L’Opec del tè

In by Simone

Nasce a Colombo l’Opec del tè. Dopo anni di trattative andate a vuoto i Paesi produttori hanno trovato  l’accordo per l’istituzione dell’International tea producer’s forum. Le incognite sono i timori per l’aumento del prezzo della bevanda e per il ruolo della Cina che al momento si sta tenendo defilata. 
Una tazza di tè come un barile di petrolio. Quotazioni in continuo rialzo, indici borsistici freneticamente aggiornati, quote di produzione rigidamente imposte dall’alto ed esportazioni contingentate. È uno scenario esagerato e allarmistico, ma rende bene l’idea. Dopo due giorni di colloqui e trattative serrate nella città di Colombo, capitale singalese, alcuni dei maggiori produttori di tè a livello mondiale hanno raggiunto un accordo per costituire l’International tea producers’ forum, un’associazione nata allo scopo di promuovere e sostenere il consumo e la produzione della bevanda tanto cara ad antichi saggi, intellettuali e filosofi in tutto il globo.

Nata da una proposta avanzata dall’ex Ceylon nel 1994, l’idea di dar vita a un cartello internazionale del tè sul modello dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio, fino ad oggi non si è mai potuta concretizzare per l’incapacità dei Paesi produttori di trovare un accordo che contemperasse le loro aspirazioni economiche individuali alle necessarie rinunce di sovranità che la partecipazione a ogni tipo di consesso internazionale richiede. Adesso però la divergenza di vedute sembra superata. E così, sulla spinta di Sri Lanka e India, rispettivamente quarto e secondo produttore mondiale di tè, Kenya, Indonesia, Malawi e Ruanda hanno accettato di costituire l’Itpf, come è già stato abbreviato dalla stampa internazionale, che nella fase iniziale sarà dotato di un segretariato operativo con sede a Colombo.

Il pomposo annuncio sulla nascita del primo forum internazionale del tè fatto ai quattro venti dalle autorità singalesi è stato ovviamente accolto con una certa apprensione dalla comunità internazionale, preoccupata di veder lievitare nei prossimi anni il prezzo di una delle bevande più diffuse a livello globale.

Il tè non ha l’arroganza del vino, né la supponenza del caffè e neppure la leziosa innocenza del cacao”, ha sentenziato lo scrittore giapponese Okakura Kakuzo nel suo classico Libro del tè del 1906. Oggi infatti, secondo le stime della Fao, sono oltre 4 milioni le tonnellate di tè consumate sul pianeta, molte di più della maggior parte delle altre bevande. Eppure fino ad ora, nonostante l’impiego delle foglie di quella che scientificamente prende il nome di camellia sinesis sia andato costantemente aumentando, crescendo nell’ultimo anno di un punto percentuale (dato riportato dalla Bbc), il costo del tè ha seguito un trend di discesa, passando da 2,84 dollari al chilo nel 2011 a 2,5 dollari nel 2012.

L’obiettivo dell’Itpf è appunto quello di invertire questa tendenza. Presentando il nuovo organismo ai giornalisti Mahinda Samarasinghe, il ministro delle Piantagioni singalese, ha usato parole rassicuranti, spiegando che gli intenti del forum sono “assicurare la stabilità dei prezzi”, “garantire standard di produzione elevati”, “migliorare la vita del piccoli produttori” e “condividere conoscenze ed esperienze”. Le quote di produzione, ha specificato espressamente il ministro, “non sono contemplate nello statuto”. Ma senza neppur dare il tempo alla platea di tirare il fiato, Samarasinghe ha poi aggiunto: “Si tratta di questioni che saranno discusse in futuro”. Ancora più esplicita è stata la presidentessa dell’associazione nazionale singalese per la promozione del tè, Janaki Kuruppu, che senza tanti giri di parole ha dichiarato: “Oggi in molte parti del mondo il tè costa meno dell’acqua. Le persone possono pagare un po’ di più per avere la loro bevanda preferita”.

Se le intenzioni dell’International tea producers’ forum sono dunque sufficientemente chiare, lo stesso non può però dirsi per la sua efficacia. Al momento infatti non è ancora chiara la posizione che la Cina intende assumere nei confronti dell’organismo. Il Dragone è il primo produttore mondiale: secondo gli ultimi dati della Fao, aggiornati al 2012 ma riferiti al 2010, Pechino è arrivata a produrre 1.467 milioni di tonnellate di tè, quasi quanto i suoi più immediati competitors, India (991 milioni di tonnellate), Kenya (399 milioni) e Sri Lanka (282 milioni), messi insieme.

Il Paese della Grande Muraglia è stato invitato a prendere parte al forum in qualità di osservatore. La sua scelta potrebbe essere quella di aderire in seguito all’organismo, mantenere una posizione neutrale oppure unirsi a Vietnam, Turchia e Iran, quinto, sesto e settimo produttore mondiale con 235,198 e 165 milioni di tonnellate, per tentare di contrastare il cartello. Come sempre l’atteggiamento di Pechino è imperscrutabile. L’unico elemento noto è che, stando a quanto riportato dal giornale indiano The Hindu, al meeting di Colombo la dirigenza cinese non avrebbe inviato, diversamente dagli altri partecipanti, un ministro ma solo un rappresentante, quasi a indicare un interesse non troppo consistente per l’incontro.

Tuttavia, concludere che Pechino non abbia a cuore le sorti del prezzo dell’infuso sarebbe affrettato. In base alle previsioni del Gruppo intergovernativo di esperti del tè della Fao, da qui al 2021 il consumo globale di tè crescerà dell’1,8 per cento l’anno, fino a raggiungere i 3,36 milioni di tonnellate. Si tratta dunque di un business importante almeno quanto quello dell’acqua in bottiglia, al quale il Dragone non vorrà certo rinunciare.

Insomma, i tempi in cui il saggio cinese T’ien Yiheng poteva scrivere “Si beve il tè per dimenticare il frastuono del mondo” sono ormai lontani. Al giorno d’oggi, infatti, il mondo fa molto rumore anche per una tazza di tè.

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.

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