodio dell’invenzione della leva: se in Ricci possiamo tradurre letteralmente “appena [Archimede] ordinò al re di alzare la mano, la nave, come una montagna, si mosse’.

Verbiest elimina completamente l’idea di comando, secondo un ipotizzabile rispetto verso la figura dell’imperatore presso il quale prestava i suoi servigi e dal quale sapeva che sarebbe dipeso il proseguo della sua attività scientifica e missionaria. Abbiamo quindi semplicemente “appena sollevò la mano, la nave si mosse come una montagna”.

Le opere di questi ultimi due autori sono state fonte di ispirazione per le trattazioni successive che, dall’epoca dei Ming in poi, hanno esplorato la Sicilia e l’Occidente sempre più in profondità, passando da un interesse primariamente commerciale e geografico a un’attrazione sempre più culturale e intellettuale.

Sebbene scaglionati nel corso di circa cinque secoli, e sottoposti ai più diversi influssi di carattere sociale e culturale, la costante riscontrabile in tutti i testi presi in esame è la particolare attrazione suscitata dalla “grande montagna che emette fuoco”: è il vulcano, variamente descritto nella sua fisicità e attività, e variamente identificato negli studi successivi su tali opere come l’Etna o lo Stromboli.

L’interesse per questo elemento da parte degli autori cinesi deriva forse dalla curiosità sorta dal fatto che la Cina non sia una terra propriamente vulcanica, mentre per gli autori italiani può essere dettato dalla volontà di descrivere un elemento naturale attorno al quale, e per diretta conseguenza del quale, l’isola si estende, oltre che un simbolo identitario per la civiltà che la popolava e la società che la abita tuttora.

Il caso esemplificativo e simbolico dell’approdo dell’immagine della Sicilia nel Regno di Mezzo, offre quindi uno spunto per una nuova prospettiva di analisi della progressiva acquisizione in Cina di conoscenze sull’Occidente e offre una possibilità di cogliere inaspettate vicinanze e scoprire inattesi interessi comuni tra noi e il Regno di Mezzo.

*Renata Vinci
renata7[@]iol.it ha studiato Scienze linguistiche e comunicazione interculturale presso l’Università per Stranieri di Siena dove si è laureata nel 2011 con una tesi in lingua e letteratura cinese sulle descrizioni della Sicilia nei testi geografici e nei diari di viaggio cinesi fino all’epoca Qing. Ha insegnato italiano in diverse università cinesi. Tutt’oggi collabora con l’Università per Stranieri di Siena come formatore e tutor degli studenti cinesi. Nella Biblioteca Comunale di Montepulciano si occupa della catalogazione di un fondo cinese.

** Questa tesi è stata discussa presso l’ Università per Stranieri di Siena. Relatrice: prof.ssa Anna di Toro. Correlatore: prof. Maurizio Sangalli.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]