Sì, in Cina esistono le elezioni e ci sono anche dei candidati indipendenti

In by Simone

Il gigante cinese si sta esercitando in una inusuale sfida con la democrazia, nell’era di internet. Sono iniziate a maggio e dureranno un anno circa: incredibile a dirsi, si tratta delle elezioni cinesi. La novità di quest’anno è l’alto numero di candidati indipendenti che utilizzano il web per fare contro propaganda al PCC. Una consultazione che avviene ogni cinque anni, che eleggerà i rappresentanti cinesi a livello cittadino e di villaggio. Si tratta di una rappresentanza lontana dalle stanze dei bottoni, ma è l’unico segnale di democrazia all’occidentale presente nel sistema locale, con le proprie necessarie caratteristiche: per essere eletti basta raccogliere dieci firme, in teoria.

Solitamente infatti il Partito controlla tutto, mandando in prima linea gli elementi favoriti e congeniali. Da sempre, dal 1980 quando venne istituita la consultazione democratica popolare, si sono presentati candidati indipendenti, più o meno osteggiati dalle autorità ufficiali. Quest’anno però il problema si pone in numeri e modalità inaspettate perfino per l’apparente onnicomprensivo Partito comunista cinese: secondo il World and China Institute di Pechino, sarebbero almeno un centinaio i candidati indipendenti che hanno annunciato di presentarsi alle elezioni.

Quello che più conta, è che questi potenziali rappresentanti sono attivissimi on line. Si tratta di personalità varie, scrittori e contadini, intellettuali e piccoli imprenditori, che hanno creato una propria base di consenso nel mondo del web cinese (il più vasto al mondo coi suoi 480 milioni di utenti), attraverso microblog, i twitter locali, o piattaforme di blog e che ora passano alla ricompensa. Persone che a livello locale hanno attirato l’attenzione su di sé, finendo per avere nei propri profili migliaia di seguaci. Un bel grattacapo per il Partito, impegnato in questo periodo ad insegnare ai quadri del futuro la potenzialità di internet.

Ieri Chen Baosheng uno dei boss della Scuola di Partito, su un sito di news cinesi specificava che «il marketing, internet e la democrazia, sono un miracolo umano». C’è un ma, naturalmente: «ma su internet bisogna saper distinguere quello che è vero da quello che non lo è».

Il Global Times – quotidiano in inglese – in un suo editoriale riferito agli audaci indipendenti del web, sentenziava che «per i microblog è l’ora di tornare coi piedi per terra». I candidati da parte loro denunciano ostracismi e difficoltà legali. Un lavoratore ha spiegato alla stampa straniera di essere stato sottoposto a «giochetti sporchi», come ad esempio l’intimazione di trovare in sei ore dieci firme, pena l’annullamento della candidatura.

Li Chengpeng, autore e critico, si presenterà nel Sichuan. A quanto ha scritto sul suo blog avrebbe ottenuto il voto, promesso, anche di un poliziotto locale. Altri raccontano invece le ragioni del proprio impegno. Yao Bo, un giornalista, con 30 mila follower, la mette sul didascalico: «voglio spiegare alla gente che esistono dei diritti e che possono esercitarli». La sua candidatura è una delle più antipatiche per il Partito, perché non si tratta propriamente di uno sconosciuto: Yao nel 2008 era tra i firmatari di Charta08, motivo ancora attuale della condanna a 11 anni di prigione del premio Nobel Liu Xiaobo. Di Yao si sarebbero occupati direttamente i servizi segreti locali, intimandogli di lasciare perdere.

Nessuna sorpresa, quindi, anche se non tutti all’interno del Partito la pensano allo stesso modo. Study Times, giornale pubblicato dall’accademia degli ufficiali, scriveva che «potersi candidare solo se qualcuno permette la candidatura è una seria violazione dei principi democratici socialisti».

[Pubblicato su Il Fatto Quotidiano di giovedì 23 giugno]