L’inverno di Liu Xia è finito

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

Liu Xia, poetessa cinese moglie del premio Nobel per la pace 2010 Liu Xiaobo morto in carcere il 13 luglio di un anno fa, è in Germania. L’immagine del suo volto sorridente, con le braccia allargate come ad accogliere tutto il mondo al suo arrivo all’aeroporto di Helsinki, scalo per arrivare in Germania, costituisce un’emozione che vogliamo pensare potrà restituire alla donna una doppia libertà, tanto mentale quanto fisica. Quel sorriso e quelle braccia testimoniano due reazioni a spazi angusti, per il suo pensiero e per il suo corpo, e alla repressione con la quale la Cina l’ha tenuta segregata in casa per anni.

Il destino di Liu Xia, poetessa prima ancora che moglie di Liu Xiaobo, era stato descritto proprio dal marito. In una poesia scritta il 23 luglio 1999, dimostrando le potenzialità profetiche di chi sceglie la poesia come forma espressiva, Liu Xiaobo aveva scritto i seguenti versi:

“Un prigioniero Si è indebitamente impossessato della tua vita (…) Ti ha rinchiuso nella solitudine Ad ammuffire Cara Moglie mia Fra tutte le cose meschine Di questo effimero mondo Perché mai Hai scelto di sopportare me”.

(La traduzione è di Nicoletta Pesaro che ha tradotto le poesie contenute in Elegie del Quattro giugno, Roma, Lantana, 2013)

È una storia d’amore e di straordinaria forza quella tra Xia e Xiaobo, minata dall’attività politica di Xiaobo — il testo fa riferimento a una prigionia che Liu Xiaobo ha cominciato a conoscere bene fin dal 1989, dalle proteste della Tienanmen — e dalle tante privazioni cui la Cina lo ha costretto fino a quella più fetente: condannato nel 2009 a 11 anni per “incitamento alla sovversione del potere dello Stato”. Xiaobo era uno dei promotori e dei firmatari di Charta 08 un documento nel quale venivano chieste al Partito comunista numerose modifiche all’assetto politico e istituzionale del Paese.

Pubblicato nel 2008, costituì un affronto che una Cina diversa da oggi, ma non meno paranoica, non poteva tollerare, specie se in concomitanza con l’evento che — con il senno di poi — si può considerare uno spartiacque contemporaneo per il Paese, le Olimpiadi di Pechino.

Ma non bastava: Liu Xiaobo è stato fatto crepare in un ospedale del carcere, impossibilitato a ottenere le cure necessarie per un tumore al fegato che lo ha portato via agli amici e a Xia. Prima, la Cina gli aveva negato la possibilità di andare a ritirare il premio Nobel per la pace ottenuto nel 2010. Lo aveva negato a Xiaobo e pure a Xia, così quella famosa sedia vuota di Oslo, era diventata anche il soggetto di una poesia di Xia. Una fine così tragica e umana, mirava a distruggere quanto sarebbe rimasto di Liu Xiaobo, la moglie Liu Xia.

Ma come spesso accade quando si utilizzano calcoli eccessivamente machiavellici, quella che doveva essere la morta-viva di questa vicenda è diventata l’intoppo ai piani. Liu Xia è stata costretta, come già lo era in precedenza durante la prigionia del marito, agli arresti domiciliari. Ieri il Global Times — e che il quotidiano più nazionalista abbia scritto della “partenza” di Xia dalla Cina è un segnale della rilevanza del fatto — sosteneva che mai Xia è stata costretta ai domiciliari. Formalmente, purtroppo, è vero: nessuna condanna pendeva su di lei e di conseguenza nessun provvedimento restrittivo ufficiale. Ma la repressione in uno Stato che esercita un forte controllo sociale sa essere letale ugualmente, anche senza un giudice che l’autorizzi. Intimidazioni, presenza costante di poliziotti nei pressi dell’abitazione di Xia, impossibilità di comunicare in libertà: il campionario è vasto e al riguardo c’è un archivio storico micidiale da cui poter sempre attingere.

Così Liu Xia si è ritrovata in pieno inverno. Come ha scritto lei stessa:

“È questo un albero? Sono io, tutta sola. Cos’è un albero d’inverno? Non sei stanco di essere un albero per tutta la vita?”

Xia ha sentito via via l’asfalto ricoprire le sue radici e quella stagione fredda è rimasta l’unica stagione: ne è seguita una depressione e la convinzione che forse non rimaneva che la morte.

L’intoppo però è arrivato, Liu Xia e la sua rete — che ha sempre denunciato il suo deteriorarsi moralmente e fisicamente — hanno colto dei varchi nel tempo cinese della trasformazione: non sapremo mai se la visita di Li Keqiang di questi giorni a Berlino o quella precedente di Merkel a Pechino abbiano sbloccato la situazione. C’è l’ipotesi, senza conferme ufficiali, che Merkel abbia messo sull’altro piatto della bilancia, che conteneva accordi commerciali per 23 miliardi di dollari, la possibilità per Liu Xia di partire e che da Pechino sia arrivato un sì. Può essere, benché la logica ci dica che Berlino è già il principale partner commerciale cinese in Europa e che — visto l’attuale andazzo con Trump e l’Europa — la Germania ha in realtà tutto l’interesse a rafforzare le intese con la Cina, come fa con la Russia. Pechino dunque sapeva di avere gli accordi già in tasca.

Oppure può essere che Xi Jinping abbia pensato che quanto resta, moralmente parlando, di Liu Xia non costituisca più un pericolo nemmeno fuori dalla Cina — in casa Xi è ben saldo al comando e sembra avere ancora dalla sua un appoggio popolare indiscusso — e che dunque un gesto del genere avrebbe aiutato a percepire un atteggiamento nuovo della Cina nei confronti dei propri dissidenti. A questo va aggiunto un dato: sia Liu Xiaobo che Liu Xia potrebbero risultare più conosciuti da uno straniero che da un cinese, vista la rigorosa censura pubblica posta in Cina sulle loro peripezie con la giustizia cinese. Qualche particolare in più potrebbe arrivare nei prossimi giorni. La nota ufficiale arrivata da Pechino dice che Xia ha lasciato la Cina “di sua volontà” e “per cure mediche”.

La possibilità che la Cina abbia lasciato andare Liu Xia in quanto ormai depotenziata, arriva però dall’articolo del Global Times già citato. A questo proposito — infatti — il quotidiano nazionalista fornisce alcuni indizi: viene specificato che la sfida per la Cina sarà quella di proteggere i diritti dei dissidenti e allo stesso tempo “impedire loro di esercitare un’influenza troppo negativa sulla società cinese”. Sostenendo che in fondo, nonostante in taluni casi le loro voci abbiano avuto qualche difficoltà, è scritto “godono di ampie libertà in molte circostanze”. L’ammonimento dell’articolo non è tanto per loro: semmai — scrive il quotidiano — è l’Occidente a non doverli utilizzare per destabilizzare il Paese, come avrebbe fatto proprio con Liu Xia.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]