Potere e società in Cina

In by Simone

Storie di resistenza attraverso cui si osserva la modernizzazione di un paese. Uno sviluppo sostanzialmente capitalistico dentro un involucro autoritario di stampo comunista. Le mille contraddizioni di un paese lontano dal nostro ma sempre più legato al destino di tutti. China Files vi regala un brano di Potere e società in Cina (per gentile concessione di edizioni dell’asino).
Vi sono tempi e luoghi in cui la Storia fa irruzione nelle vite umane con una forza così dirompente che ogni singolo individuo si ritrova a essere rappresentazione compiuta e protagonista a suo modo di quel processo, a prescindere dalla volontà, dal potere, dal ruolo sociale che gli appartengono. Ciò avviene soprattutto nel momento delle rivoluzioni e delle grandi trasformazioni che cambiano pelle a interi paesi. È quanto sta avvenendo in Cina, e le vite di cinesi che questo libro racconta lo testimoniano.

La grande trasformazione che le loro esistenze riflettono e testimoniano si sta dispiegando da oltre un trentennio, quello che più compiutamente ha catapultato la Repubblica popolare nel mondo, con un impeto tale che non solo è cambiato un paese delle dimensioni di un impero, ma il mondo medesimo non ha potuto più essere lo stesso. In verità, il karma universale, o spirito della storia che dir si voglia, aveva già riservato alla Cina un Novecento che, dall’inizio alla fine, non ha dato ai cinesi un attimo di tregua, quasi dovessero pagare lo scotto di quei duemila anni di impero percepiti dall’esterno come immobile cosmogonia in eterna riproduzione di se stessa.

E il dibattito è aperto su quanto le radici di quest’ultimo trentennio affondino dentro quel terreno travagliato dalla fine repentina dell’impero, da una guerra civile, da un conflitto atroce con l’invasore nemico e vicino, da una rivoluzione pressoché permanente. Un secolo di singolare “modernità”, in definitiva. Tale che non si può dire corretta l’immagine di un passaggio subitaneo dal Medioevo alla contemporaneità che taluni attribuiscono all’ultima Cina. Ma non c’è dubbio che, arrivati senza fiato alla fine degli anni settanta, i cinesi siano stati di nuovo sospinti dal vortice accelerato di un’altra storia che non ha risparmiato neppure i recessi più periferici e isolati dell’antica Terra di Mezzo.

La forza centrifuga di quel vortice ha scomposto i connotati dell’intera società, scagliandoli con veemenza in un’orbita di cambiamento incontrollabile che ha lasciato il popolo cinese frantumato, diviso e sconnesso, un enorme pugno di granelli di sabbia dentro una clessidra che gli eventi rigiravano a tutta velocità. Lo scrittore Yu Hua nel suo La Cina in dieci parole (Feltrinelli 2012) indica proprio nei fatti di piazza Tian’anmen un punto di svolta. Quell’evento epico e tragico costituì, scrive, “l’ultimo e definitivo sfogo di una passione politica che si era sedimentata durante la Rivoluzione culturale, dopodiché la passione per il denaro ha preso il suo posto”.

Con la corsa all’arricchimento degli anni novanta, narra ancora Yu, “sono piovuti dal cielo termini nuovi di zecca: internauti che navigano in internet, azionisti che giocano in Borsa, detentori di fondi, fan di star, operai disoccupati, contadini migranti ecc. Parole che stanno spezzettando, smembrando, un vocabolo ormai sbiadito come ‘popolo” il quale, scrive ancora, “nella realtà cinese sembra un termine vuoto (…) una società di comodo che per essere quotata in Borsa si riempie di contenuti differenti a seconda della fase”.

Un cantiere aperto che sfida la comprensione Il dibattito è aperto sui connotati assunti oggi dalla Cina, la cui mutazione senza precedenti, per entità e velocità, continua ad affastellare contraddizioni paradossali: partito unico, sedicente comunista, e capitalismo selvaggio; onnipresenza dello stato e individualismo sregolato; sorveglianza capillare e censoria e una comunità ribollente di 570 milioni di internauti; crescita della ricchezza e ineguaglianze abissali di reddito, conflitti sociali, economici e ambientali fortissimi e tenuta del sistema stato-partito; disillusione, scontento, quando non disprezzo, verso i governanti e la corruzione che li pervade e identificazione forte con la potenza della nazione.

La seconda economia mondiale, ormai prossima a diventare prima, è un ircocervo, un ibrido che sfida tutte le categorie di interpretazione e continua a smentire ogni previsione, prima fra tutte quella che il libero mercato avrebbe portato inevitabilmente alla democrazia in senso occidentale. E ci sarebbe da riflettere su quella previsione, ora che la democrazia occidentale annaspa sotto i colpi dell’economicismo fuori controllo e del profitto über alles, che svuotano il senso della politica. In questo la Repubblica popolare non è una terra straniera e ancor più oggi appare come uno specchio che ingrandisce a dismisura un modello, anche nostro, portandolo ai suoi limiti estremi.

Quindi la Cina ci riguarda profondamente, ma, non riuscendo a osservare lucidamente noi stessi, non riusciamo a decifrare neppure quello che in definitiva è il frutto più compiuto dell’attuale modernità. Nel 2011 la rivista americana “Boundary 2” ha dedicato il suo numero di primavera a una riflessione critica sulla Cina degli ultimi trent’anni. Nell’introduzione uno dei curatori, Q.S.Tong, riguardo al problema posto dalla lettura del fenomeno cinese scrive: “Trent’anni dopo la riforma la Cina emerge come un luogo di paradossi, incoerenze e discontinuità, un esempio di quello che, in un differente contesto, Jurgen Habermas ha definito la ‘nuova oscurità’ del nostro tempo. Il linguaggio di cui disponiamo è sempre più inadeguato e inefficace per una descrizione analitica delle attuali condizioni della Cina, specialmente del modello sociopolitico di sviluppo”.

Chi oggi osserva la Cina e deve descriverla si trova dunque di fronte a un problema epistemologico non facile da risolvere per la singolarità del soggetto, non da oggi croce e delizia delle teorizzazioni occidentali. Un sociologo attento ai fenomeni cinesi come Jean Louis Rocca (ne La società cinese, Il Mulino 2011), nel premettere che “la Cina, più di qualsiasi altro paese, pone un problema ai suoi studiosi”, mette in guardia sulla rigidità delle due interpretazioni ancora oggi prevalenti. Una è definita dal sociologo “essenzialismo culturale”, e approda alla constatazione di una irriducibile diversità per cui “i cinesi ‘non sono come noi’”. L’altra invece insiste “sull’universalismo dei percorsi storici e sociali” ai quali neppure la Cina può sfuggire. Leva potente e primaria lo sviluppo economico, che “farebbe convergere progressivamente verso un modello comune – la modernità – caratterizzato dalla presenza di un mercato regolato, da una forma di democrazia elettiva e dal trionfo dell’individualismo”.

In questo quadro, “quello che si tratta di mettere in luce e analizzare sono i meccanismi di transizione che la condurranno in porto e i blocchi che potranno rendere il suo percorso difficile o caotico”. La conclusione di questa lettura è che “i cinesi sono come noi, semplicemente hanno bisogno di più tempo per realizzare l’essere universale”. L’oscillazione fra i due approcci, rileva il sociologo francese, non è nuova e si è dipanata nel corso della storia in forme diverse. E oggi si riproduce. Rocca smonta entrambe le ipotesi di lettura: non ci sono scorciatoie e ci si potrà avvicinare alla complessità del soggetto solo con uno studio costante, attento e rigoroso che egli focalizza sulla società e sulle sue dinamiche per far emergere il reale in tutta la sua varietà.

Un lavoro immane. Il cantiere Cina infatti è ancora tutto aperto, al pari dei cantieri reali che continuano a cambiare fisionomia alle città a ritmi incalzanti, costringendo i cinesi a una continua elaborazione di strategie di vita per cavalcare i cambiamenti ed evitare di essere sbalzati di sella. Osservarli è un lavoro affascinante per un giornalista che, non dovendo dare conto di metodologie e conclusioni scientifiche, può restare fedele al compito di descrivere ciò che accade, anche lasciandosi andare alla libertà di ascoltare i racconti che i cinesi fanno delle proprie vite. Come accade in questo libro. Sono vite di “resistenza” perché non si può solo subire passivamente la trasformazione più veloce e radicale della storia umana, pena perdere se stessi e la speranza nella capacità di costruire il proprio futuro. Ed ecco allora chi la affronta, di petto o trasversalmente; chi si muove nelle sue pieghe e chi cerca di determinarne le correnti; chi si oppone e combatte e chi piega la testa ma cerca di andare avanti lo stesso.

*Angela Pascucci è una giornalista, esperta di Cina. Per il “Manifesto” è stata caporedattore esteri, inviata e responsabile dell’edizione italiana di “Le Monde diplomatique”. Tra i suoi libri segnaliamo Talkin’ China (Manifestolibri 2008).