Sta nascendo una moderna via della seta e – secondo Landi – dobbiamo cogliere le opportunità che ci offre. China Files vi spiega come si snoda e vi regala il passo che racconta come i cinesi hanno offerto a Taranto l’occasione di risollevarsi (per gentile concessione della casa editrice O barra O).
Una rete di gasdotti, oleodotti e tratte commerciali che dalla Cina si snoda attraverso l’Asia centrale e il Caucaso per arrivare fino alle stazioni ferroviarie di Berlino e ai porti di Taranto e del Pireo.
È La nuova via della Seta (edizioni O barra O, 2011, pp. 160, € 12,50) raccontata da Claudio Landi*, giornalista di Radio Radicale, simbolo di integrazione tra la Repubblica popolare cinese e l’Europa, primo mercato di sbocco dei prodotti made in China.
Il primo snodo di questo tragitto è Yiwu, città-bazar di 1,2 milioni di abitanti nella provincia costiera dello Zhejiang, da cui le merci partono per oltre 190 paesi al mondo. A fare da intermediari sono cinesi di etnia hui, unica minoranza riconosciuta come tale soltanto in base alla religione.
Musulmani, padroneggiano sia l’arabo sia il persiano, lingue dei principali paesi produttori di greggio e tassello della nuova strategia cinese nel XXI secolo. Nel mondo post 11 settembre, l’amministrazione statunitense di George W. Bush complicava le procedure per la concessione dei visti d’entrata, in particolare per gli arabi.
Pechino si muove, invece, nella direzione opposta, venendo incontro alle aspettative di regioni in rapida crescita economica. Turchia e Siria fanno parte di questo mosaico. Ankara, che nell’ultimo decennio si è guadagnata il nome di tigre anatolica, ha tassi di crescita capaci di fare concorrenza ai cosiddetti Brics (Brasile, Russia. India, Cina e Sud Africa).
L’attenzione cinese sulla Siria non è focalizzata sull’aspetto militare, ma sui poli industriali e commerciali: la zona economica speciale di Adra, e le riserve petrolifere. Il rapporto privilegiato è evidente nella decisione cinese di mettere il veto sulle risoluzioni Onu di condanna alla repressione della protesta che da marzo chiede la caduta del regime del presidente Bashar al Assad.
Più a est la diplomazia pechinese ha allacciato rapporti con le ex repubbliche sovietiche che sono in mano, a vent’anni dal crollo dell’Urss, a oscuri autocrati come il presidente turkmeno Gurbanguly Berdimuhammedow. Fu lui, il 14 dicembre 2009, a inaugurare assieme al presidente cinese Hu Jintao e ai suoi omologhi uzbeko e kazako il primo tratto del gasdotto sino-turkemeno.
1833 chilometri dal cuore dell’Asia centrale fino allo Xinjiang, estrema propaggine occidentale della Cina. È qui, lungo il confine con il Pakistan e il Kazakistan, che sorgeranno due nuove zone economiche speciali: Kashgar e Korgos.
Siamo nella culla della cultura della minoranza musulmana e turcofona uigura e patria di rigurgiti indipendentisti non ancora sopiti. I due nuovi hub commerciali, ispirati al polmone economico della Cina sulla costa orientale, possono allo stesso tempo contenere le spinte autonomiste della popolazione e dar vita a una Shenzhen dell’ovest.
Come secoli fa la via della seta metteva in comunicazione i ricchi mercati cinesi con quelli europei, oggi questa rete di ferrovie, porti e pipeline vuole collegare l’Europa scossa dalla crisi del debito alla Cina, unica possibile ancora di salvezza.
“Siamo fiduciosi che l’Unione europea riuscirà a riprendersi”, ha detto Hu Jintao, in Europa per partecipare al vertice G20 di Cannes. In attesa che Bruxelles chiarisca i dettagli del fondo salva-stati, secondo alcuni analisti Pechino potrebbe decidere di comprare il debito europeo, sfruttando altre vie.
Già negli anni scorsi la Cina si è mostrata aperta verso i paesi europei in difficoltà. È il caso di Portogallo, Spagna e Grecia. In cambio ha ricevuto la possibilità di mettere un piede in importanti snodi commerciali, nuovi tasselli per la costruzione della nuova via della seta.
Un esempio è la gestione di due terminali del porto del Pireo affidata alla China Ocean Shipping Company (Cosco). Anche l’Italia ha avuto la sua opportunità con l’arrivo di due compagnie portuali asiatiche – la Hong Kong Hutchison Wampooa e la taiwanese Evergreen.
Si voleva trasformare la Taranto degli 8mila disoccupati dell’Ilva in un punto nodale del passaggio delle merci distribuite in tutta Europa. Il progetto, neanche a dirlo, si è arenato a seguito delle solite lungaggini italiane e dell’incapacità a concretizzare risultati (leggi l’estratto su China Files).
L’Italia – conclude Landi – gode ancora di grande stima oltre la Muraglia. Ma deve entrare nel XXI secolo affinché tutto non vada sprecato.
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* Domenica 6 novembre l’autore sarà a Milano a presentare il suo libro (ore 11.30, libreria Skira Triennale, Viale Alemagna 6).