Se il Partito ha troppi iscritti

In by Simone

Il Partito comunista cinese ha oltre 82 milioni di iscritti, quanto la popolazione della Germania. Si tratta del 6 per cento della popolazione cinese. È un numero che cresce di circa uno o due milioni di persone ogni anno. Non sarebbe il caso di cominciare a sfoltirlo fino farlo tornare al "ragionevole" numero di 50 milioni di persone?
Uno spettro s’aggira per la Cina. E non solo uno. Sono almeno 30 milioni. Il Partito comunista cinese si trova improvvisamente a fare i conti con i suoi fantasmi. È addirittura un quindicinale governativo a sollevare la questione. E piano piano tutti gli organi di stampa gli fanno eco. Il Partito comunista cinese ha oltre 82 milioni di iscritti, quanto la popolazione della Germania. Si tratta del 6 per cento della popolazione cinese. È un numero che cresce di circa uno o due milioni di persone ogni anno. Non sarebbe il caso di cominciare a sfoltirlo fino farlo tornare al "ragionevole" numero di 50 milioni di persone?

È stato un membro del Partito, il professore Zhang Xi’en che insegna scienze politiche all’Università dello Shandong, a sollevare per primo la questione. I bolscevichi erano “solo” 240mila quando presero il potere in Russia nel 1917 e poi, quando nel 1991 raggiunsero i 19 milioni di iscritti cominciarono a perderlo. Una “tragica lezione su cosa accade quando un partito cresce a dismisura senza dotarsi di un meccanismo che permetta ai propri membri di uscirne”.

E la Cina dovrebbe imparare dalla storia e dagli errori commessi nel passato. Seppure il giuramento di fedeltà dei giovani pionieri recita di amare – nell’ordine – il Partito, la Patria e il popolo sono in molti a iscriversi solo per i vantaggi che comporta. E poi ci sono quelli troppo vecchi, o troppo giovani. Insomma, pur non volendo fissare un numero ottimale di “comunisti”, Zhang sostiene che quello attuale si potrebbe tranquillamente tagliare del dieci per cento. E infatti scrive: “Molte persone, inclusi alcuni speculatori, cercano il loro tornaconto personale professandosi membri del partito al governo. Questo mette il Partito in grave pericolo”.

Sì, perché è vero che gli studenti universitari eccellenti sono quasi automaticamente invitati a tesserarsi, ma è anche vero che si contano sulla punta della dita i professori che non sono iscritti. Poi ci sono quelli che entrano per raccomandazione – le famose guanxi (relazioni) che dominano ogni aspetto della vita sociale e lavorativa nell’ex Impero di Mezzo – e quelli che fanno richiesta ogni anno fino a trovare un “anziano” abbastanza potente e fiducioso in loro che possa fargli da garanzia. Negli ultimi vent’anni poi il Partito si è esteso fino ad includere gli uomini d’affari, prima assolutamente esclusi, e le minoranze etniche.

Insomma, il Partito comunista cinese – essendo di fatto l’unico partito della Repubblica popolare – ha inglobato in sé tutte le classi sociali e le contraddizioni della nuova Cina fino a diventare un organo della vita pubblica che porta in seno opinioni e volontà contrastanti. E una volta che si è membri è difficile uscirne. Oggi è opinione comune che solo coloro che si sono macchiati di gravi errori politici possano essere espulsi, mentre il rinunciarvi non è nemmeno contemplato. E questo nonostante l’atto costitutivo sancisca il diritto dei singoli individui di “partecipare o ritirarsi liberamente”. Ma, ci spiega il professor Zhang, “i tempi sono cambiati. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di incoraggiare ognuno a dire la sua. Non è più tempo dell’omologazione del pensiero”.

[Scritto per Il Fatto Quotidiano; foto credits: ibtimes.com]