L’anno di Narendra Modi

In by Simone

Il 2014 qui in India ha avuto un unico protagonista sostanzialmente incontrastato: Narendra Modi. Tutto lascia intendere che sia l’inizio di un mandato solido, una strada in discesa per i prossimi quattro anni. Gli unici ostacoli potrebbero arrivare dagli "amici" della Rahstriya Swayamsevak Sangh (Rss), sigla dell’estremismo hindu che NaMo pare faccia fatica a controllare.
Dalla candidatura ufficiale di Narendra Modi a primo ministro indiano – risalente alla fine del 2013 – fino al giorno della consacrazione alle urne di maggio, il paese è stato investito dalla cosiddetta Modi Wave, l’ondata del nuovo che avanza che ha spazzato via la precedente amministrazione dell’Indian National Congress (Inc) con una violenza che quasi nessuno aveva osato prevedere.

Per la prima volta dagli anni ’80 l’India ha un governo sostenuto da una considerevole maggioranza parlamentare – oltre 300 seggi alla Lok Sabha tra Bharatiya Janata Party (Bjp) e alleati – e, indicavano gli osservatori, si poteva iniziare ad immaginare un periodo di grandi riforme, specie in ambito economico. Sarebbero arrivati gli acche din, parafrasando Modi, i "bei giorni" della Repubblica federale indiana.

Modi, 64 anni, si presentava all’elettorato nazionale con un curriculum abbastanza controverso ma con una lista di promesse di prosperità che ha stregato varie sezioni della popolazione locale: non lo votarono solo gli hindu conservatori – base elettorale naturale del Bjp – ma anche tantissimi delusi dall’Inc, affamati di quel revanchismo post coloniale che NaMo ha saputo modulare assieme a un rinnovato sentimento di speranza e orgoglio patrio.

Ora che si possono tirare le somme di fine anno, la situazione nel paese è la seguente.

L’effetto Modi ha spazzato via ogni qualsivoglia sembianza di opposizione politica: da mesi non si sente un fiato da parte dell’Inc, sparito da ogni scenario politico o mediatico e – sperano i simpatizzanti – rintanato a leccarsi le ferite e a stilare una nuova strategia politica per provare a contrastare lo strapotere del Bjp (grande dilemma: farlo mandando in pensione la dinastia Gandhi o riprovare nuovamente magari lanciando Priyanka Gandhi come nuovo volto dell’Inc).

Le riforme economiche sono state in gran parte annunciate, solo alcune portate a termine, come ad esempio la semplificazione burocratica per attirare investitori stranieri, in coppia con la campagna Make in India ("venite qui a produrre che vi costa meno", in soldoni). Gli effetti concreti di queste iniziative – che molti in realtà vedono come il proseguimento delle politiche di apertura dell’Inc in chiave ultracapitalista – si vedranno probabilmente non prima della metà del 2015; al momento si registra un aumento dell’ottimismo, per quanto possa valere.

Nella politica estera, l’India si è inserita saggiamente all’interno delle maglie di un sistema multipolare: amici di tutti, alleati di nessuno, mani libere per stringere accordi con Usa, Cina, Russia, Europa, Giappone; teoria del "bastone e carota" col Pakistan, in attesa di una normalizzazione – impossibile? – della situazione politica del vicino per sedersi a un tavolo delle trattative.

Equilibrismi tra modernità e fanatismo hindu: è il tema che mi intriga di più, subendo il fascino dell’assurdo di un primo ministro che un giorno si fa portavoce di idee avveniristiche come smart city, treni ultraveloci, reti digitali in tutta l’India, e quello dopo dice – serio – che il dio Ganesha rappresenta il primo esempio nella Storia dell’Umanità di chirurgia plastica. Come già avevo provato a spiegare tempo fa, Modi non è stupido, conosce il suo elettorato e sa che di tanto in tanto deve rassicurare l’ala fanatica di Rss e simili (che per comodità, peccando di approssimazione, indico come i "fascisti indiani"), deve tenerli buoni. E questo, salvo sorprese, sarà il tema centrale del 2015: come e se Modi sarà in grado di evitare che le intemperanze degli estremisti hindu mandino all’aria i suoi progetti.

Un esempio fresco fresco. Due settimane fa è uscito qui nelle sale l’ultimo film di Amir Khan, tra gli attori più famosi e rispettati del panorama di Bollywood. Si intitola PK e – ancora non sono andato a vederlo, mi baso su racconti di chi ci è stato – parla di un alieno che arriva sulla Terra e, mentre cerca un modo per ritornare a casa sua, mostra l’assurdità di un certo tipo di devozione (in particolare hindu).

La cosa non è piaciuta molto a diversi attivisti della destra ultrainduista che, per giorni, sono andati in giro per i cinema del paese a protestare contro un film che "urta i sentimenti hindu": picchetti fuori dai cinema, cartelloni distrutti, scontri con la polizia.

Sono gli stessi che hanno preso a mazzate i manifestanti di Kiss of Love, gli stessi che stanno bruciando copie di un libro in Tamil Nadu poiché "anti-hindu", gli stessi che guidano i pogrom anti-musulmani in Uttar Pradesh, gli stessi che organizzano sessioni di ri-conversione di famiglie musulmane o cristiane.

Ecco, in ognuno di questi esempi è sempre mancata la presa di posizione di Modi: non una dichiarazione pubblica, solo retroscena che raccontano di un fastidio crescente del governo verso queste intemperanze.

La grande domanda per il 2015, stando così le cose, è: sarà in grado, Modi, di controllare la destra induista? O è la destra induista a controllare Modi?

[Scritto per East online; foto credit: ibitimes.co.uk]