Prato, Marco Wong racconta la comunità cinese in tempo di pandemia

In Cina, Sinoitaliani by Redazione

Nato a Bologna, laureato in ingegneria elettronica presso il Politecnico di Milano e con esperienza in campo manageriale nelle più importanti aziende italiane, Marco Wong da giugno 2019 è il primo consigliere comunale di origini cinesi nella storia della politica italiana e portavoce della comunità cinese di Prato, terza in Europa per le sue dimensioni dopo Londra e Parigi. China Files lo ha intervistato.

Dottor Wong, ci racconti un po’ di lei. Da top manager a consigliere comunale, come mai ha deciso di entrare in politica?

“Quando il mio incarico in Sud America stava volgendo al termine si prospettava una scelta per la nostra famiglia, e cioè se andare a vivere in Italia o in Cina. Ci preoccupava l’idea che i miei figli potessero vivere episodi di discriminazione come erano capitati a me. Una volta tornati a vivere in Italia definitivamente nel 2002, mi resi conto che il clima verso gli stranieri era cambiato rispetto a quando avevo lasciato il paese ed era cresciuto il pregiudizio quindi, per questo motivo, nel tempo libero scelsi di impegnarmi in attività sociali che potessero migliorare quella situazione. Di certo tutto ciò non bastava e, solo più tardi, fui consapevole del fatto che fosse necessario lavorare anche sulla politica e cominciai gradualmente ad interessarmi di politica attiva.”

Come sta affrontando la pandemia la comunità cinese di Prato?

“Nel corso della prima ondata la comunità cinese di Prato ha raggiunto una determinata consapevolezza sui rischi del virus, in anticipo rispetto agli altri, grazie soprattutto alle informazioni che provenivano dalla Cina nelle varie chat. Di conseguenza molti hanno assunto un atteggiamento di grande prudenza, con il distanziamento sociale o l’utilizzo dei vari dispositivi di protezione come le mascherine, anticipando in questo modo gli obblighi definiti solo successivamente nei vari DPCM ed avviando per di più un dialogo con le varie istituzioni preposte. Purtroppo nella seconda ondata si sono verificati casi di contagio anche tra gli stessi cinesi e questi episodi hanno scaturito nuovamente una grande preoccupazione per il virus, portando la comunità cinese ad assumere un comportamento molto prudente e ancor più severo rispetto agli ultimi provvedimenti emanati dal governo italiano. Ci sono stati alcuni nuclei familiari che hanno deciso di mandare i loro congiunti o figli in Cina perché ritenevano più sicura la situazione nel paese d’origine mentre per quanto riguarda la scuola, la didattica a distanza è la modalità di insegnamento più sostenuta dalla comunità. Oltre a ciò, sono state portate avanti varie iniziative spontanee come ad esempio un tracciamento volontario dove vengono registrati i dati personali all’interno di una chat, per permettere agli utenti di ricostruire i loro spostamenti in caso di eventuali contagi. Bisogna sottolineare poi l’impegno dimostrato da alcune associazioni che durante la prima ondata si sono prodigate per donare mascherine, difficilissime da reperire in Italia nei mesi di marzo e aprile, o materiale medico sanitario. Per la seconda ondata, invece, sono stati organizzati dei presidi per tamponi rapidi in modo da aiutare il personale medico ad individuare possibili focolai”.

A proposito della scuola. Già lo scorso settembre, quando il clima era decisamente più sereno di adesso, circolava la notizia in alcune testate locali e nazionali dell’assenza di studenti cinesi nelle scuole di Prato, è così?

“Come ho accennato nella risposta precedente, numerose famiglie sono tuttora molto preoccupate e preferiscono non mandare i propri figli a scuola; alcune di queste hanno optato per la didattica a distanza, altre invece stanno considerando la possibilità di far frequentare ai figli le scuole in Cina. Il Comune di Prato ha in ogni caso intrapreso valide attività di informazione e coinvolgimento, affinché le famiglie possano essere sempre informate sulle misure di sicurezza ed esprimere i loro dubbi in merito.”

Secondo lei che cosa ha funzionato in Cina e cosa non ha funzionato in Italia nella lotta al Covid-19?

“Si fanno spesso paragoni sull’approccio alla pandemia sviluppato nelle varie nazioni ma i sistemi socio-culturali ovviamente sono diversi e ciò che è possibile in un paese non lo è in un altro. Ad esempio le app di tracciamento anti-Covid, che hanno svolto un ruolo importante in Cina e in altri paesi asiatici, in Italia non hanno funzionato così come le mascherine delle quali abbiamo visto come si sia verificata una forte resistenza al loro utilizzo; in Cina vengono indossate normalmente dai cittadini già da un po’ di anni anche durante il periodo invernale.”

Come sono i rapporti tra la comunità italiana pratese e quella cinese?

“La pandemia in alcuni momenti ha forse aiutato a capire quanto i destini delle varie comunità, che condividono lo stesso territorio, siano intrecciati tra di loro ed il lockdown prolungato nelle aree frequentate dai cinesi ha fatto intuire a tutti quanti la risposta alla seguente domanda: ‘cosa succederebbe se i cinesi andassero via?’”.

Marco Wong è un cittadino sinoitaliano orgoglioso della sua storia e della sua comunità. Ne rivendica il ruolo fondamentale nella vita della realtà pratese e sottolinea, che oggi, questa osmosi fra la realtà italiana e quella cinese è irrinunciabile. Un messaggio di grande speranza per il futuro del dopo Covid.

di Ilary Langeli

*Docente di lingua italiana per studenti cinesi presso Accademia di Belle Arti di Perugia